testo integrale con note e bibliografia
1. Introduzione
Normalmente, si tende a non considerare il fenomeno della violenza economica come una variante della violenza nei confronti delle donne. Eppure, la Convenzione di Istanbul defini-sce la violenza economica come una forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione nei confronti delle donne, consistente in tutte quelle condotte dirette a limitare o a negare l’indipendenza economica della donna e a comprometterne l’autosufficienza . Essa può mani-festarsi in diversi modi, come: l’impossibilità di accedere ai conti o ai redditi familiari, l’impedimento nella ricerca di un lavoro o nel mantenimento dello stesso, l’impossibilità di ge-stire i propri redditi o la difficoltà ad iniziare o proseguire gli studi. È frequente che il partner abusante utilizzi il controllo economico-finanziario come tattica per convincere la vittima a re-stare o a tornare con lui. Così come di frequente, l’assenza di risorse e sicurezze economiche induce la vittima a non denunciare le violenze subite per la difficoltà di provvedere a sé e ai propri figli.
La violenza contro le donne è la violazione più comune dei diritti umani in Europa e nel mondo. Gli effetti della pandemia da Covid-19 hanno peggiorato le condizioni economiche, lavorative e relazionali di molte donne, con un conseguente aumento dei casi di violenza do-mestica (Boxall et al. 2020; European Parliament 2020; Fletcher 2020). Le misure di distan-ziamento sociale hanno contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e la difficoltà ad attivare reti di supporto per uscire dalla violenza. Secondo i dati ISTAT , in Italia, nel periodo 1° marzo 2020 - 16 aprile 2020 c’è stato un aumento del 73% dei casi di violenza domestica rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019, con un aumento del 59% delle vittime che hanno chiesto aiuto rispetto all’anno 2019. Nel 2020 gli omicidi volontari ai danni delle donne sono stati 101 mentre nel 2021 114 .
In Spagna, secondo i dati della Delegazione del Governo contro la violenza di genere pres-so il Ministero della salute, dei servizi sociali e delle pari opportunità , nel periodo da gennaio a luglio 2022 le donne uccise per mano di un uomo sono state 26, di cui solo 7 avevano de-nunciato . In particolare, secondo i dati del Ministero spagnolo per le pari opportunità, le ri-chieste di aiuto al numero gratuito di assistenza e sostegno alle vittime di violenza di genere sono aumentate del 67% nel periodo marzo-giugno 2020, periodo coincidente con i mesi di lockdown, passando dalle 5.194 chiamate di febbraio 2020 alle 8.692 di aprile 2020. Un lavoro essenziale nel periodo di lockdown è stato svolto dai centri antiviolenza, i quali – in Italia co-me in Spagna – hanno continuato a fornire i propri servizi di supporto e assistenza legale e psicologica alle donne, pur lavorando prevalentemente da remoto e con tutte le difficoltà, economiche e logistiche, connesse alla gestione dei colloqui in sicurezza.
Nelle pagine seguenti ci si focalizzerà nello specifico sulla violenza economica, una forma di violenza contro le donne esercitata principalmente in contesti affettivo-familiari e non, ancora poco conosciuta e, in quanto tale, riconoscibile e denunciabile. Verranno analizzate le cosid-dette tutele economiche riconosciute in Italia per le donne vittime di violenza, con particolare attenzione al Reddito di libertà. Si tratta di un contributo economico introdotto nel corso della pandemia da Covid-19 e destinato alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, che hanno intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla violenza grazie al supporto dei centri antivio-lenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia. In Spagna, invece, diritti economici in favore delle donne vittime di violenza di genere sono stati introdotti sin dal 2004, ben 17 anni prima che il governo italiano, durante l’emergenza sanitaria, adottasse un provvedimento per far fronte all’aumento dei casi di violenza e di femminicidi, accentuati dalle conseguenze della pandemia da Covid-19.
2. La violenza economica come forma di violenza domestica
Quando si parla di violenza domestica, si fa riferimento ad ogni tipo di atto di violenza, controllo o abuso di natura fisica, sessuale, psicologica o economica esercitato in una relazio-ne affettivo-familiare da una persona al fine di stabilire e mantenere il potere sull’altra (Smith & Segal 2010; Kelly & Johnson 2008). Si tratta di un fenomeno trasversale che riguarda tutte le donne senza differenza d’età e di istruzione, cultura, nazionalità e posizione sociale. Essa non ha carattere isolato ma si sviluppa con una progressione di episodi sempre più gravi e combina diverse forme di violenza, in una successione temporale ciclica in cui, ad attimi felici, si alternano momenti di esplosione della violenza, seguiti da pentimento e scuse.
Ogni episodio di maltrattamento rende la donna sempre più fragile, diminuisce la sua capa-cità di reazione, aumenta il suo livello di tolleranza alla violenza. La violenza nei confronti del-le donne può assumere diverse connotazioni. Quella di cui si parla meno, perché meno cono-sciuta e percepita, è la violenza economica . La violenza economica (o abuso economico) con-siste nel rendere o tentare di rendere una persona, normalmente di sesso femminile, dipenden-te dal proprio partner dal punto di vista economico, mantenendo il controllo totale sulle risor-se finanziarie (personali e familiari), negando l'accesso al denaro e ai conti corrente, vietando o impedendo alla vittima di studiare o lavorare (Adams et al. 2008).
Accanto all’abuso economico cosiddetto controllante o limitante, se ne aggiunge un altro di tipo “criminale” che consiste in tutte quelle condotte dell’abusante dirette, a titolo esemplifi-cativo, a dilapidare il patrimonio della donna, farle firmare documenti senza spiegazioni per accedere a finanziamenti e prestiti, svuotare i conti corrente e rendersi nullatenente prima di una separazione, non adempiere agli obblighi di mantenimento stabiliti in sede di separazione o divorzio. La violenza economica produce degli effetti a lungo termine dal punto di vista non solo economico-finanziario, ma anche fisico e psicologico, ecco perché dovrebbe seriamente essere presa in considerazione. Secondo uno studio condotto dalla Michigan State University (Adams et al. 2008), è il livello di indipendenza e di autosufficienza ad influire significativa-mente sulla scelta della donna se restare nella relazione abusante o lasciare il partner; di con-seguenza, la violenza economica dovrebbe essere concettualizzata come una forma di abuso psicologico .
La conoscenza e la consapevolezza sull’esistenza degli abusi di natura economica sono il punto di partenza. Ed è per questo che, oltre all’educazione alla parità e al rispetto, la quale dovrebbe essere assicurata sin dall’infanzia , è importante che tutti i soggetti – pubblici e pri-vati – impegnati nella lotta alla violenza di genere, promuovano l’educazione delle giovani ge-nerazioni ad instaurare relazioni sentimentali sane, garantendo anche dei programmi di alfabe-tizzazione degli aspetti economici e patrimoniali all’interno delle relazioni affettivo-familiari, su come gestire le finanze e il patrimonio, e su come tutelarsi.
Programmi formativi di questo tipo non sono contemplati a livello pubblico. Al contrario, sta diventando sempre più frequente – per le associazioni e gli enti del terzo settore impegnate nella tutela delle donne e contro la violenza di genere – l’attuazione di progetti, finanziati dagli enti pubblici o dalle fondazioni private, finalizzati all’educazione finanziaria delle donne e delle ragazze, all’informazione sui diritti economici e patrimoniali nei contesti relazionali-familiari, all’assistenza nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, laddove conclamata, accompagnati, nel-le azioni più meritevoli, dall’erogazione di una parte delle risorse a disposizione per consentire alla donna in difficoltà di avviarsi verso un inizio di indipendenza economica . È l’indipendenza e la sicurezza economica, infatti, la vera spinta ad uscire da una relazione vio-lenta.
Oltre alla violenza economica, agita all’interno di contesti affettivo-familiari, è opportuno menzionare anche un altro tipo di violenza economica, riconosciuta a livello internazionale come rientrante nella più ampia accezione di discriminazione di genere, ed è quella che si svolge, ad esempio, nell’ambiente lavorativo o nella società in generale e che rende le donne economicamente più vulnerabili (UN Women 2000). Mentre l’abuso economico all’interno di una relazione si manifesta come espressione del potere di controllo esercitato dal partner sulla donna, nei contesti lavorativi o sociali l’abuso è storicamente frutto di una cultura che discri-mina le donne in quanto tali e, più in particolare, dell’assenza di politiche occupazionali, assi-stenziali e di welfare in favore delle donne e che consenta loro di avere un ruolo paritario all’interno della società, di politiche per la formazione e la riqualificazione alle nuove compe-tenze, per il sostegno all’imprenditoria femminile e il supporto fiscale.
Al contrario, lo scenario che emerge, inasprito dagli effetti della pandemia da Covid-19, è che le donne sono sempre meno occupate , anche per ragioni legate alla cura dei figli, guada-gnano di meno, raramente coprono ruoli di responsabilità o vedono decollare la loro carriera, hanno lavori precari, oltre al carico familiare e, di conseguenza, sono maggiormente esposte alla violenza domestica per via dell’insicurezza economica, la quale porta necessariamente a dipendere da qualcuno. E, quando un lavoro ce l’hanno, non è escluso che l’abusante faccia di tutto per impedire alla donna di lavorare o sabotare la sua vita professionale.
Ecco perché, per spezzare il circolo vizioso, assume importanza la conoscenza del fenome-no in tutte le sue connotazioni (Erickson, 2008), accanto alla previsione e attuazione di strate-gie che non rimangano isolate nel breve periodo. Da un lato, una buona opportunità ci è stata offerta, per quanto riguarda l’Italia, dall’adozione nel PNRR della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Il documento programmatico prende in considerazione 5 priorità strategiche volte a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere, ovvero: lavoro, reddito, competenze, tempo e potere, che si propone di raggiungere entro il 2026. Mentre il tema della violenza sessuale e di genere viene rimandato al Piano strategico naziona-le antiviolenza 2021-2023, nel quale si fa riferimento all’autonomia lavorativa, economica ed abitativa e alla diffusione dei luoghi dedicati alle donne. Dall’altro, una soluzione concreta e immediata contro la violenza economica e la violenza nei confronti delle donne potrebbe esse-re proprio il Reddito di libertà, se adeguatamente sostenuto e finanziato come strumento sta-tale di natura strutturale finalizzato a supportare economicamente le donne che abbiamo ma-turato la decisione di uscire da una relazione violenta, oltre che ad essere accompagnato da tutta una serie di misure capaci di consentire un reale percorso verso l’emancipazione femmi-nile.
3. Le tutele “economiche” previste in Italia per le donne vittime di violenza
In Italia, la violenza economica viene richiamata per la prima volta dall’articolo 3 del Decreto-legge n. 93/2013, convertito in Legge 119/2013 , che disciplina l’ammonimento disposto dal questore nei casi di violenza domestica, ovvero in presenza di “uno o più atti, gravi, ovvero, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazio-ne affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residen-za con la vittima”. La violenza economica non è qualificata come reato a sé stante.
Tuttavia, condotte come la privazione di risorse economiche, il controllo sull’impiego delle stesse o il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice in sede di separazione e divorzio , possono integrare il reato di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 del codice penale), la violenza privata (articolo 610 del codice penale), o la violazione degli ob-blighi di assistenza familiare, (articoli 570 e 570bis del Codice penale, articolo 12sexies delle Legge 898/1970 e articolo 3 della Legge 154/2006). Difficile e non sempre possibile è garanti-re la tutela del credito vantato dalla donna, ad esempio, quale conseguenza dell’inadempimento degli obblighi di assistenza familiare; è piuttosto frequente, infatti che si attuino operazioni finalizzate all’occultamento dei beni o dei redditi aggredibili in sede giudi-ziaria, difficili da aggredire anche attraverso il ricorso alle misure cautelari , le quali presup-pongono l’avvio di un’azione penale.
Dal punto di vista civilistico, si segnala l’istituzione del Fondo di solidarietà a tutela del co-niuge in stato di bisogno, finalizzato a sostenere il coniuge che si trovi in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento né a quello dei figli conviventi (mino-renni o maggiorenni non autosufficienti), qualora non riceva l’assegno di mantenimento da parte del coniuge a cui ne è tenuto. I dubbi e le perplessità sulla concreta utilizzabilità della misura sono tanti, così come sono tanti e stringenti i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma. In ogni caso, si tratta di una misura di sostegno economico sperimentale intro-dotta dalla legge di stabilità 2016 con una dotazione finanziaria limitata agli anni 2016 e 2017 .
Sussistendone i presupposti, è il Ministero della Giustizia presso il quale il Fondo è istituito a corrispondere la somma richiesta, il quale Ministero provvederà poi ad agire nei confronti del coniuge inadempiente per il recupero delle somme erogate al coniuge in stato di bisogno. Infine, tra gli strumenti economici a garanzia delle donne a seguito di abusi familiari rientra l’ordine di protezione , azionabile sia in sede civile che penale. Il giudice, allontanando il co-niuge o il convivente dalla casa familiare, può prescrivere il pagamento periodico di un asse-gno a favore delle persone conviventi, se per l’assenza dell’allontanato queste sono destinate a rimanere prive dei mezzi di sussistenza. Inoltre, nello stabilire le modalità di corresponsione delle somme, il giudice può ordinare che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, il quale potrà poi detrarlo dalla retribuzione a quest’ultimo spettante.
Dal punto di vista lavoristico, tra le tutele cosiddette economiche previste dal legislatore per le lavoratrici dipendenti del settore pubblico o privato vittima di violenza di genere è pos-sibile annoverare il congedo retribuito, a cui si aggiunge la possibilità di chiedere la trasforma-zione del rapporto di lavoro da tempo pieno in lavoro a tempo parziale, purché vi siano di-sponibilità in organico. Si tratta di strumenti che consentono alla donna lavoratrice di seguire percorsi di fuoriuscita dalla violenza certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dai centri antiviolenza e dalle case rifugio.
A tal fine, l’articolo 24 del Decreto legislativo n. 80/2015 riconosce alle lavoratrici dipen-denti del settore pubblico e privato , la possibilità di beneficiare di un congedo dall’attività la-vorativa, indennizzato per un periodo massimo di 3 mesi, al fine di svolgere un percorso di protezione certificato. Si tratta di una astensione facoltativa dal lavoro giustificata da motivi connessi alla situazione personale della donna vittima di violenza, durante la quale la lavoratri-ce ha il diritto di percepire un’indennità corrispondente all'ultima retribuzione, corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità .
Ai fini dell’esercizio di tale diritto, è necessario che la lavoratrice, salvo casi di oggettiva impossibilità, preavvisi il datore di lavoro (o il committente) sette giorni prima dell’inizio del percorso di protezione, con l'indicazione della fine del periodo di congedo e la produzione del-le certificazioni previste dalla legge. Il legislatore ha rimesso alla contrattazione collettiva la regolamentazione delle modalità di fruizione del congedo; in caso di mancata regolamentazio-ne, viene riconosciuto alla lavoratrice la possibilità di fruire del congedo su base oraria o gior-naliera, nell’arco complessivo di tre anni.
Un’altra possibilità prevista dal Decreto legislativo n. 80/2015 per la lavoratrice vittima di volenza di genere consiste nella trasformazione del rapporto di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale, verticale od orizzontale, ove ci sia disponibilità in organico .
Restano in ogni caso salve le disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collet-tiva. In proposito, merita di essere citato il contratto collettivo nazionale del settore metal-meccanico-industria, rinnovato il 5 febbraio 2021, il quale introduce delle misure più favorevo-li per le lavoratrici vittime di violenza di genere rispetto alla disciplina legislativa, riconoscendo il diritto di astenersi dal lavoro, per motivi connessi al percorso di protezione in atto, per un periodo massimo di sei mesi. La disposizione contrattuale prevede la retribuzione dell’intero periodo di congedo; tuttavia, mentre i primi 3 mesi rimangono a carico dello Stato, i restanti tre mesi sono a carico del datore di lavoro. Anche dalla fonte contrattuale viene riconosciuto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, indipendentemente dalla fruizione del congedo, non subordinato alla condizione che siano presenti posti di lavoro part time in organico, a differenza di quanto previsto dal decreto legislativo.
Il contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico ha portata innovativa poiché non si limita soltanto a definire gli aspetti legati al congedo e alla trasformazione del rapporto di lavoro in part-time, se richiesto dalla lavoratrice, ma introduce delle misure ulteriori. Tra queste, il diritto alla formazione continua, la possibilità di chiedere il trasferimento ad altra se-de, la possibilità di ricorrere a forme di flessibilità oraria o modalità agili della prestazione la-vorativa, la possibilità di usufruire di ferie e/o riposi “solidali”, ovvero maturati da lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro e ceduti, in questo caso alle lavoratrici vittime di vio-lenza in caso di necessità, a titolo gratuito. Infine, tra gli strumenti che il legislatore italiano ri-conosce in favore della donna lavoratrice vittima di violenza di genere, rientrano gli sgravi contributivi previsti in favore dei soggetti che decidono di assumere a tempo indeterminato donne vittime di violenza di genere, inserite in percorsi di protezione, debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio.
Sebbene non si tratti di misure economiche indirizzate direttamente alle donne ma di incen-tivi all’assunzione fruibili dal datore di lavoro che intende assumere le vittime di violenza inse-rite in dei percorsi certificati, contribuiscono in ogni caso a creare dei meccanismi di tutela, assicurando alla donna la possibilità di avere un’occupazione stabile che le consenta di com-pletare il percorso di fuoriuscita dalla violenza intrapreso. La previsione legislativa, infatti, prevede che siano incentivabili assunzioni a tempo indeterminato anche per lavoro domestico, rapporti di lavoro part time purché a tempo indeterminato e contratto di apprendistato; men-tre, ad esempio, l’incentivo non è previsto per i rapporti di lavoro intermittente e le prestazio-ni di lavoro occasionale .
Meno tutelate rispetto alle lavoratrici dipendenti sono le professioniste e le lavoratrici auto-nome, le quali non possono beneficiare di sgravi occupazionali o permessi e congedi retribuiti che, nei casi di violenza, potrebbero contribuire a preservare l’occupazione. In questo caso, potrebbero essere d’aiuto la previsione di strumenti di tutela, già contemplati dall’ordinamento spagnolo, quali la previsione di aiuti fiscali e di agevolazioni per l’accesso al credito – nel caso in cui la professionista si trovi nella condizione di dover sospendere la propria attività – oppu-re di forme di sostegno per l’imprenditoria femminile finalizzate ad avviare o riprendere l’attività lavorativa .
3.1. Il Reddito di libertà introdotto durante la pandemia da Covid-19
Nel contesto di eccezionale gravità dovuto alle conseguenze legate al diffondersi della pande-mia da Covid-19, tra i provvedimenti emergenziali adottati dal governo italiano si inserisce il DPCM del 17 dicembre 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 2021 , con il quale è stato istituito il Reddito di libertà per le donne vittime di violenza mediante lo stanziamento di 3 milioni di euro per l’anno 2020 , destinati all’erogazione di un sostegno economico di 400 euro mensili cumulabile con il reddito di cittadinanza ed erogabile fino ad un massimo di 12 mensilità. Il contributo economico viene destinato alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, che abbiano intrapreso un percorso personalizzato con il supporto di un centro antiviolenza specializzato nel sostegno alle donne vittime di violenza. L’obiettivo è quello di garantire alla donna, non economicamente indipendente, una base minima che le consenta di allontanarsi da un contesto familiare violento o da un partner abusante. Per poter beneficiare della misura economica, è necessario che la donna maltrattata presenti un’istanza e si trovi in condizioni di particolare vulnerabilità o di povertà, la cui condizione di bisogno straordinaria o urgente viene dichiarata dal servizio sociale territorialmente competente.
La domanda è presentata all’INPS, che erogherà il contributo entro i limiti delle risorse as-segnate a ciascuna Regione , unitamente all’approvazione del responsabile del centro antivio-lenza presso il quale la donna ha intrapreso il percorso personalizzato di autonomia, e alla di-chiarazione del servizio sociale di riferimento, attestante lo stato di bisogno legato alla situa-zione straordinaria o urgente. In data 8 novembre 2021, l’Istituto previdenziale competente ad erogare il sostegno economico ha emanato una circolare (n. 166/2021) riportante le indicazio-ni operative e le modalità per poterne fare richiesta, al fine di consentire concretamente ai cen-tri antiviolenza di attivare i progetti con le donne e avviare il dialogo con tutti i soggetti coin-volti. Tali soggetti sono chiamati ad accertare la sussistenza dei requisiti per l’erogazione del sussidio (INPS) e a certificare il reale stato di fragilità della donna (servizi sociali).
Prima che il governo italiano introducesse il Reddito di libertà, non esistevano tutele eco-nomiche assistenziali immediate e concrete per le donne maltrattate, nella maggior parte dei casi prive di risorse economiche indispensabili a maturare la decisione di allontanarsi da una relazione violenta e salvarsi. Il provvedimento nazionale è, tuttavia, successivo agli interventi legislativi territoriali intrapresi quale risultato del costante impegno assunto dalla rete italiana dei centri antiviolenza D.i.Re per il contrasto e la prevenzione della violenza sulle donne. Gra-zie al contributo e all’attivismo delle associazioni femministe, con la Legge n. 4 del 19 marzo 2014, successivamente modificata dalla Legge n. 7 del 10 giugno 2021, la Regione Lazio si è fatta promotrice dell’istituzione di un contributo di libertà per sostenere l’autonomia delle donne vittime e, soprattutto, i costi legati ad un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Si tratta di una misura economica erogata – per complessivi 5.000 euro annui – in favore della donna vittima di violenza seguita dal centro antiviolenza territorialmente competente e finalizzata alla copertura delle spese relative all’autonomia abitativa e alla riacquisizione dell’autonomia per-sonale, oltre alle spese relative al percorso scolastico e formativo dei/delle figli/figlie minori . Dopo la Regione Lazio, anche la Regione Sardegna ha introdotto, con la Legge n. 33 del 2 agosto 2018, un sussidio economico mensile – erogabile da un minimo di dodici ad un massi-mo di trentasei mesi – in favore delle donne vittima di violenza impegnate in un progetto per-sonalizzato di autonomia e indipendenza .
Sebbene la misura reddituale di sostegno introdotta a livello nazionale sia limitata, i segnali positivi che si possono cogliere dall’introduzione di un sostegno economico che consenta alle donne in difficoltà di intraprendere percorsi di libertà e di autonomia sono diversi.
1) Il riconoscimento esplicito che la violenza agisce su più fronti, fisico, psicologico ed an-che economico. La disponibilità di risorse economiche, seppur minime, per la donna vittima di violenza rappresenta il primo passo verso l’uscita dalla violenza domestica ed
è proprio l’assenza di indipendenza e autonomia che induce la vittima a non abbandonare un contesto relazionale/familiare violento, non perché non vuole andarsene, ma perché non può. La previsione di forme di aiuto economico rappresenta un tassello importante verso la prote-zione delle donne dalla violenza, poiché intervengono in una fase precedente a quella emer-genziale e contribuiscono ad interrompere la spirale della violenza o, nella migliore delle ipote-si, ad evitarla.
2) Viene attribuito un ruolo centrale ai centri antiviolenza, i quali rappresentano il primo contatto per la donna che ha preso consapevolezza e vuole essere aiutata. Si tratta
di strutture nella maggior parte delle ipotesi non statali, gestite prevalentemente da associa-zioni non profit che si autofinanziano e dalle quali le vittime di violenza, di maltrattamenti e di ogni altra forma di discriminazione vengono accolte a titolo gratuito da professioniste spe-cializzate nella lotta alla violenza e alle discriminazioni e sulle questioni di genere. Le profes-sioniste, sulla base dei bisogni emersi dai colloqui preliminari svolti congiuntamente da avvo-cata e psicologa, elaborano dei progetti personalizzati di indipendenza, autonomia e di allonta-namento dalla violenza, attraverso il collegamento con tutte le strutture territoriali (strutture ospedaliere, servizi sociali, servizi scolastici, case rifugio e di semiautonomia, procure, questu-re) in grado di fornire un supporto reale verso la vita e la libertà. Durante la pandemia e l’isolamento, gli enti e le associazioni no profit che gestiscono le strutture di accoglienza per le donne sono rimaste attive, garantendo assistenza h24, anche da remoto e con tutti i mezzi a disposizione, supporto legale e psicologico in emergenza e al fine di assicurare la prosecuzione di progetti di fuoriuscita dalla violenza, già programmati e iniziati e che rischiavano di inter-rompersi. Questo è il motivo per il quale la previsione normativa che ricollega l’erogazione del Reddito di libertà alla certificazione, effettuata dal centro antiviolenza, in merito all’esistenza della condizione di fragilità della vittima e alla volontà di intraprendere un reale percorso di fuoriuscita dalla violenza, non è da considerare discriminatoria nei confronti di chi, invece, non si rivolge al centro antiviolenza in ipotesi di violenza. Al contrario, i centri antiviolenza hanno un ruolo principale quali strutture in grado di costruire un progetto di emancipazione in situazioni di violenza e fragilità acclarare, con il supporto dei servizi sociali, ed evitare l’erogazione della misura in assenza dei presupposti previsti dalla norma.
3) Infine, è proprio l’attivazione della rete territoriale di riferimento che assume rilevanza nel provvedimento istitutivo del Reddito di libertà, ovvero il ruolo sinergico e collaborativo del centro antiviolenza che prende in carico la vittima mediante la costruzione di un progetto per-sonalizzato, l’INPS a cui viene presentata la richiesta di aiuto economico, e i servizi sociali che ne accertano lo stato di bisogno reale.
Visto l’elevato numero di domande presentate all’INPS immediatamente dopo l’emanazione della circolare recante le modalità operative per la richiesta di erogazione della misura, l’Istituto si è nuovamente pronunciato con un messaggio del 7 dicembre 2021comunicando l’impossibilità di accogliere le istanze per insufficienza delle risorse statali stanziate alle Regioni. E a distanza di un mese esatto dalla possibilità di poter fare richiesta per beneficiare del sussidio economico a favore delle donne vittime di violenza, non è proprio il risultato che ci si aspetta. Il sussidio è stato successivamente rifinanziato, seppur in misura limitata rispetto alle reali esigenze .
4. I diritti economici riconosciuti dall’ordinamento giuridico spagnolo
Con la Legge 1/2004, il governo spagnolo ha varato una serie di misure finalizzate alla costru-zione di un sistema integrato di assistenza, prevenzione e protezione per far fronte alla violen-za di genere. Essa, adottata precedentemente alla ratifica in Spagna della Convenzione di Istanbul (2014), contempla una serie di strumenti e interventi in diversi ambiti, tra cui: misure che vanno dalla sensibilizzazione ed educazione al rispetto dei generi, agli obblighi di forma-zione per il personale del sistema scolastico e all’attività di promozione per l’eliminazione dell’immagine stereotipata e discriminata delle donne in ambito pubblicitario e mediatico; dalla previsione di forme di finanziamento per i centri antiviolenza e i servizi di assistenza alle don-ne e alla previsione di strumenti per l’assistenza in ambito sanitario; dalla previsione di diritti economici e lavorativi per le donne che hanno subito violenza all’accesso semplificato alle in-formazioni sugli strumenti esistenti a tutela della vittima di violenza; fino all’assistenza legale gratuita e di orientamento al lavoro e alla previsione di meccanismi di sostegno economico per consentire l’indipendenza della donna dal partner abusante.
Se restiamo nell’ambito degli aiuti economici riconosciuti dall’ordinamento spagnolo nei confronti delle donne vittime di violenza di genere, possiamo distinguere tre diversi tipi di so-stegno.
Il primo, risale al 1995 e consiste in una misura assistenziale, di natura sia economica che sociale, in favore delle vittime di reati violenti e di reati contro la libertà sessuale, non esclusi-va per le donne vittime di violenza di genere, ma a cui queste ultime possono accedere se si trovano nelle condizioni contemplate dalla Legge 35/1995.
Il secondo, è quello previsto dall’art. 27 della Legge 1/2004 recante Misure di protezione integrale contro la violenza di genere. Si tratta di un aiuto economico rivolto specificamente alle donne vittime di violenza di genere, finalizzato a facilitarne l'integrazione sociale, soprat-tutto nei casi in cui le donne presentino ulteriori difficoltà, per motivi di età, mancanza di formazione generale o specialistica, o altre circostanze. E’ indispensabile provare, in questo caso, la condizione di vittima di violenza di genere. Si tratta di un sussidio forfettario, compa-tibile con la misura prevista dalla Legge 35/1995, e l’importo equivale generalmente a sei mensilità di indennità di disoccupazione.
A queste forme di sostegno, si aggiunge quella del programma del reddito per l’inserimento attivo (RAI), introdotta con il Regio decreto-legge 1369/2006 e che consiste in una forma di assistenza finanziaria concessa ai disoccupati attraverso la quale vengono realizzate azioni vol-te ad aumentare le opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. Anche la donna vittima di violenza può beneficiare di questo sostegno, fino ad un massimo di dodici mesi (che diven-tano diciotto/ventiquattro in caso di invalidità della donna o di un familiare a carico), purché abbia intrapreso un percorso assistito (di orientamento e formazione) .
Sul fronte lavorativo, le donne maltrattate che abbiano intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla violenza hanno la possibilità di usufruire della sospensione dell’attività lavorativa per un massimo di sei mesi e con reintegrazione obbligatoria nel contratto di lavoro terminata la si-tuazione di necessità. Come per la maternità, anche in questo caso è lo Stato a sostenerne le spese. A tutela del rapporto di lavoro, per le lavoratrici dipendenti vittime di violenza è possi-bile anche ottenere il trasferimento presso altra sede, flessibilità di orario e permessi retribuiti per consentire alla donna di portare a termine il programma di fuoriuscita dalla violenza. Sono previsti incentivi per la imprese che assumono donne vittime di violenza e, più in generale, per contrastare la disparità salariale e, in caso di dimissioni volontarie, alla lavoratrice viene rico-nosciuto il diritto alla disoccupazione al pari delle ipotesi di licenziamento. Per le lavoratrici autonome e le professioniste vittime di violenza di genere, è prevista una sospensione della tassazione fino ad un massimo di sei mesi in caso di sospensione dell’attività lavorativa, oltre alla previsione di incentivi per l’avvio di attività imprenditoriali e per la mobilità professionale.
La Spagna è uno dei 3 Paesi membri dell’UE, insieme ad Irlanda e Lituania, ad aver intro-dotto, durante la pandemia da Covid-19, un piano di azione come risposta immediata specifi-camente indirizzato a gestire il problema legato all’escalation della violenza domestica (EIGE 2020) . Il governo spagnolo, congiuntamente con il Ministero per le pari opportunità, ha mes-so in atto una strategia per gestire l’emergenza della violenza sulle donne nel contesto della crisi sanitaria e contrastare il potenziale aumento dei casi di violenza come effetto collaterale del lockdown imposto dalla pandemia. Il piano di emergenza, approvato dal Consiglio dei Mi-nistri il 31 marzo 2020 attraverso il regio decreto-Legge 12/2020, è stato concepito per soste-nere sia le azioni esistenti messe in atto in circostanze normali, sia per l'adozione di nuove mi-sure specificamente concepite per aiutare le donne vittime e i loro figli a superare le difficoltà che avrebbero dovuto affrontare durante il lockdown.
Nel provvedimento, le donne vittime di violenza di genere vengono considerate come sog-getti a rischio nella condizione data dall’isolamento domestico, poiché sono costrette a vivere con il partner abusante. Inoltre, viene riconosciuto carattere essenziale ai servizi integrati di assistenza e protezione per le vittime di violenza di genere, nell’ambito dei quali i servizi di in-formazione consulenza legale e psicologica - per telefono e online - e i servizi di teleassistenza e assistenza sociale completa, devono essere forniti 24 ore su 24, così come prevede che deb-bano essere garantiti il normale funzionamento dei centri di emergenza, delle case di acco-glienza e degli alloggi sicuri per le vittime di violenza di genere, tratta e sfruttamento sessuale. Nel testo è previsto anche un sistema di monitoraggio telematico sulla corretta esecuzione delle misure cautelari e del divieto di avvicinamento alla vittima. Infine, dovranno essere con-dotte campagne di sensibilizzazione con l’obiettivo di prevenire l’impatto che l’isolamento domestico può avere sull’aumento dei casi di violenza di genere e facilitare l'accesso delle vit-time a servizi di assistenza integrati .
A dimostrazione di quanto in Spagna ci sia consapevolezza sull’importanza del riconosci-mento, a tutti i livelli, di strumenti concreti per far fronte alle discriminazioni e alle violenze nei confronti delle donne, fino a considerare gli effetti più drammatici, più recentemente si se-gnalano: l’adozione della Legge 2/2022 recante misure per migliorare la protezione degli orfa-ni di vittime di violenza di genere, in materia fiscale ma anche di prestazioni sociali, e in tema di procedura applicabile alla liquidazione della comunione dei beni e all’eredità; infine, l’approvazione, il 26 maggio 2022, dal Congresso dei deputati, della legge sulla garanzia inte-grale alla libertà sessuale, per la prevenzione, la cura e la protezione di tutte le donne e i bam-bini vittime di violenza sessuale. Senza pretese di esaustività, si tratta di una legge che assume particolare importanza per la centralità che assume il consenso, come espressione della libertà sessuale, e la formazione di tutte le figure a contatto con la vittima (polizia, personale sanita-rio, forense e dell'amministrazione della giustizia), per combattere gli stereotipi e i pregiudizi che danneggiano le donne e i bambini vittime di violenza sessuale, ed evitare la (ri)vittimizzazione in sede giudiziaria. Per la prima volta viene riconosciuto il diritto alla ripa-razione per le vittime di violenza sessuale, mediante l’istituzionalizzazione dei meccanismi af-finché le vittime di violenza sessuale abbiano lo stesso accesso delle vittime di violenza di ge-nere al reddito di integrazione sociale, inclusa l’assistenza finanziaria per le vittime di violenza sessuale che guadagnano meno del salario minimo.
5. Conclusioni
Per uscire dalla violenza domestica, la sicurezza economica per la donna vittima è imprescin-dibile. Non solo come strumento per far fronte ai costi derivanti dall’avvio di un percorso di fuoriuscita da un rapporto violento, ma perché è proprio l’assenza di indipendenza economica che spinge la vittima a non allontanarsi da un partner violento e a sottostare agli abusi per l’assenza di autosufficienza, e di un’alternativa.
Per molto tempo, la violenza economica non ha ricevuto l’attenzione adeguata come feno-meno a sé stante della violenza domestica, principalmente per la mancanza di attenzione riser-vata alla connessione tra gli abusi e il denaro. In realtà, essa rappresenta il punto di partenza se si vogliono interrompere i meccanismi della violenza agita sulle donne ed evitare gli epiloghi più tragici.
Affinché si acquisisca maggiore consapevolezza su questa specifica connotazione della vio-lenza sulle donne, è indispensabile agire su più fronti. In ottica preventiva, le donne e le ragaz-ze, ma anche e soprattutto le figure professionali chiamate ad intercettare
i casi di violenza (assistenti sociali, personale sanitario, forze dell'ordine, avvocati), devono es-sere sensibilizzate, informate e formate attraverso programmi finalizzati a far acquisire consa-pevolezza sull’importanza dell’indipendenza economica e dell’autodeterminazione, così come sulla conoscenza dei diritti, anche economico-patrimoniali, spesso considerati “estranei” ri-spetto ai rapporti di coppia, e su come tutelarli dagli abusi.
Oltre al livello preventivo, indispensabile per favorire l’emersione del fenomeno in tutti i suoi elementi e il cambiamento culturale sul ruolo ricoperto dalla donna in una società senza discriminazioni legate al genere, ma che non produce effetti immediati, occorre che il settore pubblico faccia la parte più importante nella tutela di diritti fondamentali, quali sono quelli in discussione. E’ necessario, perciò, che lo Stato investa assicurando degli strumenti concreti, strutturali e con effetti a lungo termine: garantire alle donne – ancora prima che possano esse-re inquadrate come vittime di violenza – le basi per costruirsi una sicurezza lavorativa e l’indipendenza economica che permetta loro di affermarsi personalmente e professionalmente ed essere in condizione di interrompere una relazione abusante. Tuttavia, anche quando è la donna ad avere uno status economico più elevato all’interno della relazione, tale condizione non elimina necessariamente la minaccia di violenza e abusi, i quali possono concretizzarsi, ad esempio, nella sottrazione dei guadagni alla vittima, o nel rendere la vittima inadatta al lavoro attraverso sabotaggi o maltrattamenti fisici mirati.
Il problema della violenza domestica, perciò, richiede soluzioni specifiche e immediate: i congedi per le donne che hanno avviato percorsi di fuoriuscita dalla violenza, insieme ai pro-grammi di alfabetizzazione finanziaria e alla recente introduzione del reddito di libertà vanno in questa direzione. Allo stato attuale, il Reddito di libertà, introdotto in Italia come strumento per far fronte all’emergenza della violenza sulle donne esacerbata dagli effetti della pandemia, rappresenterebbe l’unico aiuto economico concreto in favore delle donne che decidono di al-lontanarsi da un contesto relazionale e familiare violento, intraprendendo un percorso di auto-nomia che altrimenti non avrebbero la possibilità di avviare, ma solo se elevata a misura strut-turale e permanente e dotata di un’adeguata copertura finanziaria.
Secondo l’analisi condotta dalla rete dei centri antiviolenza D.i.Re, se si considerano i nu-meri delle donne accolte ogni anno dai centri antiviolenza, le somme investite per finanziare la misura dovrebbero essere più cospicue poiché quelle attualmente a disposizione non sono in grado di garantire delle risorse adeguate per uscire dalla violenza . Del resto, il fatto che si tratti di un sostegno importante per tutte quelle donne il cui limite prevalente all’allontanamento da un partner abusante è la dipendenza economica da lui e l’impossibilità di provvedere a sé stesse e ai propri figli, emerge dal numero di domande presentate all’INPS a partire dall’8 novembre 2021.
E per far fronte al numero di richieste pervenute e non accolte per carenza dei fondi statali allocati, le Regioni e le Province autonome hanno la possibilità di incrementare (e lo hanno fatto) con proprie risorse il fondo statale dedicato, presentando domanda all’INPS e finan-ziando così le domande presentate nella stessa Regione o Provincia autonoma non accolte per insufficienza dei fondi assegnati.
In termini di occupazione femminile e di investimenti, un impatto significativo avrebbe povuto avere l’attuazione del PNRR per la ripresa post-pandemica delle attività produttive e dell’economia, rivelatasi un’opportunità sprecata. Sebbene nel piano programmatico le politi-che di genere rappresentino una priorità trasversale nei settori presi in considerazione, l’obiettivo è favorire l’inclusione lavorativa, sancendo l’obbligo di assicurare che almeno il 30% delle assunzioni necessarie alla realizzazione dei progetti finanziati dal PNRR sia destinato, per quel che qui ci interessa, alle donne. Un’importante innovazione in questo senso è la previsio-ne di clausole di condizionalità e premialità che le stazioni appaltanti dovrebbero prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e premiali dell’offerta, al fine di promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, fino all’età di trentasei anni, e di donne. In questo modo l’occupazione femminile verrebbe resa obbligatoria e condizionerebbe sia l’accesso ai fondi in sede di presentazione dell’offerta, sia l’esecuzione del progetto. Tuttavia, un’implementazione effettiva del piano non può dirsi rea-lizzata .
Secondo i dati resi disponibili da Open Polis e Anac a maggio 2023, è emerso che il 96% delle 34.377 gare analizzate non prevede misure di premialità per la parità di genere, e nel 68% dei casi non ci sono obblighi per la previsione di una quota di occupazione femminile o giova-nile . In 5 missioni su 6 si hanno percentuali di applicazione delle misure premiali per la parità di genere sotto al 10%, nonostante il PNRR preveda meccanismi di premialità e di condiziona-lità per l’utilizzo dei fondi, e le due missioni a cui andranno la maggior parte dei fondi (Digita-lizzazione e Turismo) insieme raggiungono solo il 5,6% .
Infine, dalla lettura del recente DL lavoro del 4 maggio 2023, esso sembrerebbe mettere in discussione una forma di supporto al reddito fondamentale per molte donne che hanno subito violenza, poiché prevede la sostituzione del Reddito di cittadinanza con il nuovo Assegno di inclusione, la cui erogazione è soggetta a criteri di accesso più stringenti. A tal fine, l’art. 6 sembra escludere dalla misura le donne che hanno subito violenza ma non hanno minori a ca-rico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica, poiché è riconosciuto a ri-chiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant’anni di età, e prevede che tutte le persone facenti parte del nucleo familiare maggio-renni che esercitano la responsabilità genitoriale, non siano occupati o frequentanti un regola-re corso di studi, e non abbiano carichi di cura. Inoltre, i beneficiari sono tenuti all’obbligo di adesione a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, individua-te nel progetto di inclusione sociale e lavorativa, condizione limitante per quelle donne che hanno intrapreso dei percorsi certificati di fuoriuscita dalla violenza e presentano bisogni spe-cifici.