1. Il capitale umano: un asset strategico, una risorsa impoverita.
Le risorse umane costituiscono forse una delle principali variabili da con-siderare nell’analisi e nello studio di qualsiasi pubblica amministrazione (d’ora in poi, per comodità, p.a.) e, più in generale, di qualsivoglia organizzazione. Le amministrazioni, infatti, non sono delle entità impersonali ed astratte, ma – al contrario – si compongono di uomini e donne in carne ed ossa, di fun-zionari e dirigenti senza i quali non vi sarebbe alcun servizio pubblico.
Da questo punto di vista, la quantità e la qualità delle risorse umane a di-sposizione di ciascuna amministrazione costituiscono due fattori determinanti nella realizzazione dei principi dettati dall’art. 97 Cost. Detto altrimenti, come riconosciuto dallo stesso legislatore nelle vesti di datore di lavoro, «una effi-ciente gestione delle risorse umane costituisce un aspetto essenziale delle or-ganizzazioni produttive, in particolar modo di quelle cosiddette “labour intensi-ve”, quali sono le pubbliche amministrazioni, sulla quale si imperniano tutti gli strumenti gestionali a disposizione della dirigenza, e dalla quale, in sostanza, discende la possibilità di perseguire le finalità istituzionali attribuite alle strut-ture pubbliche» . Ciò vale a maggior ragione per alcune tipologie di ammini-strazioni come – ad esempio – il Comune, ente di prossimità chiamato ad erogare alla propria comunità di riferimento una pluralità di servizi che ri-chiedono figure professionali qualificate e tra loro assai diversificate . Alla qualità delle risorse umane possono contribuire, in particolare, la valorizza-zione ed il benessere del personale, leve motivazionali indispensabili – assie-me alla formazione e all’aggiornamento professionale – per garantire il buon funzionamento di qualsiasi p.a. e l'adattamento costante della stessa ai muta-menti imposti dall'esterno . Ben può dirsi, in effetti, che il capitale umano co-stituisce l’asset strategico di ciascuna amministrazione. Non a caso, tra i prin-cipali contenuti del Piano integrato di attività e organizzazione di cui all’art. 6 d.l. 9 giugno 2021, n. 80 , convertito con modificazioni in l. 6 agosto 2021, n. 113, figurano sia «la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo or-ganizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati […] al raggiungimento della completa alfabe-tizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera del personale», sia «gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne».
La centralità delle politiche di gestione del personale nella modernizzazio-ne degli apparati pubblici è dunque un assunto che non può essere messo in discussione, specie a fronte delle numerose sfide imposte alle amministrazioni, anche locali, dalla transizione digitale . Basti qui ricordare come l’art. 14, co. 2-ter, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 disponga che «gli enti locali digitalizzano la loro azione amministrativa e implementano l'utilizzo delle tecnologie dell'in-formazione e della comunicazione per garantire servizi migliori ai cittadini e alle imprese». Trattasi, con ogni evidenza, di una sfida che impone a ciascuna amministrazione di rivedere l'organizzazione ed il funzionamento dei propri uffici e che può essere vinta solo a fronte di risorse umane adeguate. La digi-talizzazione dei processi e dei servizi, infatti, oltre che sull'amministrazione in sé e di per sé considerata, ha un impatto diretto anche sui modi di lavorare, nonché – di conseguenza – sulle competenze richieste ai pubblici dipendenti.
Eppure, nonostante rappresenti un asset strategico, da tempo ormai si se-gnala come il capitale umano delle pp.aa. abbia subito un progressivo impo-verimento, impoverimento al quale hanno contribuito politiche di reclutamen-to e di turnover del personale miopi e di breve respiro. Va peraltro segnalato come le problematiche connesse ai temi del turnover e del reclutamento del personale, pur presentandosi in termini analoghi in ogni comparto, si siano fatte e si facciano tuttora sentire in maniera particolarmente pregnante pro-prio nell’ambito delle amministrazioni locali. È noto, infatti, come le politiche adottate dal legislatore nazionale al fine di contenere la spesa pubblica, resesi necessarie soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2007-2008, abbiano inciso in maniera significativa sulle autonomie locali e, in particolare, proprio sui Comuni . La limitazione delle facoltà assunzionali, il blocco del turnover ed i vincoli di spesa in materia di personale hanno difatti comportato un deciso depauperamento delle risorse umane a disposizione delle amministrazioni lo-cali, sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi . Oltre ad essere di-minuito drasticamente il numero di dipendenti , l’età media degli stessi è cre-sciuta vertiginosamente , mentre l’ingresso di nuove professionalità è stato a lungo bloccato, il che ha ostacolato il ricambio generazionale, nonché la sem-plificazione, l'innovazione e la digitalizzazione dei processi . Nonostante sia stata efficace nel ridurre la spesa pubblica, nel lungo periodo tale politica si è rivelata deleteria, essendo infatti la causa sia di notevoli disfunzioni organiz-zative, sia del progressivo impoverimento delle risorse umane .
È questo il contesto nel quale si inseriscono il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in avanti, per comodità, PNRR) ed il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, documenti programmatici dai quali traspare con evidenza la volontà del legislatore di imprimere una svolta significativa al proprio consueto approccio alle politiche di gestione delle risorse umane nelle pp.aa., evincendosi difatti l’intenzione di superare definitivamente la logica dell’austerità e del contenimento della spesa pubblica. Molteplici, peraltro, sa-rebbero i profili relativi al tema de quo meritevoli di essere presi in considera-zione. In questa sede, tuttavia, anche per ragioni di spazio, ci si limiterà ad approfondire unicamente il tema delle politiche formative. La formazione, in-fatti, non solo ha un’incidenza diretta e significativa sulla qualità delle risorse umane, nonché sulla performance del personale, ma – ancor prima – si presenta indissolubilmente legata alle sfide imposte dalla digitalizzazione e dall’attuazione del PNRR, ricollegandosi direttamente ai temi del reclutamen-to, delle competenze, del ricambio generazionale e dell'acquisizione di nuove professionalità. Inoltre, benché le considerazioni che verranno svolte abbiano valenza generale, potendo in qualche modo essere riferite alla generalità delle pp.aa., una particolare attenzione verrà riservata al lavoro pubblico locale , contesto che – come si ha già avuto modo di ricordare – più di altri ha assi-stito a quel processo di impoverimento del capitale umano che ha interessato le amministrazioni italiane negli ultimi quindici anni.
2. La formazione quale politica di valorizzazione del personale ed am-modernamento degli apparati pubblici.
In ragione di quanto appena osservato, va quindi ora spesa qualche parola in merito alle politiche di valorizzazione del personale, leve motivazionali che – come accennato – possono contribuire in maniera determinante all’incremento della produttività dei lavoratori, ma anche al restyling dell’immagine delle pp.aa., realizzando una strategia di retention rivolta al per-sonale già in servizio e rendendo al contempo maggiormente allettante il set-tore pubblico per i giovani talenti che le stesse intendono attrarre . Tali obiettivi appaiono del tutto in linea con le priorità individuate dal PNRR, il quale mira a «sviluppare all’interno della PA un capitale umano di assoluta eccellenza, finanziando un forte piano di attrazione, selezione, assunzione, re-tention e valutazione del talento, rinnovando i meccanismi di carriera attuali (verticali e orizzontali), e riorganizzando i modelli di training attuali». Non di-stante la logica del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale , all’interno del quale, infatti, si può leggere che «la costruzione della nuova Pubblica Amministrazione si fonda sull’ingresso di nuove generazioni di lavo-ratrici e lavoratori e sulla valorizzazione delle persone nel lavoro».
Ciò detto, va precisato come quando si parla di politiche di valorizza-zione del personale si faccia essenzialmente riferimento ad una vasta gamma di “incentivi monetari”, ma non solo. Gli strumenti di valorizzazione del me-rito, infatti, possono ad esempio tradursi anche in “incentivi di carriera”. Ba-sti ricordare l’art. 18, co. 1, d.lgs. 17 ottobre 2009, n. 150, ai sensi del quale «le amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale, anche attraverso l'utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche, nonché valorizzano i di-pendenti che conseguono le migliori performance attraverso l'attribuzione se-lettiva di incentivi sia economici sia di carriera». In proposito, va ricordato come anche la formazione, oltre a consentire l’arricchimento professionale delle risorse umane, sì da incrementare la qualità dei servizi offerti, possa in qualche modo costituire una forma di valorizzazione del personale. Non a ca-so, tra gli strumenti a disposizione delle pp.aa. per premiare il merito e la pro-fessionalità diversi dagli “incentivi monetari” l’art. 20 d.lgs. n. 150/2009 men-ziona non solo le progressioni di carriera e l’attribuzione di incarichi e re-sponsabilità (artt. 24-25), ma anche l’accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale (art. 26) .
Va poi osservato come l’erogazione degli incentivi economici e di car-riera previsti dal legislatore debba avvenire sulla base di una logica selettiva: da qui la centralità del sistema di misurazione e valutazione della performance, sistema la cui effettività costituisce un presupposto indispensabile per l’attribuzione di incentivi volti a premiare il merito . La valutazione, tuttavia, non deve ritenersi funzionale a se stessa, bensì al miglioramento e all’innovazione delle pp.aa., dovendo pertanto essere messa in relazione – in particolare – con i fabbisogni formativi del personale. Com’è stato efficace-mente osservato, infatti, «la valutazione del personale ha come scopo la valo-rizzazione delle risorse umane, per sapere su cosa sviluppare maggiormente le capacità del personale; in questa direzione, l’orientamento deve essere non solo quello del sostegno al merito e alla segnalazione dei comportamenti e dei risultati non soddisfacenti (attraverso i sistemi premiali di carattere moneta-rio), ma anche quello di promuovere azioni di acquisizione di competenze e di miglioramento del contesto e del benessere organizzativo» .
Da questo punto di vista, benché possa assumere (anche) le vesti di trattamento incentivante, si commetterebbe un errore a ritenere che la for-mazione sia solo un premio riservato ai “migliori”, dovendo al contrario co-stituire una politica di valorizzazione del personale che prescinde dal merito e, in quanto tale, rivolta alla generalità dei pubblici dipendenti . Una conferma di tale impostazione la si rinviene anche nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, il quale punta molto «sulla valorizzazione delle per-sone nel lavoro, anche attraverso percorsi di crescita e aggiornamento profes-sionale (reskilling)». In particolare, si pone l’attenzione su «politiche formative di ampio respiro in grado di rispondere alle mutate esigenze delle Ammini-strazioni Pubbliche, garantendo percorsi formativi specifici a tutto il persona-le con particolare riferimento al miglioramento delle competenze informati-che e digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale», percorsi che dovrebbero consentire di coniugare la valorizzazione del perso-nale con l’innovazione organizzativa .
3. Le politiche formative tra obiettivi ambiziosi e scarsità di risorse.
Parlando di formazione, il presupposto dal quale partire, purtroppo, non può che essere la scarsità di risorse a disposizione delle pp.aa. Com'è noto, del resto, tutte le più recenti riforme relative al lavoro pubblico hanno avuto come prevalente se non unica finalità quella di ridurre, contenere e raziona-lizzare la spesa relativa al personale. I tagli, naturalmente, hanno colpito an-che le risorse da destinare alla formazione e all'aggiornamento professionale, riducendo quantità e qualità delle iniziative formative .
Tanto per dare un'idea, si pensi che nel 2010 fu disposto che «a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche [...] per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009» (art. 6, co. 13, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in l. 30 luglio 2010, n. 122). Ebbene, la di-sposizione, purtroppo, è ben rappresentativa della (scarsa) importanza rico-nosciuta dal legislatore nelle vesti di datore di lavoro al tema della formazione, considerata a lungo una mera voce di costo e non di investimento . Inoltre, come volevasi dimostrare, «gli effetti più rilevanti si riscontrano [proprio] nei Comuni, dove alla decurtazione delle risorse si accompagnano un significati-vo taglio delle strutture dedicate alla gestione delle attività formative e una caduta delle attività di valutazione e addirittura di programmazione della formazione» . Fortunatamente, di recente, l’art. 57, co. 2, lett. b), d.l. 26 ot-tobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni in l. 19 dicembre 2019, n. 157, ha disposto che, a decorrere dall’anno 2020, agli enti locali cessino di applicarsi numerose disposizioni in materia di contenimento e di riduzione della spesa connessa al personale, ivi compreso l’art. 6, co. 13, d.l. n. 78/2010 .
Ad ogni modo, al di là di questo recente ripensamento, si registra – come spesso accade nel contesto del lavoro pubblico – un certo scollamento tra obiettivi e risorse a disposizione. Sono diverse, infatti, le disposizioni conte-nute tanto all’interno del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 quanto in altre fonti normative che riconoscono l'importanza della formazione e dell'aggiorna-mento professionale dei pubblici dipendenti , disposizioni alle quali, però, non si accompagna un adeguato stanziamento di risorse .
Si pensi all'art. 1, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 165/2001, il quale, nell'elencare le finalità sottese al decreto stesso, menziona «la migliore utilizzazione delle ri-sorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti». Altrettanto interessante è il disposto dell'art. 7, co. 4, d.lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale «le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compre-so quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di gene-re della pubblica amministrazione». Peraltro, seppur indirettamente, molte al-tre disposizioni disseminate all’interno del d.lgs. n. 165/2001 ribadiscono l’importanza della formazione e dell’aggiornamento professionale dei pubblici dipendenti: vuoi contemplando la predisposizione di specifiche iniziative di riqualificazione professionale rivolte al personale coinvolto in procedure di mobilità (artt. 30, co. 1-bis, e 34); vuoi riconoscendo che il personale con ele-vata qualificazione professionale debba essere inquadrato in una specifica area professionale (art. 52, co. 1-bis); vuoi valorizzando il possesso di titoli professionali, di studio, di specializzazione e del dottorato di ricerca nell’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia (art. 28, co. 1-ter), nelle progressioni tra le aree (art. 52, co. 1-bis) o persino nell’accesso al pubblico impiego (art. 35, co. 3, lett. e)-ter).
Meritevole di segnalazione è altresì l’art. 19, co. 14, l. 28 dicembre 2001, n. 448, norma in base alla quale «le amministrazioni pubbliche promuovono ini-ziative di alta formazione del proprio personale, anche ai fini dell’accesso alla dirigenza, favorendo la partecipazione dei dipendenti ai corsi di laurea, anche triennali, organizzati con l’impiego prevalente delle metodologie di formazio-ne a distanza per finalità connesse alle attribuzioni istituzionali delle ammini-strazioni interessate».
Proseguendo, viene in rilievo l’art. 8, co. 2, d.p.r. 16 aprile 2013, n. 70, di-sposizione che pone in capo alle amministrazioni statali anche a ordinamento autonomo e agli enti pubblici non economici l’obbligo di adottare, entro e non oltre il 30 giugno di ogni anno, un Piano triennale di formazione del per-sonale che rappresenti i fabbisogni formativi della singola amministrazione . I singoli piani predisposti dalle varie amministrazioni sono successivamente inviati al Comitato per il coordinamento delle scuole pubbliche di formazione di cui all’art. 2 d.p.r. n. 70/2013, il quale – ai sensi del successivo art. 8, co. 2 – provvede a redigere, entro il 31 ottobre di ogni anno, il Programma trienna-le delle attività di formazione dei dirigenti e funzionari pubblici, programma «ispirat[o] al criterio generale dell'effettiva corrispondenza tra le esigenze formative delle amministrazioni e l'offerta formativa del Sistema unico [del reclutamento e della formazione pubblica]» (art. 8, co. 1) e che, sebbene sia prioritariamente rivolto alle amministrazioni dello Stato, è aperto ex art. 8, co. 3, anche alla partecipazione degli enti territoriali, i quali – a questo fine – possono comunicare al Comitato i propri fabbisogni formativi.
Si legga, poi, la direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione 30 luglio 2010, n. 10, recante «Programmazione della formazione delle ammini-strazioni pubbliche» e paradossalmente emanata lo stesso anno in cui è stato adottato il succitato d.l. n. 78/2010. All'interno della direttiva, inter alia, si af-ferma sia che «nell'ambito della strategia di riforma del sistema amministrati-vo assumono centralità le politiche di valorizzazione del capitale umano e di gestione della conoscenza, la cui efficacia all'interno di ogni sistema organiz-zativo dipende in misura determinante dalla quantità e soprattutto dalla quali-tà delle risorse allocate per la formazione», sia che «la formazione del perso-nale della Pubblica Amministrazione costituisce una leva strategica per la modernizzazione dell'azione amministrativa e per la realizzazione di effettivi miglioramenti qualitativi dei servizi ai cittadini e alle imprese».
Disposizioni di analogo tenore a quelle testé esaminate, peraltro, si rinven-gono anche negli artt. 49-bis e 49-ter CCNL Funzioni Locali 21 maggio 2018 . La centralità della formazione e dell’aggiornamento professionale dei pubblici dipendenti è infatti riconosciuta anche dalle parti sociali, alle quali – oltretut-to – non sfugge come le politiche formative siano intimamente connesse all’ammodernamento degli apparati pubblici. Riprova ne è l'art. 3, co. 2, CCNL Funzioni Locali, disposizione secondo la quale «attraverso il sistema delle relazioni sindacali si sostengono la crescita professionale e l’aggiornamento professionale del personale, nonché i processi di innovazione organizzativa e di riforma della pubblica amministrazione» . Coerentemente, l’art. 6 CCNL Funzioni Locali prevede l’istituzione dell’Organismo paritetico per l’innovazione , definito come «la sede in cui si attivano stabilmente rela-zioni aperte e collaborative su progetti di organizzazione e innovazione, mi-glioramento dei servizi – anche con riferimento alle politiche formative, al la-voro agile ed alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – al fine di formu-lare proposte all'ente o alle parti negoziali della contrattazione integrativa» .
Da ultimo, va menzionato il già citato Piano integrato di attività e organiz-zazione di cui all’art. 6 d.l. n. 80/2021, documento programmatico all’interno del quale ciascuna p.a. deve indicare «gli obiettivi formativi annuali e plurien-nali, finalizzati […] al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e ma-nageriali e all'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, cor-relati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera del personale», cir-costanza che di fatto mette le politiche formative in correlazione con gli avanzamenti di carriera.
3.1. Intrecci fra politiche formative e di reclutamento.
Proseguendo il nostro discorso, se la maggiore criticità relativa al tema de quo è la scarsità di risorse da destinare alla formazione, l’unica soluzione al problema non può che essere lo stanziamento di fondi appropriati. I contenu-ti del PNRR, così come quelli del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, lasciano ben sperare. Lo stesso dicasi del Piano Strategico “Ri-formare la PA. Persone qualificate per qualificare il Paese”, programma per la valo-rizzazione e lo sviluppo del capitale umano nelle pp.aa. presentato dal Mini-stro per la pubblica amministrazione in data 10 gennaio 2022 e che, inter alia, contempla l’avvio di programmi formativi specifici per sostenere le transizio-ni – a cominciare da quella digitale – previste dal PNRR. Tuttavia, se il pre-supposto dal quale partire resta pur sempre la scarsità di risorse a disposizio-ne, posto anche che ci vorrà del tempo prima che queste vengano stanziate e poi spese, nonché affinché producano degli effetti concreti, occorre sin d’ora mettere in atto delle iniziative che garantiscano alle pp.aa. di dotarsi di figure formate e competenti, iniziative che coniugando le politiche formative con quelle di reclutamento riescano a realizzare risparmi di spesa, rivelandosi effi-cienti ed efficaci anche sul lungo periodo. Trattasi dunque, a ben vedere, non di soluzioni di ripiego, né di espedienti dettati dall’esigenza del momento, bensì di accuratezze che – a prescindere dal momento storico e, dunque, dalla quantità risorse a disposizione – dovrebbero in ogni caso ispirare un’oculata politica di gestione del personale.
Così, in primo luogo, se l'obiettivo ultimo è quello di avere del persona-le aggiornato e competente, allora, più che nella formazione in costanza di rapporto, conviene anzitutto focalizzarsi sulla precedente fase di selezione del personale, individuando figure professionali che rispondano concretamente ai bisogni delle amministrazioni, riducendo il gap tra formazione del candidato e competenze richieste . In un contesto nel quale le risorse per la formazione del personale sono limitate, infatti, diventa ancora più importante individuare con precisione i fabbisogni di personale e selezionare quei candidati la cui professionalità risponde appieno ai predetti bisogni, sì da evitare eventuali skills mismatch o gap di competenze, fenomeno al contrario assai diffuso pro-prio nelle pp.aa. . Non a caso, in questi termini si esprime pure il PNNR, il quale, tra le priorità della riforma della p.a., indica proprio quella di «allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esigenze del mondo del lavoro e di una amministrazione moderna».
A questo scopo, occorre innanzitutto che ciascuna amministrazione prenda sul serio il piano triennale dei fabbisogni di personale di cui all’art. 6 d.lgs. n. 165/2001, piano che è andato a sostituire il più rigido documento di dotazione organica con un sistema a budget maggiormente dinamico, nonché le Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle amministrazioni pubbliche allegate al d.m. 8 maggio 2018 . Infatti, il piano triennale dei fabbisogni di personale, oggi in qualche modo riassorbito all’interno del Piano integrato di attività e organizzazione di cui all’art. 6 d.l. n. 80/2021, rappresenta un prius logico rispetto all’avvio delle procedure con-corsuali, costituendo il documento di programmazione attraverso il quale in-dividuare – sia in termini quantitativi che qualitativi – le figure professionali di cui necessitano le amministrazioni . Non a caso, coerentemente con quan-to disposto dall’art. 6-ter, co. 1, d.lgs. n. 165/2001, le Linee di indirizzo – che si rivolgono anche agli enti territoriali – insistono particolarmente sulla necessi-tà di individuare figure professionali che sappiano rispondere ai reali bisogni delle amministrazioni, «anche tenendo conto delle professionalità emergenti in ragione dell’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e degli obiettivi da realizzare». In particolare, le Linee di indirizzo suggeriscono alle amministra-zioni di dotarsi di figure professionali competenti in materia di gestione, pro-grammazione e digitalizzazione, dimostrando quindi di prestare maggiore at-tenzione alle competenze piuttosto che alle conoscenze . Sulla stessa scia si pone anche il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, secondo il quale sarà infatti necessario investire nella definizione di «un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzio-ni del personale, sulla base di una puntuale ricognizione, tenuto conto della revisione dei profili professionali necessari ad accompagnare la transizione verso l’innovazione e la sostenibilità di tutte le attività delle Pubbliche Ammi-nistrazioni».
Inoltre, se davvero – come già accennato – «la programmazione del fabbisogno […] trova il suo naturale sbocco nel reclutamento effettivo della forza lavoro», essendo infatti prodromica e funzionale a questa seconda fase, allora «è evidente che anche le regole del reclutamento debbano rinnovarsi e perfezionarsi soprattutto quando siano state individuate nuove professioni e relative competenze professionali da mettere al servizio delle pubbliche am-ministrazioni» (Linee di indirizzo allegate al d.m. 8 maggio 2018). Appare dun-que indispensabile ripensare le procedure di reclutamento, sia adottando pra-tiche di recruitment che consentano di valutare – oltre all’idoneità professionale – l’attitudine, la motivazione, le capacità relazionali, l’orientamento al risulta-to e la capacità di leadership dei candidati, sia privilegiando il possesso delle competenze (di carattere progettuale, decisorio, valutativo, tecnico, etc.) piut-tosto che delle conoscenze, punto sul quale insistono tanto la direttiva del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione 24 aprile 2018, n. 3, recante «Linee guida sulle procedure concorsuali», quanto le Linee di indi-rizzo allegate al d.m. 8 maggio . In effetti, è opinione diffusa e fondata quella secondo cui «i concorsi banditi dalle amministrazioni italiane paiono ancora oggi mostrare un eccessivo ossequio verso la tradizione, prevedendo prove utili tutt’al più per verificare il “sapere”, spesso anche nozionistico, dei candi-dati e molto più raramente per accertare il “saper fare”; quasi mai per vaglia-re il “saper essere” […], costituito in gran parte da abilità cognitive e sociali, che consentono al soggetto di integrarsi e reinventarsi, adattandosi al cam-biamento e all’organizzazione» . Al contrario, anche in considerazione dell’elevato numero di assunzioni legate all’attuazione del PNRR , il perse-guimento dei cui obiettivi non può che prescindere dalla disponibilità di per-sonale formato e competente, «occorre superare la logica per la quale il con-corso è strumento prevalentemente rivolto all’accertamento delle conoscenze e non delle competenze, meccanismo che crea un disequilibrio tra la fase ge-netica di scelta del lavoratore e quella funzionale di svolgimento del rapporto nella quale è assegnato rilievo alle competenze» . Esperienze di segno positi-vo, peraltro, non mancano . Tuttavia, si è ancora ben lontani dal realizzare il cambiamento tanto auspicato, circostanza che, purtroppo, getta un’ombra an-che sulle procedure di reclutamento legate al PNRR, nonché – a cascata – sull’attuazione del medesimo.
In secondo luogo, andrebbero potenziati ed implementati quegli stru-menti che le pp.aa., Comuni inclusi, hanno già a disposizione. Il pensiero non può che andare anzitutto al corso-concorso, procedura selettiva disciplinata dal d.p.r. n. 70/2013 che presenta indubbi vantaggi, consentendo infatti di mettere in relazione formazione, competenze e reclutamento del personale . Il corso-concorso, inoltre, consente di valutare i candidati su un arco di tem-po ben più lungo rispetto a quello che si ha normalmente a disposizione nell'ambito di altre forme di selezione. Attualmente, purtroppo, il corso-concorso è di fatto limitato alla selezione dei dirigenti statali e di alcune parti-colari figure professionali, ma potrebbe essere esteso almeno ai funzionari di qualifica più elevata, facoltà del resto già prevista dall'art. 5 d.p.r. n. 70/2013. Lo suggerisce anche la già citata direttiva n. 3/2018, secondo la quale, infatti, «non è esclusa la possibilità di estendere tale modalità composita al recluta-mento di altre tipologie professionali». Occorrerebbe, inoltre, che – contra-riamente a quanto fatto finora – il corso-concorso venisse bandito con ca-denza regolare, magari ampliando il numero di posti messi a disposizione .
Inoltre, sempre a proposito degli strumenti già a disposizione delle ammi-nistrazioni che permettono di coniugare formazione e reclutamento, si ram-menti che le pp.aa., enti locali inclusi, hanno la possibilità di ricorrere al con-tratto di formazione e lavoro , strumento che – al pari del corso-concorso – andrebbe potenziato ed utilizzato con maggiore convinzione. Così come an-drebbero adottati quei decreti cui fa riferimento l'art. 47, co. 6, d.lgs. 15 giu-gno 2015, n. 81 e che consentirebbero alle pp.aa. di servirsi del contratto di apprendistato (professionalizzante e di alta formazione e di ricerca), tipologia contrattuale specificatamente rivolta ai giovani e che offre il vantaggio di te-starne le capacità durante la fase funzionale del rapporto . Le amministra-zioni dovrebbero puntare di più su queste due forme contrattuali , le quali infatti consentono di coniugare il reclutamento e la formazione del personale con l’esigenza di realizzare quel tanto auspicato ricambio generazionale su cui insiste anche il PNRR, trattandosi del resto di contratti rivolti proprio alla formazione e all’occupazione dei giovani . Eppure, non si può fare a meno di rilevare come la necessità che debbano ricorrere «compravate esigenze di ca-rattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» (art. 36, co. 2, d.lgs. n. 165/2001) anche per la stipula di tali contratti si ponga in evidente contrasto con questo più che condivisibile obiettivo. Al contrario, tali tipologie contrat-tuali dovrebbero poter essere utilizzabili anche per soddisfare esigenze ordi-narie, potendo infatti contribuire sia all’obiettivo di «snellire e rendere più ef-ficaci e mirate le procedure di selezione e favorire il ricambio generazionale», sia a quello di «allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esi-genze del mondo del lavoro e di una amministrazione moderna» (PNRR). Da questo punto di vista, non può che salutarsi con favore l’art. 2, co. 1, d.l. n. 80/2021, norma in base alla quale «nelle more dell’attuazione della previsione di cui all'articolo 47, comma 6, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione […], le amministra-zioni pubbliche possono attivare specifici progetti di formazione e lavoro per l'acquisizione, attraverso contratti di apprendistato anche nelle more della di-sciplina dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro, di competenze di base e trasversali, nonché per l'orientamento professionale di diplomati e di studenti universitari» . Ciò detto, non resta che osservare come la concreta attuazione della disposizione in commento sia subordinata all’emanazione del decreto attuativo menzionato dallo stesso art. 2, co. 1, d.l. n. 80/2021, circo-stanza che rischia di pregiudicare ab origine l’effettività della norma in parola, atteso che – come purtroppo ci insegna l’esperienza – tale decreto potrebbe finanche non vedere mai la luce.
3.2. Per una formazione di qualità: risorse, programmazione, valutazione, soggetti, priori-tà ed ambiti di svolgimento.
Ad ogni modo, al di là di queste accortezze, urge una seria pianificazione delle politiche formative, nonché – prima ancora – lo stanziamento di risorse adeguate. Per una formazione di qualità che risponda davvero alle esigenze delle pp.aa. occorre inoltre identificare e concentrare gli sforzi su alcuni temi prioritari, nonché coinvolgere soggetti in grado di assicurare un’offerta for-mativa adeguata quanto a metodi e contenuti, senza peraltro dimenticare che anche le politiche formative devono essere oggetto di un’attenta valutazione volta a verificarne l’efficacia e la coerenza rispetto agli obiettivi prefissati.
Apprezzabile dunque, considerando il contesto, quella parte del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale dove si afferma che «la forma-zione e la riqualificazione del personale deve assumere centralità quale diritto soggettivo del dipendente pubblico e rango di investimento organizzativo ne-cessario e variabile strategica non assimilabile a mera voce di costo nell’ambito delle politiche relative al lavoro pubblico». Si tratta, infatti, di un riconoscimento importante del ruolo della formazione continua e dell’aggiornamento professionale sia nella valorizzazione del personale, sia nella modernizzazione della pubblica amministrazione. Va peraltro osservato come in termini analoghi si esprimesse già l’art. 49-bis CCNL Funzioni Locali, secondo il quale, infatti, «nel quadro dei processi di riforma e modernizzazio-ne della pubblica amministrazione, la formazione del personale svolge un ruolo primario nelle strategie di cambiamento dirette a conseguire una mag-giore qualità ed efficacia dell’attività delle amministrazioni […], da cui conse-gue la necessità di dare ulteriore impulso all’investimento in attività formati-ve» . Resta tuttavia da vedere se questa volta al riconoscimento dell’importanza della formazione quale leva strategica per il cambiamento si accompagnerà davvero lo stanziamento di risorse adeguate ed un’attenta pia-nificazione delle politiche e delle attività formative . Non basta, infatti, che ci sia disponibilità di risorse, occorre altresì – come testé evidenziato – che vengano spese bene, che le politiche formative vadano di pari passo con le ri-forme degli assetti organizzativi e della classificazione del personale – che, cioè, tengano conto dei «fabbisogni di nuove professionalità e competenze ri-chieste dai cambiamenti organizzativi e dall’innovazione digitale» (Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale) – e che si introducano stru-menti di verifica dell’efficacia delle iniziative formative intraprese dalle singo-le amministrazioni .
Un ruolo importante, allora, andrebbe riconosciuto al Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica di cui all’art. 1 d.p.r. n. 70/2013 e, in particolare, come suggeriscono sia il PNRR, sia l’art. 5 d.l. n. 80/2021, alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) , la quale può infatti fornire un contributo significativo nel coniugare le iniziative formative tanto alla ri-forma organizzativa e funzionale delle pp.aa., quanto all’attuazione del PNRR . Si ricordino, in particolare, le prospettive di collaborazione con gli enti locali prefigurate dagli artt. 8, co. 3 e 11, co. 1, d.p.r. n. 70/2013 . Né andrebbe trascurato in questo contesto il ruolo di Formez PA, la cui discipli-na è oggi contenuta all'interno del d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 6, così come modificato dall’art. 4 d.l. n. 80/2021, disposizione che ha inteso rilanciare il ruolo di tale associazione nell’ambito del processo di digitalizzazione della p.a. ed in vista dell’attuazione del PNRR .
Sempre in relazione al tema dei soggetti deputati alla formazione dei pub-blici dipendenti, ma anche a quello del fenomeno noto come skills mismatch, occorre aggiungere che sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra le singole amministrazioni e le Università sul tema della formazione e dell’aggiornamento professionale, collaborazione che potrebbe rilevarsi profi-cua già nella fase di accesso al lavoro qualora l’offerta formativa universitaria si allineasse ai fabbisogni di personale delle pp.aa. e viceversa . Da questo punto di vista, va senz’altro apprezzato il Protocollo d’intesa sulla formazione e l’aggiornamento professionale dei pubblici dipendenti siglato tra il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’Università e della Ricerca in data 7 ot-tobre 2021. Il Protocollo, che si inserisce perfettamente nel quadro delineato dal PNRR e dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, defi-nisce una cornice istituzionale in vista di futuri accordi operativi con Univer-sità ed enti di ricerca volti ad accrescere il livello di formazione e aggiorna-mento professionale del personale delle pp.aa. . Sono previsti diversi ambiti di intervento, tra i quali la valorizzazione del dottorato di ricerca, il ricorso al contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca di cui all’art. 45 d.lgs. n. 81/2015, specifici percorsi formativi per le diverse categorie di personale e la predisposizione di specifici percorsi di studio universitari confacenti ai bi-sogni delle amministrazioni. È infine previsto il possibile coinvolgimento della SNA e di Formez PA nell’attuazione delle diverse misure previste dal Proto-collo, soggetti in possesso di una particolare expertise e che, in quanto tali, ri-vestono un ruolo cruciale nell’ambito della formazione e dell’aggiornamento professionale dei pubblici dipendenti.
Allo stesso tempo, occorre prendere atto del fatto che l’intero fabbisogno formativo dei Comuni – e, più in generale, delle pp.aa. – non può essere sod-disfatto direttamente ed unicamente da strutture pubbliche: è necessario il coinvolgimento di enti e soggetti privati, circostanza in qualche modo prefi-gurata anche dall'art. 12 d.p.r. n. 70/2013, il che – però – presuppone l’apertura di un “mercato della formazione”, un mercato che di fatto già esi-ste, ma che necessiterebbe di un’apposita regolamentazione . Del resto, i dati a disposizione già ci dimostrano come i fabbisogni formativi dei Comuni sia-no soddisfatti in larga parte proprio da soggetti privati, essendo al contrario assai contenuto l’apporto della SNA, di Formez PA, delle Università e di altri soggetti pubblici . Così, se da un lato non si può che auspicare una maggiore cooperazione tra enti locali e strutture pubbliche deputate alla formazione, d’altro lato non si può che prendere definitivamente atto dell’esistenza di questo mercato, nonché di una duplice esigenza: in primo luogo, fissare degli standards qualitativi idonei ad assicurare un’offerta formativa confacente ai fabbisogni delle pp.aa., eventualmente predisponendo una sorta di sistema di accreditamento; in secondo luogo, valutare l’efficacia e la coerenza delle atti-vità formative poste in essere dalle singole amministrazioni in modo da veri-ficare che le risorse stanziate siano state spese bene.
Né da ultimo andrebbe trascurato, specie alla luce dei necessari processi di innovazione organizzativa alimentati dalla digitalizzazione e dal PNRR, il ruolo della dirigenza, chiamata a infatti “guidare” il cambiamento, a gestire in maniera virtuosa le risorse umane, a favorire il benessere organizzativo, a va-lorizzare e premiare il personale, nonché a coordinare le politiche formative e di reclutamento . Il successo delle politiche di gestione del personale, in altre parole, dipende in buona parte proprio dalla dirigenza. Da qui la necessità, ri-badita ormai da anni dalla dottrina, di costruire una dirigenza pubblica (locale) dotata di capacità manageriali e di leadership, responsabile, con una forte iden-tità ed indipendente dal vertice politico, obiettivo nel quale, nonostante i mol-teplici interventi succedutesi nel corso degli anni, il legislatore sinora ha sem-pre fallito . Basti ricordare, da ultimo, il ritiro da parte del Consiglio dei Mi-nistri dello schema di decreto legislativo sulla dirigenza pubblica attuativo della delega contenuta all’interno dell’art. 11 l. 7 agosto 2015 n. 124, riforma naufragata a seguito della “bocciatura” della Corte costituzionale . Occorro-no, dunque, nuove politiche formative e di reclutamento rivolte anche alla di-rigenza, la quale non solo gioca un ruolo cruciale nell’attuazione del PNNR , ma è altresì chiamata a guidare le trasformazioni ed i processi di innovazione organizzativa che interessano le pp.aa., lavoro agile in primis (sul quale v. am-plius infra, § 3.3).
Per quanto concerne invece i contenuti, ciò che occorre è riorientare le at-tività formative verso le priorità definite dai processi di riorganizzazione e di-gitalizzazione più volte citati , così come del resto già suggerisce l’art. 13, co. 1-bis, d.lgs. n. 82/2005, il quale insiste proprio sulla necessità di attuare politi-che formative «volte allo sviluppo delle competenze tecnologiche, di informa-tica giuridica e manageriali dei dirigenti, per la transizione alla modalità ope-rativa digitale». Improrogabile, dunque, l’esigenza di predisporre specifiche azioni formative rivolte al personale preposto all’attuazione delle azioni e de-gli obiettivi indicati all’interno del PNRR , azioni che andrebbero intraprese anche (e soprattutto) nei confronti del personale già in servizio in un’ottica di reskilling, colmando – ad esempio – il gap formativo in materia di soft skills e competenze informatiche . Infatti, nella consapevolezza dell’età media eleva-ta dei dipendenti, della bassa o media qualificazione professionale degli stessi e del disallineamento tra posizioni lavorative occupate e titoli di studio richie-sti , nonché degli scarsi investimenti fatti negli ultimi anni in materia di for-mazione, diventa cruciale investire nella riqualificazione e nella riconversione professionale del personale già in servizio . Particolare attenzione andrebbe infine dedicata alle competenze tecniche, competenze indispensabili all’attuazione dei numerosi e complessi progetti legati al PNRR, ma delle qua-li le pp.aa., enti locali in primis, risultano perlopiù prive proprio a causa delle politiche di limitazione del turnover e di blocco delle assunzioni alle quali sono state sottoposte negli ultimi quindici anni . Quanto invece alle modalità di erogazione delle attività formative, andrebbe attentamente considerata la possibilità di ricorrere alla didattica a distanza , la quale, pur con i suoi limiti, presenta indubbi benefici per le pp.aa. e per i pubblici dipendenti, facilitando infatti la partecipazione di questi ultimi ai percorsi formativi e consentendo alle prime di realizzare il miglior equilibrio possibile tra esigenze di servizio e fabbisogni formativi dei singoli lavoratori .
Infine, con riguardo all’efficacia delle politiche formative, andrebbe svilup-pata una riflessione sull'ambito ottimale di programmazione ed erogazione delle attività e delle iniziative poste in essere dalle pp.aa. e, in particolare, dal-le amministrazioni locali. A questo proposito, pare doveroso rammentare come, pur divergendo tra loro anche sensibilmente per il numero di abitanti e, di conseguenza, per il numero di dipendenti, tutti i Comuni siano chiamati a garantire alla propria collettività di riferimento gli stessi identici servizi, es-sendo del resto identiche anche le funzioni fondamentali loro attribuite . Si-mili, dunque, saranno anche i loro fabbisogni formativi, perlomeno qualora si tratti di amministrazioni di dimensioni comparabili e/o site in un territorio omogeneo. Proprio per questo motivo, l'ambito ottimale per l’implementazione delle politiche formative andrebbe individuato in circoscri-zioni territoriali ricomprendenti al loro interno più amministrazioni, quanto-meno per le professionalità comuni a tutte le amministrazioni locali. Lo svol-gimento in forma associata di queste politiche da parte di più amministrazio-ni, come già fanno molte Unioni di Comuni di cui all’art. 32 d.lgs. n. 267/2000 , sulle quali – non a caso – il legislatore fa espresso affidamento allo scopo di ridurre la spesa in materia di personale , consentirebbe infatti di realizzare importanti economie di scala, il che si tradurrebbe non solo in un cospicuo risparmio di costi, ma anche in politiche formative maggiormen-te efficaci. A favore di questa opzione, del resto, si esprimono già sia l’art. 49-ter, co. 5, CCNL Funzioni Locali, sia la già citata direttiva n. 10/2010. In-somma, così come viene promosso lo svolgimento in forma associata delle procedure di reclutamento , altrettanto andrebbe fatto per le politiche for-mative. Evidente, peraltro, come le problematiche e le relative soluzioni rela-tive al tema de quo vadano rintracciate nella dimensione subottimale di molti Comuni e nelle inefficienze che ne derivano . Occorre, quindi, insistere di più su Unioni e fusioni di Comuni, soluzioni dalle quali – infatti – deriva una razionalizzazione dei costi relativi al personale, nonché un miglior utilizzo del-le risorse umane. Urge, insomma, un’iniziativa del legislatore volta a rilanciare con slancio l’aggregazione degli enti locali per superare l’annosa problematica della “polverizzazione” dei Comuni , criticità che si riflette anche sul livello quali-quantitativo della formazione dei pubblici dipendenti, essendo infatti as-sodato come nelle amministrazioni di più piccole dimensioni si riscontri con maggiore frequenza una carenza di attività formative .
3.3. Flessibilità, lavoro agile e formazione.
Si avverte ormai da tempo all’interno delle pp.aa. l’esigenza di «una or-ganizzazione più flessibile, capace di rispondere rapidamente all’innovazione tecnologica e soprattutto alle esigenze dei cittadini e delle imprese», «una fles-sibilità che riguarda tre variabili: lavoro (gestione delle risorse umane), orga-nizzazione e tecnologia» (Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione so-ciale). Innegabile, a parere di chi scrive, come questi tre fattori si combinino e trovino la loro migliore espressione nell’istituto del lavoro agile, il quale, an-che nel pensiero del legislatore, costituisce un insostituibile strumento di va-lorizzazione del capitale umano e di sviluppo organizzativo . Del resto, le misure di conciliazione vita-lavoro adottate per il pubblico impiego, oltre che ad incrementare il benessere dei lavoratori, hanno da sempre avuto come obiettivo parallelo quello di favorire l'innovazione organizzativa all'interno della pubblica amministrazione e, per questa via, di incrementarne l'efficien-za . In particolare, il lavoro agile si presenta come una forma di flessibilità organizzativa idonea a favorire l'adattamento della pubblica amministrazione all'era digitale, stimolandone al contempo la riorganizzazione interna in vista di una diversa e più proficua gestione delle risorse umane .
L’istituto del lavoro agile, disciplinato dal Capo II della l. 22 maggio 2017, n. 81, ma sul quale, nel contesto del pubblico impiego privatizzato, insistono numerose altre fonti primarie e secondarie, si caratterizza per il concedere al lavoratore una ragguardevole flessibilità spazio-temporale nello svolgimento della prestazione lavorativa, flessibilità oggetto di un accordo tra le parti e funzionale tanto all’incremento della produttività dei lavoratori – e, quindi, all’efficienza e all’efficacia dell’azione amministrativa – quanto al migliora-mento del loro work-life balance . Com'è noto, alla diffusione del lavoro agile nelle pp.aa., di recente, ha purtroppo contribuito in maniera significativa l'e-mergenza epidemiologica da COVID-19, emergenza che, pur avendo stravol-to finalità e presupposti dell’istituto, ha comunque costretto tutte le ammini-strazioni a farvi i conti, nonché a riconsiderare l’organizzazione del lavoro ed il funzionamento degli uffici . Oltretutto, il lavoro agile – prima sostanzial-mente misconosciuto – sembra ora destinato a divenire un elemento struttu-rale dell’organizzazione del lavoro pubblico, circostanza che dovrebbe favori-re la digitalizzazione dei processi e dei servizi . In questo senso, è evidente come il lavoro agile costituisca un fattore di innovazione di importanza non trascurabile per le pp.aa., enti locali inclusi. Infatti, come messo in evidenza anche dalle Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) e indicatori di performance allegate al d.m. 9 dicembre 2020, «essendo il lavoro agile non un obiettivo in sé, ma una politica di change management, lo stesso interviene sulle risorse (processi, persone e infrastrutture) per ottenere un miglioramento in termini di efficacia ed efficienza dei servizi alla collettività» .
Tuttavia, come ogni cambiamento, anche il lavoro agile va “governato”, dovendo essere implementato sulla scorta di un’attenta pianificazione che sappia orientarne le potenzialità verso la giusta direzione. È quindi necessario un approccio differente rispetto a quello sperimentato durante l’emergenza pandemica. A questo scopo, ciascuna amministrazione, in base all'art. 14, co. 1, l. n. 124/2015, è tenuta a dotarsi di un Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA), uno strumento di programmazione che, oltre a mettere in stretta correlazione l’organizzazione del lavoro e l’istituto di cui al Capo II della l. n. 81/2017, mira a rendere le pp.aa. “agili” by default . Coerentemente, quindi, all’interno del POLA vanno indicati «le misure organizzative, i requi-siti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione ammini-strativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati» (art. 14, co. 1, l. n. 124/2015). In particolare, alle Linee guida non sfugge la necessità di misurare l’impatto esercitato dal lavoro agile sul benes-sere organizzativo e sul livello di engagement del personale, nonché di risponde-re ai bisogni formativi dei dipendenti e di favorire l’acquisizione di competen-ze digitali e soft skills connesse a tale differente forma di organizzazione del lavoro.
L'introduzione del lavoro agile all'interno delle pp.aa., in effetti, presuppo-ne «una formazione che insegni la flessibilità» o – se si preferisce – una sor-ta di “formazione al lavoro agile”, cioè l’adozione di specifiche azioni forma-tive volte all’acquisizione di competenze digitali e soft skills indispensabili allo scopo di rendere la prestazione lavorativa in modalità smart. Sulle prime, oltre al PNRR e al Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, insiste particolarmente pure l’Accordo quadro europeo sulla digitalizzazione del 22 giugno 2020, accordo il cui ambito di applicazione ricomprende al suo interno anche il settore pubblico e che invita gli attori delle relazioni industriali ad af-frontare le sfide poste dalla transizione digitale in un’ottica partecipativa e collaborativa, attribuendo in questo contesto un ruolo di primo piano proprio alla formazione e allo sviluppo delle competenze . Quanto alle seconde, va osservato come le soft skills acquisiscano un’importanza crescente proprio alla luce della volontà del legislatore di promuovere la massima diffusione del la-voro agile all’interno delle pp.aa. In maniera del tutto condivisibile, dunque, le Linee guida allegate al d.m. 9 dicembre 2020 invitano le amministrazioni ad «una riflessione organizzativa interna sulle competenze soft che entrano mag-giormente in gioco in questa diversa modalità di lavoro quali responsabilità, autorganizzazione/autonomia, comunicazione, orientamento al risulta-to/compito, problem solving, lavoro di gruppo, capacità di risposta, autosvilup-po e orientamento all’utenza». Trattasi infatti di competenze indispensabili al-la creazione di «una cultura organizzativa basata sui risultati, capace di gene-rare autonomia e responsabilità nelle persone, di apprezzare risultati e merito di ciascuno», cultura che costituisce una variabile fondamentale per il succes-so del progetto di innovazione organizzativa sotteso all’adozione del lavoro agile. Come riconosciuto anche dalle Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche adottate ai sensi dell'art. 1, co. 6, d.m. 8 ottobre 2021, va da sé, quindi, che «nell’ambito delle attività del piano della formazione [debbano essere] previste specifiche iniziative formative per il personale che usufruisca di tale modalità di svolgimento della prestazione», iniziative me-diante le quali si «dovrà perseguire l’obiettivo di addestrare il personale all’utilizzo delle piattaforme di comunicazione e degli altri strumenti previsti per operare in modalità agile nonché di diffondere moduli organizzativi che rafforzino il lavoro in autonomia, l’empowerment, la delega decisionale, la colla-borazione e la condivisione delle informazioni» (art. 5).
Detto altrimenti, posto che la formazione costituisce un fattore abilitante del lavoro agile, occorrono iniziative formative volte, da un lato, a rendere consapevoli i dipendenti pubblici, ma anche la dirigenza, del differente ap-proccio al lavoro che caratterizza l’istituto di cui al Capo II della l. n. 81/2017 – sì da accompagnare il cambiamento culturale imposto da tale nuovo model-lo organizzativo – e, dall’altro, a favorire l’acquisizione e lo sviluppo di nuove competenze – hard e soft – indissolubilmente legate al mutato contesto lavora-tivo. Stando così le cose, non si può che valutare positivamente il fatto che anche all’interno delle pp.aa., enti locali inclusi, in linea con quanto è possibile osservare nell’ambito del settore privato, inizi a registrarsi una crescente at-tenzione nei confronti di iniziative formative connesse al lavoro agile, a dimo-strazione del fatto che l’innovazione organizzativa non può che passare attra-verso la formazione e l’investimento nel capitale umano .
4. Da mera voce di costo a investimento per il futuro: la formazione dei pubblici dipendenti al centro dell’amministrazione di domani
In conclusione, va osservato come la transizione digitale e le prospettive di riforma dischiuse dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, ben conden-sate all’interno del PNRR e del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coe-sione sociale, spingano e rendano indispensabile un ripensamento degli assetti delle pp.aa., Comuni inclusi, nell’ambito del quale sarà cruciale il contributo delle risorse umane, presupponendo infatti il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi individuati dal legislatore un diverso approccio al reclutamento, alla valorizzazione e alla formazione del personale.
Con particolare riferimento alle politiche formative, occorre che le spese relative a queste ultime, da mere voce di costo, vengano effettivamente eleva-te e investimento per il futuro, un investimento che, per essere proficuo, ri-chiede non solo risorse adeguate, ma anche – come già evidenziato – un’attenta pianificazione e l’individuazione di soggetti, priorità ed ambiti di svolgimento adeguati e confacenti ai fabbisogni delle pp.aa. Ciò nella consa-pevolezza che la formazione e l’aggiornamento professionale dei pubblici di-pendenti, per quanto dispendiosi, sono indissolubilmente legati sia alla qualità dei servizi erogati dalle pp.aa., sia all’innovazione organizzativa delle stesse amministrazioni, due variabili dalle quali – attese le sfide poste dal PNRR e dalla transizione digitale – dipende il successo del sistema Paese, il benessere dei cittadini e la competitività delle imprese. Pur con qualche timore, consci del fatto che spesso i proclami del legislatore sono destinati a rimanere tali, non può dunque che auspicarsi che i recenti interventi normativi ed i pro-grammi varati dal Ministro per la pubblica amministrazione negli ultimi mesi siano il preludio di un serio rinnovamento della p.a., di un cambiamento che non sia solo di facciata, ma che prenda alla lettera lo spirito del PNRR e del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, mettendo davvero la formazione dei pubblici dipendenti al centro dell’amministrazione di domani.