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i grafici e le tabelle con i dati numerici

Sempre più donne al vertice negli ultimi tempi: prima Presidente del Consiglio della Repubblica, prima Presidente del Consiglio Nazionale Forense, prima Presidente della Cassazione, prima Segretaria di Partito, prima Rettrice…...l’elenco sarebbe lungo, tante sono le recenti “prime volte” delle donne al potere in Italia. Traguardi che vanno insieme all’evoluzione normativa in tema di gender gap e pari opportunità.
Probabilmente favorita da questo contesto, l’attenzione si è concentrata anche sulla componente femminile dell’Avvocatura, sempre più crescente: dapprima il dibattito sul linguaggio di genere – come si deve chiamare: Avvocato, Avvocata, Avvocatessa ??? – poi la fortunata quanto fantasiosa serie TV su Lidia Poët, hanno suscitato interesse e curiosità da parte del grande pubblico e costituito argomento per articoli di giornali e discussioni sui social.
Il tema, peraltro, è serio e l’Avvocata di oggi – così la chiamiamo d’ora innanzi, ma può andar bene tutto fuorché “Signora” vicino al collega uomo “Avvocato” – è invero il frutto di passate lotte ideologiche, ardue conquiste, assiduo impegno e studio di chi ci ha preceduto e a cui dobbiamo quello che siamo; il che per nulla o assai poco emergono dal personaggio romanzato della fiction.
Oggi è normale essere Avvocata, ma non è stato sempre così.
Lidia Poët (26.8.1855-25.2.1949), prima donna a frequentare Giurisprudenza all’Università di Torino , dove si laurea con una tesi sulla riforma a favore della istruzione ed educazione femminile e per il diritto di voto alle donne, è altresì la prima ad iscriversi, dopo molte discussioni in Consiglio, all’Ordine Forense di Torino: è l’1.8.1883, ma appena qualche mese dopo la Corte d’Appello dichiara nulla l’iscrizione, a motivo del fatto che “L’avvocheria è un ufficio esercitabile solo dai maschi”, e le donne non devono pretendere di essere uguali agli uomini “anziché rimanerne le compagne siccome la Provvidenza le ha destinate“. Ne segue una battaglia legale durata una vita: Lidia impugna la delibera sino in Cassazione, esercitando di fatto la professione presso lo studio legale del fratello, e solo nel 1919, a 65 anni, grazie alla legge di ammissione delle donne all’esercizio delle professioni , può nuovamente iscriversi, ancora una volta prima, all’Ordine degli Avvocati.
Lidia Poët ha fatto la nostra storia e tutte noi non possiamo non esserle riconoscenti.
Gli atti originali dell’epoca, in particolare le motivazioni dell’esclusione contenute nelle arringhe di procuratori, giudici, professori e avvocati che si pronunciarono sul caso, ci appaiono oggi incredibili, quasi ridicole se non fosse che hanno compromesso diritti primari e fondamentali delle donne. Ricordiamone alcune , giusto per farci l’idea di com’era la realtà italiana circa 100 anni fa, non poi tantissimi: nelle aule giudiziarie si discutono casi “che offendono la moralità”, ai quali “la donna non potrebbe prender parte senza perdere il fascino della poesia, l’elettricità del sentimento, l’incanto della grazia e del pudore”; senza contare “il rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi per non dire di altro, se si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’Avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani o bizzarri che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la Magistratura di esser fatta più che mai segno degli strali del sospetto e della calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorato un’avvocatessa leggiadra”.
Ebbene, quanto sforzo c’è stato nel combattere e superare questi assurdi pregiudizi, quanta fatica, quanti passi camminati da chi ci ha precedute e ci ha spianato la strada! Da sempre l’Avvocata è stata una donna tenace, capace di sfidare il potere e di competere, dovendo nascondere le proprie fragilità e dimostrare di valere come un uomo.
Oggi la situazione è, almeno in parte, cambiata: ci sono più Avvocate, in alcuni Ordini hanno finanche sorpassato i colleghi. Secondo il rapporto Censis 2023 sull’avvocatura italiana , la distribuzione per genere vede una leggera prevalenza maschile con il 52,3% sul totale, e in termini assoluti a livello nazionale sono 126mila gli avvocati uomini e 113mila le donne.
La quota maggiore di donne sul totale degli iscritti è inversamente correlata all’età anagrafica, con una maggiore presenza femminile sotto i 54 anni; ciò a dimostrazione di un fenomeno progressivamente in crescita nel corso degli anni. Da notare, che ha oltre 30 anni di servizio il 12% degli uomini e solo il 5% delle donne.
L’età media delle donne iscritte alla Cassa Forense è di 46,1, contro i 49,3 degli uomini.
La “femminilizzazione” dell’Avvocatura è più evidente del centro e nord Italia, mentre nel meridione la componente maschile è tuttora nettamente prevalente. Secondi i dati di Cassa Forense 2022 la Regione con più Avvocate è l’Umbria, seguita da Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia.
Peraltro, è stato l’Ordine di Bari che per primo, nel 1998, ha costituito il Comitato delle Pari Opportunità, divenuto organo obbligatorio ed elettivo in ogni Consiglio dell’Ordine dal 2012 , per la prevenzione e rimozione della discriminazione nell’attività professionale.
Un’inversione di tendenza l’ha determinata la pandemia da Covid-19, che ha pesato negativamente sull’intera categoria ma soprattutto sulle Avvocate, diminuite di 2300 unità: ciò sia per il calo di lavoro, sia per l’aumento dell’impegno familiare, dovuto alla didattica a distanza dei figli. Perché i compiti di cura e di gestione di casa e famiglia pesano ancora oggi soprattutto sulle donne. E non è un caso che le donne prendano in considerazione l’ipotesi di abbandonare la professione più frequentemente degli uomini.
Persiste il divario di reddito, mediamente inferiore per le professioniste rispetto ai colleghi, tanto che già il rapporto Censis 2022 testualmente riportava che “è proprio l’aspetto del reddito che caratterizza la professione delle donne avvocato”. In tutte la fasce d’età, il reddito delle donne iscritte all’Albo è inferiore di circa 30mila euro rispetto agli uomini, ed anche oltre nelle Regioni del Nord, in particolare proprio in Lombardia, e il gap aumenta con la progressione di carriera.
Le indagini in merito individuano le motivazioni di tale divario in pregiudizio/discriminazione da parte della clientela, scarsa conciliabilità dei tempi della professione con gli impegni familiari e di cura, svolgimento dell’attività professionale in materie (es. diritto di famiglia) meno remunerative, tendenza delle donne a farsi pagare meno degli uomini. Di certo le Avvocate più raramente dei colleghi si dedicano agli “affari” di M&A, al diritto societario e finanziario, settori notoriamente tra i più redditizi; e la loro clientela è prevalentemente locale e composta da persone fisiche e altri Avvocati, meno da imprese,
Ancora, le Avvocate sono più raramente titolari di studio, o Partner nei grandi studi associati, e svolgono più degli uomini gli incarichi di persona.
C’è, tuttavia, una nota positiva nel nuovo rapporto Censis 2023: i redditi degli Avvocati, in generale, sono cresciuti, ma quelli delle donne hanno avuto un incremento maggiore (13,5%), rispetto a quello degli uomini (13,2%).
Il gender gap nel reddito si riflette inevitabilmente anche sulle pensioni (gender pension gap), nettamente più basse per le donne, le quali percepiscono la pensione di anzianità più che di vecchiaia, cessando prima degli uomini l’attività.
Le donne risultano poi meno rappresentante negli organismi istituzionali e nelle posizioni di vertice dell’Avvocatura: si è dovuto attendere il gennaio 2022, dopo circa cent’anni dalla istituzione, per avere eletta la prima donna Presidente del Consiglio Nazionale Forense; Maria Masi, ed anche i Presidenti degli Ordini, così come delle Associazioni Forensi più rappresentative, sono ancora in larga maggioranza uomini, sebbene proprio di recente abbiamo visto crescere le eccezioni .
Dunque, se le Avvocate hanno ormai conquistato la parità numerica con i colleghi, la parità rappresentativa è invece un traguardo ancora da raggiungere. Grazie all’introduzione delle quote di genere nelle elezioni forensi è certamente aumentata la componente femminile negli organismi istituzionali e di governo dell’Avvocatura, ma le donne rimangono ovunque, a tutti i livelli, con la sola eccezione dei C.P.O., il genere meno rappresentato. Basti notare che nel Comitato dei Delegati di Cassa Forense per il quadriennio 2023/2026, su 80 delegati le donne sono appena 18 (22,5%).
Il deficit rappresentativo delle Avvocate è in linea con il deficit rappresentativo delle donne in generale, e sembra dipendere dalla (per loro) più difficile conciliazione tra impegni familiari, lavorativi e di rappresentanza politica, e dallo svolgimento dell’attività professionale in assenza di una struttura organizzativa complessa, e quindi di partners/collaboratori in grado di mandare avanti autonomamente il lavoro di studio.
I dati milanesi
Quanto sopra illustrato si riferisce al panorama generale italiano dell’Avvocatura.
Per quanto concerne, invece, il contesto specifico in cui noi operiamo, l’Ordine degli Avvocati di Milano, i dati sulla componente femminile sono stati esposti nell’intervento del Presidente Avv. Vinicio Nardo in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, relativamente al ventennio 2001/2022, così come qui si riportano: 

- dal 2001 al 2022 le Avvocate sono passate da 3.600 (vs. 5.575 uomini) a 10.523 (vs. 10.733 uomini);

- tra i praticanti, dall’anno 2001 le donne sono state costantemente assai più numerose degli uomini; sebbene sia gli uni che le altre siano progressivamente diminuiti: nel 2001 c’erano 5.427 praticanti (di cui 2.400 uomini e 3.027 donne), nel 2022 sono scesi a 4.081 (di cui 1.547 uomini e 2.534 donne);

- attualmente le Avvocate sono più numerose dei colleghi, in percentuale diversa, in tutte le fasce di età comprese tra 26 e 50 anni, mentre diminuiscono sensibilmente negli over 50, a dimostrazione di come la femminilizzazione della professione sia un fenomeno relativamente recente; 

- tra i praticanti, semplici ed abilitati, che rappresentano le nuove generazioni, la maggiore percentuale di donne è un dato costante in tutte le fasce d’età, dai 23 agli oltre 40 anni

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Si può dunque ritenere che l’Avvocatura è sempre più donna, seppure c’è ancora strada da fare per arrivare ad una parità sostanziale: le Avvocate, sono di più, ma meno pagate e rappresentate, e non è una differenza da poco. La vera rivoluzione sarà se e quando il sorpasso, o comunque la parità, sarà anche e soprattutto reddituale e d’impegno politico.
Di certo, la professione forense sta perdendo attrattiva per ambo i sessi, come dimostra la diminuzione dei praticanti, testimoniata dai dati sopra riportati e che noi stessi bene conosciamo: la ricerca del praticante è oggi un’impresa ardua, perché molti giovani preferiscono altre soluzioni lavorative più veloci, moderne e redditizie. Il che rischia di creare ripercussioni sul sistema previdenziale forense.
C’è un assoluto bisogno di rivisitazione e ammodernamento della professione, che deve evolversi con la società, ed adattarsi alle nuove forme di lavoro ed alle esigenze delle professioniste: l’organizzazione dello studio come coworking, unitamente all’uso dello smart working (perciò locali condivisi, anche ad occupazione alternata, e servizi comuni), e la realizzazione di servizi welfare, quali asili nido/scuole materne in convenzione con l’Ordine, ed anche uno spazio di baby sitting temporaneo nei Palazzi di Giustizia (come c’è in Ikea), potrebbero rappresentare importanti soluzioni, soprattutto per le donne, per ridurre i costi di gestione della professione – altissimi in città come Milano – e meglio conciliare i tempi vita/lavoro.
La svolta poi deve essere anche e soprattutto culturale e sociale: la vera condivisione della gestione familiare e del ruolo genitoriale è la strada maestra imprescindibile perché le donne possano affrancarsi da stereotipi che ancora oggi tanto le condizionano, anche nella libera professione.
Ci arriveremo? Può darsi, io ci credo. Perché più donne saremo, più sensibilità si avrà su questi temi, anche nell’Avvocatura italiana.

 

 

 

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