testo integrale con tabelle. note e bibliografia
rapporto sulla professione 2024
Quella dei Consulenti del Lavoro è una Categoria che si interroga molto sul futuro della professione e su come affrontarlo in considerazione del mutato contesto sociale ed economico del nostro Paese. Ma non solo: s’interroga molto anche su come affrontare le diversità esistenti al suo interno e non solo di genere, studiando meccanismi di solidarietà innanzitutto intergenerazionale e poi nei confronti dei più fragili e di coloro i quali hanno difficoltà nello svolgimento della professione. Rispetto al gender gap, sul quale c’è un focus particolare in questo periodo, significativa è la scheda di sintesi pubblicata in coda al presente articolo e abbiamo motivo di credere che la situazione non sia dissimile nelle altre categorie professionali. I dati aiutano molto a illuminare il sentiero che i dirigenti di categoria devono percorrere e qui di seguito ne riportiamo alcuni, tratti dal Rapporto elaborato dall’Ufficio Studi dei Consulenti del lavoro , basato su un campione di 250 aziende - presentato a gennaio 2024 in occasione degli Stati Generali dei Consulenti del Lavoro, evento celebrativo del 45° anniversario della Legge istitutiva n. 12 del 1979, organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in collaborazione con ENPACL, Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, Fondazione Consulenti per il Lavoro, ANCL e ANGCDL. Dal rapporto emergono dati che fanno riflettere sulla presenza della componente femminile fra gli iscritti alla professione e all’Enpacl, la cassa di previdenza dei consulenti del lavoro. Nei paragrafi a seguire che, senza pretesa di esaustività intendono tratteggiare il quadro al femminile della professione, si cercherà di mettere in evidenza i numeri, il sentiment e qualche riflessione sul prossimo futuro riprendendo ampi stralci del Rapporto e di altri documenti elaborati dalla Categoria.
Il Rapporto indica che l’80% delle aziende private ricorre alle prestazioni professionali dei Consulenti del lavoro che contano, al 31 dicembre 2023, fra gli iscritti agli Ordini provinciali dei Consulenti del Lavoro 26.308 soggetti, ripartiti tra 25.570 professionisti e 738 STP.
Rispetto al passato
- il numero dei professionisti risulta leggermente in crescita rispetto ai cinque anni precedenti, quando aveva oscillato tra i 25.254 del 2020 e i 25.419 del 2022
- cresce stabilmente quello delle società tra professionisti: da 528 del 2019 a 631 del 2021 fino agli attuali 738.
La tendenza attesta una certa stabilità del numero dei professionisti sul campo.
Il dato interessante - oltre a dirci che la categoria ha “resistito” a fenomeni di grande impatto degli ultimi anni, dal Covid all’invecchiamento demografico fino alla “perdita” di appeal della categoria verso i giovani, - è il seguente: “La tenuta dei numeri è stata garantita dalla crescita della componente femminile tra gli iscritti, passata da 11.672 del 2019 a 11.958 del 2023. Di contro, il numero dei professionisti si è ridotto di qualche unità (da 13.651 a 13.617), determinando un incremento della quota complessiva di donne sul totale degli iscritti. Se nel 2019 queste rappresentavano il 46,1% nel 2023, la loro incidenza è salita al 46,7%”.
Altri dati significativi possono essere così riassunti:
- distribuzione per classe d’età: le donne presentano un profilo decisamente più giovane. Infatti, il 16,5% (contro il 13,4% degli uomini) ha meno di 41 anni, e il 31,4% (contro il 27,3% degli uomini) tra i 51 e 50 anni. Complessivamente, ha meno di 50 anni il 47,9% delle donne e il 40,7% degli uomini. Di contro tra questi ultimi, risulta molto più elevata la quota di over 60, pari al 30,2% (contro il 20% delle donne). Fra le nuove iscrizioni, in modo particolare, spicca la presenza delle neo iscritte anche se tra i Consulenti con meno di 30 anni, le donne sono il 60,8%, e tra i 30-34enni, rappresentano il 55,3%. Il rapporto tra uomini e donne diventa pressoché paritario tra i 35 e 59 anni, mentre nelle fasce d’età successive, la presenza femminile tende a ridursi significativamente, diventando via via minoritaria;
- distribuzione per aree geografiche del Paese: si registra una “spinta” alla professione specie nelle aree del Nord anche in questo caso trainata dalla presenza femminile. Al Centro il rapporto uomo-donna si avvia verso la parità per scendere al 40,3% circa nelle aree del Sud.
Sin qui una sintesi che ha riguardato il rapporto unicamente sul dato della presenza femminile fra gli iscritti.
Ma vi è anche un altro dato da considerare. Ed è quello che riguarda le ricadute sul sistema Enpacl di una professione che, come visto, ha una forte declinazione al femminile.
Soccorre, sul punto, un rapporto di Enpacl “Progettare il futuro: scenari di evoluzione della professione del consulente del lavoro nel dopo pandemia” che ha riportato i risultati dell’indagine svolta presso gli iscritti agli Ordini dei Consulenti del Lavoro tra l’11 e il 20 ottobre 2021 tramite la somministrazione di un questionario a struttura chiusa per mezzo della piattaforma on line della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Hanno partecipato all’indagine 6.045 iscritti, per un tasso di adesione pari al 23,6%.
Il profilo dei rispondenti ricalca quello dell’universo professionale con una presenza femminile che si attesta al 45,5% (gli uomini sono il 54,5%) e un’età media attorno ai 45-54 anni (il 32,5% degli iscritti appartiene a questa fascia d’età). I giovani con meno di 35 anni sono il 4,3% della popolazione, mentre il 21,8% ha tra i 35 e 44 anni, il 26,4% tra i 55 e 64 anni e il 14,9% più di 65 anni. A livello geografico, il 21,7% dei rispondenti risiede al Nord Ovest, il 19,5% al Nord Est, mentre il 24,3% al Centro e il 34,5% al Sud.
La distribuzione del campione non presenta forti differenze dal punto di vista territoriale, eccetto una maggiore concentrazione al Sud di uomini (sono il 60,9% degli iscritti) e di giovani appartenenti alla fascia d’età tra i 35 e 44 anni (27,1%).
I dati del 2021 appaiono, di base, riflettere il trend che poi è stato riproposto nel 2024 e riportato sopra.
Il report ci svela, però, altri dati che ci portano direttamente sul piano delle pari opportunità: rispetto al periodo di forte crisi dell’epoca (pandemia da Covid 19 e le ricadute su tutti i piani sia privati che professionali) “le donne appaiono il segmento più affaticato. Pur avendo risposto con uguale tempestività ed efficacia alla crisi, le professioniste continuano a scontare le difficoltà, ancora tutte prevalentemente femminili, del combinare sfera familiare e professionale: sono circa il 7% le intervistate che dichiarano di avere rinunciato alla maternità per conseguire i propri obiettivi professionali, ma tra le under 35 e le 35-44enni il valore sale rispettivamente al 10,5% e 11,7%.
A ciò si aggiunge una difficoltà tutta specifica con il mercato, che molte di loro individuano come l’ambito in cui più si fa fatica a vedere riconosciute le pari opportunità, in particolare nell’acquisizione dei clienti più grandi e nel valore degli incarichi”.
Così testualmente il report.
Che aggiunge un altro dato interessante: il quadro professionale offerto dall’indagine si presenta molto omogeneo, con il 91,9% degli iscritti che esercita l’attività professionale in via principale.
Ma va registrato un altro dato: emergono diversità nell’occupazione principale. Tra gli uomini si riscontra infatti una maggiore incidenza di lavoratori autonomi, e in particolare professionisti (sono il 19% di quanti non esercitano la professione in via principale contro il 7,2% delle donne); mentre tra le donne prevale il lavoro alle dipendenze, sia in aziende private (38,7%) sia in studi professionali (29,4% contro l’8% degli uomini).
E rispetto alle prospettive future, la maggioranza del campione non sembra interessato alla libera professione: per il 18,8% le esigenze familiari impediscono di considerarla un’opzione praticabile (tra le donne la percentuale sale al 24,1%), mentre il 17,6% non vuole rinunciare alla stabilità di un reddito sicuro da lavoro dipendente.
L’8,8% (ma tra le donne il valore sale al 10,9%) afferma invece di non avere risorse adeguate a mettersi in proprio, mentre il 6,9% pensa che il mercato dei servizi di consulenza del lavoro non offra opportunità sufficienti per “fare il salto” verso la libera professione.
Il testo evidenzia, poi, alcune disparità di genere nel contesto lavorativo, in particolare riguardo all'innovazione tecnologica e ai cambiamenti introdotti dalla pandemia.
Disparità di genere e innovazione tecnologica: le donne sembrano beneficiare meno degli uomini dei vantaggi dell'innovazione, soprattutto in termini di mercato e produttività. E un dato balza agli occhi: le professioniste apprezzano maggiormente l'opportunità di lavorare da casa.
Rispetto all'introduzione di innovazioni tecnologiche, le donne lamentano più spesso la mancanza di tempo (58,3% delle donne contro il 51,9% degli uomini) e l'onerosità degli investimenti.
Questi dati fanno presumere che, in un mercato in rapido cambiamento tecnologico, le donne potrebbero trovarsi in difficoltà nel rimanere competitive a causa della necessità di nuovi investimenti economici, di crescita professionale e di tempo.
Impatto della pandemia sul lavoro: tutti i professionisti hanno riscontrato un sovraccarico di lavoro durante la pandemia, ma con intensità diverse. Infatti, i piccoli studi hanno sofferto maggiormente a causa del calo della domanda e dei ritardi nei pagamenti, mentre si è rivelato che gli adulti e le donne in particolare sono stati colpiti sia dalle difficoltà lavorative generate dalla pandemia che dai problemi di conciliazione familiare.
Ciò premesso, guardando al futuro, quali dati sono emersi? Nonostante un'intensa proiezione verso il futuro, le donne mostrano un maggiore affaticamento rispetto agli uomini. Non va sottovalutato che quasi una su dieci delle professioniste considera di lasciare la professione, desiderando cambiare tipo di lavoro o lavorare come dipendente.
Le motivazioni di questa scelta non sono principalmente legate alla conciliazione tra vita privata e professionale, ma piuttosto alla percezione della professione come troppo faticosa, rischiosa e alla voglia di guadagnare di più.
In sintesi, le donne affrontano sfide specifiche nel contesto lavorativo, soprattutto in relazione all'innovazione tecnologica e agli effetti della pandemia, e questo può influenzare la loro capacità di rimanere competitive e soddisfatte nel proprio lavoro.
Rispetto, poi, ad un mercato in transizione, pur diffuso tra tutti gli iscritti, siano essi uomini che donne, pur non ignorando le potenzialità che il mercato della consulenza del lavoro potrà offrire nei prossimi anni, esprimono un atteggiamento di incertezza.
Se si escludono infatti la consulenza giudica ed economica (59%) seguita immediatamente dopo dalla crisi di impresa (56,6%) e dal welfare aziendale (56,1%) – tutti ambiti su cui gli intervistati reputano per il futuro un incremento della domanda di mercato – e in parte l’amministrazione del personale, per cui è circa la metà a individuare prospettive di ulteriore crescita, per gli altri servizi professionali, i Consulenti del Lavoro non sembrano intravvedere significative dinamiche di crescita nel futuro immediato.
Le donne risultano di gran lunga più preoccupate rispetto ai colleghi maschi (il 61,3% contro il 52,8% teme la crescente competitività del mercato) e anche al Centro si riscontra una maggiore prevalenza di tale sentiment. È però il livello di sviluppo dell’attività professionale che determina le differenze di vedute più significative sul futuro della professione.
Fin qui un breve recap, come detto, senza pretesa di esaustività, dei dati che sono stati raccolti in riferimento alla figura femminile.
Ma nel report vi è un intero capitolo dedicato a DONNE E LAVORO: LA QUESTIONE DI GENERE NELLA PROFESSIONE.
Vediamo per punti come si può riassumere la riflessione contenuta nel Rapporto che mette in luce come la conciliazione tra lavoro e vita familiare sia un ostacolo significativo, soprattutto per le donne. Sebbene la presenza femminile sia paritaria rispetto a quella maschile, le donne affrontano maggiori difficoltà nel bilanciare impegni professionali e privati.
Soddisfazione nel bilanciamento vita-lavoro: se il 39,4% degli uomini è soddisfatto del bilanciamento tra vita privata e professione, solo il 4,5% delle donne è molto soddisfatto e il 40,7% è, per contro, poco soddisfatto.
Impegni e carriera: l'86,6% delle professioniste ha affrontato difficoltà nella conciliazione di impegni familiari e professionali, rispetto al 67,7% degli uomini. Le ricadute sulla carriera delle donne sono assai negative e pesano di più sulle donne che sugli uomini.
Effetti sulla carriera: il 69,3% delle professioniste afferma che le difficoltà nella conciliazione hanno influenzato o compromesso la loro carriera. Ad esempio, il 30% delle donne ha dovuto rallentare lo sviluppo della propria attività, contro il 16,7% degli uomini.
Rinunce personali: il Rapporto riporta che il 64,7% delle donne e il 54,1% degli uomini hanno rinunciato a progetti personali per la carriera. Un dato importante racconta di un 7% di donne che ha rinunciato alla maternità a causa delle esigenze professionali.
Conciliazione e dimensione dello studio: maggiore soddisfazione nel bilanciare vita e lavoro si manifesta negli studi grandi, passando dal 45,5% negli studi senza collaboratori al 54,7% negli studi con più di 10 addetti.
Un altro tema caldo toccato dal Rapporto concerne la Parità di genere nel mercato dei servizi di consulenza:
Opportunità di carriera: alla domanda se le donne incontrano all’interno della professione le stesse opportunità offerte agli uomini, meno della metà dei rispondenti (41,1%) fornisce una risposta positiva; il 28,3% pensa invece che non ci siano pari opportunità, mentre il 30,6%, “solo in parte”.
Il giudizio, tuttavia appare fortemente differenziato tra i generi: mentre tra gli uomini, la maggioranza (56,6%) reputa del tutto paritarie le opportunità tra uomini e donne, tra queste ultime è solo il 20,8% a pensarla allo stesso modo, mentre il 44,7% reputa che le donne siano penalizzate e il 34,4% che lo siano solo in parte. (tab. 49)
Criticità percepite rispetto al mercato: le professioniste individuano nel mercato e nel rapporto con la clientela ostacoli che le penalizzano rispetto ai colleghi maschi. Queste difficoltà includono l'acquisizione di grandi clienti, la crescita dell'attività professionale e il valore degli incarichi.
In sintesi, il report evidenzia che, nonostante la presenza femminile paritaria, le donne affrontano maggiori sfide nella conciliazione tra lavoro e vita privata e nella realizzazione professionale. Esistono percezioni di disparità di genere nel mercato dei servizi di consulenza, con le donne che incontrano ostacoli che le penalizzano rispetto ai colleghi maschi.
Enpacl chiude il report andando ad identificare le aspettative che gli iscritti, uomini e donne, hanno nei confronti dell’Ente di previdenza:
Rispetto ai dati in tabella, su tutti questi aspetti non si riscontra un diverso orientamento rispetto alla variabile di genere, donne e uomini rispondono secondo le medesime percentuali rispetto a tutti gli item proposti. Diversa è invece la situazione se viene letta attraverso la variabile età: i più giovani fra i Consulenti del Lavoro, pur collocando al primo posto la necessità di adeguare le pensioni future rispetto alle attuali previsioni (43,8% per gli under 35, contro il 66,1% del totale, ma si raggiunge e si supera il 70% nelle due ultime classi d’età) tendono più degli altri gruppi a sottolineare l’importanza di disporre di coperture assicurative sanitarie soddisfacenti (30,8%, contr il 17,8% del totale).
Infine, terzo tema da affrontare è quello della sostenibilità dell’Enpacl : gli indicatori di sostenibilità si basano sul rapporto iscritti/pensionati (quanti iscritti ci sono per ciascun pensionato?) e il rapporto tra contributi e pensioni (quanti euro di contributi si incassano per ogni euro di pensioni speso?).
Altro punto da considerare è il seguente: la collettività degli iscritti nel 2021 mostra i seguenti dati
- donne: 46,9%, ove si registra un + 1,1% negli ultimi 10 anni sulla percentuale delle iscritte (45,8% nel 2012)
- uomini: 53,1%, ove 46% è la percentuale media di nuovi iscritti uomini rilevata negli ultimi 10 anni
Emblematici, tuttavia, i dati che seguono dai quali si ricava che vi è un delta significativo tra uomini e donne in termini di fatturato e di reddito che finiscono per produrre ricadute in termini di contribuzione all’ente.
Pertanto, un ulteriore dato a conferma che la presenza femminile nella professione seppure significativa e, anzi, in crescita non può però sottacere che esiste un problema di gender gap in termini sia di pari opportunità che in termini economici, aspetto che potrebbe rivelarsi di impatto (anche per il futuro se il trend riportato sopra si accompagna anche ad un sentiment negativo delle donne sul futuro, come sopra emarginato) anche sulle pensioni.