testo integrale con note e bibliografia

1. Salute e sicurezza sul lavoro: la vulnerabilità (rafforzata) dei lavoratori stranieri.
La riflessione su organizzazione del lavoro, digitalizzazione e benessere sociale della persona e, in particolare, sulla valutazione dei rischi psico-sociali, sollecita un approfondimento sul tema della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori stranieri.
Orbene, con riferimento a questi ultimi, sono almeno due le prospettive d’indagine.
La prima, che potremmo chiamare “fisiologica”, è quella che emerge dal d.lgs. n. 81/2008 (d’ora in poi: TU), che per tali lavoratori prevede un «sistema differenziato e funzionalizzato di tutele» . Il legislatore, infatti, da un lato, dispone che le amministrazioni pubbliche promuovano attività specificamente destinate ai lavoratori immigrati, con l’obiettivo di migliorarne i livelli di tutela negli ambienti di lavoro ; da un altro, invece, prescrive che i principali strumenti di prevenzione aziendale (valutazione dei rischi e informazione/formazione) tengano conto della presenza di tali lavoratori. A tale ultimo proposito, ad esempio, si prevede che nella valutazione di cui all’art. 17, co. 1, lett. a, d.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro debba considerare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi “particolari”, tra i quali vengono annoverati anche quelli connessi alla «provenienza da altri Paesi» . E, ancora, con riferimento all’informazione si specifica che, allorché riguardi lavoratori immigrati, essa debba avvenire «previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo» . Per l’attività di formazione (ma questo vale anche per l’addestramento), infine, il datore di lavoro deve assicurare che essa sia sufficiente e adeguata «anche rispetto alle conoscenze linguistiche» .
È questa, quindi, la prospettiva che, all’interno delle coordinate prevenzionistiche del nostro ordinamento, riconosce la specificità dei lavoratori stranieri e se ne fa carico, attribuendo ad essi specifiche tutele e diritti.
La seconda prospettiva d’indagine, più problematica ma di grande interesse, è quella “patologica”, in cui la condizione di immigrato rappresenta un moltiplicatore di insicurezza, sia quando l’attività lavorativa venga prestata nell’ambito di rapporti (almeno formalmente) regolari ma, soprattutto, quando essa si svolga al di fuori di essi, mettendo anche a rischio l’accessibilità e fruibilità dei servizi socio-sanitari .
Nel primo caso, la permanenza dello straniero sul territorio italiano (in particolare, il rilascio del permesso di soggiorno) è connessa nella gran parte dei casi alla titolarità di un contratto di lavoro, così aumentando la dipendenza del lavoratore straniero dal datore di lavoro .
Nel secondo, invece, la peculiare disciplina dell’accesso al lavoro degli stranieri extra-UE, spinge i migranti verso canali irregolari in cui la loro posizione si indebolisce e trova terreno fertile lo sfruttamento .
In tale contesto, quindi, è la stessa disciplina legale a rappresentare uno dei fattori di vulnerabilità , anche sul piano della salute e sicurezza , di tali lavoratori.
Volendo semplificare al massimo, potremmo dire così:
1) Rapporti regolari: se il prestatore è in posizione di stretta dipendenza (esistenziale prima che lavorativa) dal datore di lavoro, è difficile che possa esigere da quest’ultimo standard di sicurezza che gli sono negati; l’eventuale perdita di lavoro, infatti, è un rischio che non si può permettere, in quanto lo condannerebbe alla condizione di irregolare. Del resto, è noto che questi lavoratori sono esposti alla mercé di intermediari (sovente collegati al sistema criminale) impegnati, dietro ingenti pagamenti (è di non molto tempo fa la notizia sul business dei “click day” ), a procacciare loro la copertura contrattuale indispensabile per fare ingresso e/o permanere nel territorio italiano .
2) Rapporti irregolari: in questo caso la vulnerabilità del lavoratore è alla sua massima potenza. Se, infatti, è difficoltoso esigere condizioni adeguate di sicurezza nell’ambito di rapporti regolari, lo è ancor di più quando tali rapporti si consumino al di fuori delle regole poste dall’ordinamento in materia di soggiorno. Anche perché, dal lato datoriale, chi accetta tali prestazioni nella stragrande maggioranza dei casi opera – con “coscienza e volontà” – a condizioni che sono al di sotto dei livelli retributivi e normativi legali e contrattuali; in queste ipotesi, pertanto, la normativa in materia di sicurezza è poco più che un inutile “orpello”. Non solo. Come ci dice la cronaca recente , i datori di lavoro, oltre a non riconoscere i diritti, in taluni casi vengono meno anche alle più elementari regole del vivere civile, come quella che vuole che se una persona sta male, a fortiori se quel di quel male si è stati anche parzialmente la causa, le va prestato soccorso. Dal lato dei prestatori, invece, ci troviamo difronte a soggetti privi di difese, che hanno bisogno di un lavoro (purchessia!) per sopravvivere e nutrire in qualche modo la speranza della regolarizzazione della loro posizione. In quest’ultimo caso, quindi, la nozione di “lavoro insicuro” comprende, oltre alle situazioni in cui vi sia una violazione specifica delle regole in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, anche quelle in cui si concretizzi l’inosservanza più generale della normativa lavoristica; e questa, purtroppo, è una piaga che interessa tantissimi lavoratori e non solo gli immigrati irregolari.

2. Cosa emerge dai “dati”.
Si tratta di una visione oltremodo pessimistica della situazione? Quello che emerge da alcune evidenze, purtroppo, restituisce uno scenario tutt’altro che confortante.
Ad esempio, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (di seguito: INL) ha reso noto che nel 2023 sono state effettuate 81.436 ispezioni e 11.222 verifiche ed accertamenti, con una percentuale di irregolarità, relativa alle ispezioni definite, pari al 69,8%. Un dato in aumento rispetto agli ultimi due anni, in cui pure il tasso di irregolarità era stato importante (nel 2021: 65.685 ispezioni e 25.819 verifiche ed accertamenti, con il 62% di irregolarità; nel 2022: 63.571 ispezioni e 15.134 verifiche e ispezioni, con il 66% di irregolarità) .
A distanza di una settimana dalla pubblicazione di tali dati, sempre l’INL ha reso noto le risultanze di un servizio di vigilanza straordinaria nel settore agricolo su tutto il territorio nazionale , il cui esito è lapalissianamente scolpito in questo bollettino:
- 310 aziende agricole, delle quali 206 sono risultate irregolari (66,45%);
- 2.051 lavoratori controllati, rispetto ai quali 616 sono risultati irregolari (30,03%) e, in particolare, di questi ultimi, 216 sono risultati completamente in nero (10,53%);
- 786 posizioni lavorative (38,32%), sono risultate essere ricoperte da cittadini extracomunitari, dei quali 308 (39,18%) impiegati irregolarmente (96 in nero e 22 privi di regolare permesso di soggiorno);
- 128 provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale (41,29%), di cui 60 per lavoro nero e 51 per gravi violazioni sulla sicurezza;
- 171 persone deferite all’Autorità Giudiziaria, tra cui 157 responsabili aziendali per violazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
- 10 persone deferite, tra le province di Latina, L’Aquila, Torino, Cuneo, Rieti e Caltanissetta per il reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). In particolare, in provincia di Latina, all’interno di una serra, sono state sequestrate due roulotte ed un locale adibiti a dormitorio, organizzati con 9 posti letto, i cui materassi erano adagiati sul pavimento. Lo stesso sito ispezionato presentava in generale gravi carenze igienico-sanitarie negli ambienti di lavoro, che presentavano muffe ed incrostazioni sulle pareti ed erano peraltro privi di finestre che potessero garantire adeguata illuminazione e ventilazione.
Un resoconto “amaro”, confermato a distanza di soli 20 giorni, allorché il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, l’INL e l’INPS (con la collaborazione, in fase di pianificazione, anche dell’AGEA, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura) hanno effettuato un ulteriore servizio congiunto di vigilanza straordinaria nel settore agricolo nelle province di Mantova, Modena, Latina, Caserta e Foggia , il cui esito restituisce la fotografia di un Paese che, quanto al tasso di irregolarità, non conosce significativi divari territoriali . Con riferimento alla percentuale di aziende irregolari, infatti, il dato è allarmante e non si rinvengono realtà particolarmente “virtuose”: nella provincia di Mantova il 73% delle aziende controllate è risultato irregolare e in quella di Modena il 50%. Nella provincia di Foggia, invece, il tasso di irregolarità è del 62% e in quella di Caserta dell’80%. Infine, in quella di Latina, solo un mese prima finita nell’occhio del ciclone per la tragica morte di Satnam Singh , le aziende irregolari sono risultate comunque nella misura del 41%.
Ma non è tutto. Dai controlli effettuati è emerso che, in tutte le province di riferimento, dopo la già citata morte del bracciante indiano, alcuni imprenditori agricoli abbiano assunto 143 lavoratori (il 28% del totale di 505 lavoratori controllati) con contratti di lavoro stagionale a decorrere dalla fine di giugno con termine il 31 agosto 2024. In particolare, tale circostanza, nella provincia di Latina, ha interessato 73 lavoratori sui 130 controllati (56%); nella provincia di Mantova, su 57 lavoratori controllati, 14 di essi (24%) sono stati regolarizzati dopo la data del 19 giugno; ancora, nella provincia di Modena, 22 lavoratori di 124 controllati (18%), sono risultati contrattualizzati dopo i fatti verificatisi nella provincia di Latina; nella provincia di Foggia, tale fenomeno ha interessato 21 lavoratori su 119 (18%) mentre nella provincia di Caserta ha interessato 14 lavoratori su 75 (18%).
Se questa è la situazione, nella più complessiva strategia di contrasto al lavoro irregolare (ergo: insicuro), non si può più sottacere l’ingombrante questione del superamento dell’attuale disciplina nazionale in materia di migrazione economica. Si tratta di un problema “legislativo-istituzionale” proprio del nostro Paese, rappresentato dalla particolare normativa in materia di accesso al mercato del lavoro da parte dei cittadini extraeuropei . Se è vero, infatti, che l’eradicazione del problema dello sfruttamento lavorativo e, quindi, anche della promozione della salute e sicurezza, richieda interventi ad ampio raggio (che investano, ad esempio, le dinamiche di mercato) , la riscrittura delle regole sulla migrazione economica non può essere più rinviata né essere semplicemente oggetto di interventi di mero restyling, che certo non modificano l’impianto originario del Testo unico Immigrazione .
Come già osservato , è la stessa disciplina legale a rappresentare uno dei fattori di vulnerabilità dei lavoratori extracomunitari e, più in generale, ad alimentare un aumento dell’immigrazione irregolare. In chiave promozionale, quindi, di grande rilevanza potrebbe essere il superamento della normativa nazionale in materia di immigrazione, oggi tutta ripiegata sulla criminalizzazione della presenza degli stranieri irregolari che, quando lavorano, non hanno nei fatti accesso ai meccanismi di denuncia e di tutela dei propri diritti . Questi lavoratori, infatti, sono costretti in «un vero e proprio ricatto esistenziale» tra la denuncia (e il connesso rischio di essere espulsi) o l’accettazione di condizioni di vita e di lavoro degradanti pur di permanere nel territorio nazionale.

3. Digitalizzazione e nuove tecnologie per l’implementazione dei livelli di protezione: brevi considerazioni conclusive.
In questo contesto, è opportuno porre sul tavolo un ultimo elemento di riflessione connesso alla digitalizzazione e all’introduzione delle nuove tecnologie.
Rispetto a tali fenomeni sempre più spesso, in maniera del tutto condivisibile, si sottolineano i rischi. È, però, necessario interrogarsi anche sulle opportunità.
Ed è per questo che è auspicabile verificare – in chiave positiva – la possibilità che le nuove tecnologie possano essere utilizzate per l’implementazione dei livelli di salute e sicurezza anche dei lavoratori stranieri.
Una possibile domanda riguarda, ad esempio, “se” e “in quali termini” la rete possa assurgere a luogo della informazione/formazione dei lavoratori stranieri (anche irregolari), così da aumentarne i livelli di tutela.
L’attualità di questa traccia di ricerca può essere colta nella scarsa capacità degli attori istituzionali (PA, organizzazioni sindacali, ecc.) di attecchire attraverso i canali ordinari in un questo “mercato parallelo”, dove non trovano cittadinanza le normative legali e contrattuali e in cui la totale assenza di possibilità di regolarizzazione induce i lavoratori coinvolti a rimanere nell’anonimato, destinati ad alimentare un sistema perverso che soffoca chiunque incappi nelle sue maglie.
Se, da un lato, infatti, si condivide l’opportuno caveat rispetto alla deriva individualistica indotta dall’utilizzo dei social e, in modo particolare, rispetto alla loro forza destrutturante dei fenomeni sindacali , da un altro, non si può non scorgere l’enorme potenzialità della rete (e, in particolare, dei social network) rispetto a migliaia di lavoratori che operano e vivono in condizioni di isolamento e che non hanno modo di instaurare contatti fisici tra di loro .
L’obiettivo è rompere la segregazione che caratterizza la presenza di questi lavoratori sul nostro territorio, facendo sì che possano prendere coscienza del proprio status e dei diritti ad esso connessi .
È un’idea che nasce assumendo un dato di comune esperienza: anche se in condizioni di forte indigenza, gli stranieri che popolano le nostre realtà sono spesso in possesso di uno smartphone e di una connessione internet per comunicare con amici e connazionali e, soprattutto, per mantenere i contatti con le famiglie d’origine.
Sicché la rete in questa particolare “zona franca” del diritto del(la sicurezza sul) lavoro potrebbe trasformarsi nel luogo in cui costruire nuovi canali di comunicazione per la informazione/formazione dei lavoratori esclusi dai canali “ordinari”.
Del resto, su questo fronte qualche incoraggiante sperimentazione è stata già avviata. È il caso di “Safety-App”, un’applicazione messa a punto dall’Inail Puglia in collaborazione con il Comitato paritetico territoriale “Puglia centrale”, che, in occasione del Salone delle costruzioni (Bologna 2022) si è aggiudicata il premio “Innovazione tecnologica nella sicurezza delle costruzioni” . L’App, concepita per il settore dell’edilizia, si compone di circa 250 schede con video animazioni sulla corretta esecuzione delle fasi di lavoro e relativa valutazione dei rischi e di circa un centinaio di video dedicati ai dispositivi di protezione individuale. I contenuti – elemento di grande importanza – sono disponibili in 5 lingue: italiano, inglese, francese, albanese e rumeno, che sono le principali lingue parlate dai lavoratori nei cantieri pugliesi.
Il prodotto è una guida multimediale per chiunque necessiti di informazioni semplici e affidabili sulle buone pratiche da adottare per accrescere la sicurezza nel settore delle costruzioni; e i dati diffusi da Inail Puglia per il settore sembrano confermare la bontà dell’intervento .
La rete, quindi, può essere uno degli strumenti per informare/formare anche i “paria” del mercato del lavoro? Lo spazio digitale può essere l’habitat più appropriato per aumentare la consapevolezza (e, quindi, i livelli di sicurezza) dei lavoratori stranieri? Una risposta netta a tali quesiti non è possibile. E sicuramente alle possibilità e agli strumenti offerti dal progresso tecnologico non possono essere riconosciuti poteri miracolosi.
C’è anche da considerare – dato di non secondaria importanza – che l’attuale assetto normativo (un po’ anacronistico sul punto) guarda con un certo sfavore alla formazione da remoto: il co. 7-ter dell’art. 37, TU, specifica, infatti, che «Per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7, le relative attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi» (corsivo mio).
Una cosa, però, è certa: bisogna prendere atto della realtà e inserirsi nella nuova grammatica dei rapporti sociali. A quanti vogliano provare a immaginare oggi percorsi nuovi per aumentare i livelli di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, pertanto, non è permesso sottovalutare, tra le molte vie percorribili, anche quella digitale .

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