Testo integrale con note e bibliografia
All’interno del dibattito su “Il salario minimo legale e il Far West contrattuale” promosso dalla rivista LDE, appare utile sviluppare una breve riflessione sull’interpretazione ed applicazione da parte del Consiglio di Stato dell’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), che sembra avvalorare una singolare e preoccupante forma di shopping contrattuale.
L’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, dispone che «Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente».
Si tratta di una disposizione applicabile esclusivamente agli appalti pubblici e su cui la dottrina ipotizzava modeste ricadute giudiziarie «limitate alle ipotesi improbabili di violazione della c.d. retribuzione costituzionale per effetto dell’applicazione di una contrattazione collettiva diversa da quelle individuabili mediante il nuovo criterio legale, dovendosi altrimenti escludere che l’azione individuale risulti sorretta da un concreto interesse ad agire» .
A ben guardare, non si poteva illo tempore immaginare che, oltre al classico fronte contenzioso inerente alla tutela del “minimo costituzionale” ex art. 36 Cost., venisse sollecitata l’attenzione del giudice amministrativo al fine di operare il consueto sindacato di ragionevolezza sulla eventuale anomalia dell’offerta avanzata da operatore economico che dichiari di voler applicare un contratto collettivo, poi ritenuto non coerente rispetto alla previsione di cui all’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016.
In questo caso, la scelta del contratto collettivo ridonda su due versanti: 1) la determinazione del trattamento giuridico-economico applicabile al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni, quale espressione del diritto costituzionale alla giusta e sufficiente retribuzione, ex art. 36 Cost.; 2) la valutazione della congruità dell’offerta (ovvero della sua anomalia) in funzione anticoncorrenziale , quale espressione di una «libertà incondizionata di applicazione di discipline contrattuali collettive» , che rispondano ai parametri enunciati proprio nell’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016.
La giurisprudenza amministrativa, che si è occupata della questione, si è concentrata su profili strettamente connessi alla regolarità della procedura di evidenza pubblica, rinvenendo la ratio della disposizione nella individuazione del contratto in grado di disciplinare al meglio la prestazione lavorativa resa in esecuzione della commessa pubblica da parte dei lavoratori impegnati nell'espletamento del servizio, secondo un criterio di «prossimità contenutistica» . In sostanza, si punta a garantire una generalizzata applicazione dei contratti collettivi, così da assicurare in costanza di appalto pubblico una adeguata tutela giuridica e retributiva in favore dei lavoratori, proporzionata rispetto all'attività in concreto svolta e contemporaneamente la corretta esecuzione delle prestazioni oggetto della commessa mediante una forte connessione funzionale con i profili professionali più appropriati .
Sebbene la giurisprudenza ritenga che l’appaltatore sia titolare di una «libertà incondizionata» (ma non assoluta) di scelta del contratto collettivo da applicare, quale riflesso delle prerogative organizzative imprenditoriali tutelate dall’art. 41 Cost., appare evidente come il limite logico e giuridico della coerenza della scelta con l'oggetto dell'appalto operi quale ideale trait d’union tra la predetta libertà imprenditoriale e il minimo costituzionale in tema di retribuzione in favore dei lavoratori impiegati nell’appalto.
La casistica su cui si è concentrata la giustizia amministrativa consente di comprendere in modo tangibile gli effetti perversi di una scelta assolutamente insindacabile della contrattazione applicabile, ex art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016.
Infatti, il sindacato di ragionevolezza esercitato dal giudice amministrativo ha consentito di qualificare anomala un’offerta caratterizzata da uno scostamento del costo medio orario della manodopera pari al 30%, comparando il contratto collettivo dei servizi di vigilanza rispetto a quello del terziario, che prevede altresì la quattordicesima mensilità, assente invece nel primo contratto collettivo , per non parlare dei riflessi sulla contribuzione e quindi in termini di incidenza sulle future prestazioni pensionistiche, che un più elevato imponibile retributivo determina in favore dei lavoratori.
L’analisi dell’anomalia dell’offerta, inforcando le lenti dell’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, deve comunque tener conto del predetto principio di prossimità e non solo della vantaggiosità delle ricadute retributive e contributive a latere laboratoris, ovvero (e per converso) della maggiore convenienza di un determinato CCNL per l’amministrazione pubblica , specie se si considera la natura pubblica dell’appalto e, quindi, delle risorse per esso stanziate.
In sintesi, il prius ermeneutico è costituito dall’analisi in sede giudiziaria dell’ambito tematico e di attinenza merceologica e teleologica dell’attività oggetto di appalto rispetto al contratto scelto dall’appaltatore. Di conseguenza, l’eventuale coerenza verificata dal giudice amministrativo del contratto collettivo sub iudice rispetto all’art. 30, comma 4, citato potrebbe legittimamente ridondare in peius sul trattamento economico dei lavoratori, determinando una sorta di “naturale” sudditanza del diritto alla giusta, proporzionata e sufficiente retribuzione rispetto alla libertà di scelta del contratto collettivo entro il limite fissato dal codice degli appalti.
Invero, il rischio testè adombrato di prevalenza della libertà di scelta del contratto sul diritto al minimo retributivo è solo apparente, nella misura in cui quest’ultimo rappresenta un posterius naturale dell’individuazione del contratto caratterizzato da «prossimità contenutistica», specie se l’appaltatore sia in grado di “giocare” in modo astuto con le declaratorie contrattuali e con i relativi mansionari, realizzando in questo modo un duplice scopo: aggiudicarsi la commessa (in danno della concorrenza) e mantenere basso il costo del lavoro con contestuale massimizzazione del profitto di impresa.
Emblematico a tal proposito è il raffronto operato dai giudici di Palazzo Spada, a margine della più recente sentenza edita sulla questione, controvertendosi sulla maggiore «prossimità contenutistica» del CCNL Gomma e Plastica rispetto al CCNL Tessili per mansioni sostanzialmente “borderline”, con una verifica della “coerenza” estremamente approfondita ed una condivisibile funzionalizzazione dell’operazione ermeneutica a tutela dei lavoratori, tanto da spingere il Consiglio di Stato a qualificare la contrattazione collettiva come «fonte di garanzia per la salvaguardia dei diritti fondamentali dei lavoratori elevata dalla disposizione di cui all'articolo 30 comma 4 del d. lgs 50/2016 a limite cogente ed invalicabile sia nei confronti gli stessi operatori economici, come misura di conformazione della libera organizzazione di impresa sia per la stazione appaltante come parametro vincolante di orientamento per l'esercizio della discrezionalità tecnica nello scrutinio delle offerte presentate» .
Quest’ultima riflessione trova ulteriore addentellato in una più recente pronuncia di merito che nega l’esistenza di un diritto dell'operatore economico uscente all’elevazione del CCNL da esso utilizzato quale paradigma contrattuale unico di riferimento nella gara successivamente indetta dalla stazione appaltante per l'affidamento del servizio, specie se l’applicazione dell’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, dovesse condurre non solo all’individuazione di un CCNL caratterizzato dalla indispensabile prossimità contenutistica, ma addirittura ad un miglioramento della tutela giuridico-economica dei dipendenti, conservando l'equilibrio economico-finanziario dell'operazione grazie ad una riduzione dei margini di utile per l’impresa aggiudicataria .
La notoria autonomia della lex specialis di gara, però, impone alcune “correzioni di rotta” nel ragionamento finora seguito, si pensi al caso in cui il bando non faccia testualmente riferimento ad un particolare CCNL, bensì, in termini più ampi, al “settore” di riferimento, ritenendo ammissibili offerte che abbiano fatto applicazione di altri CCNL, sebbene comunque coerenti con l’attività oggetto dell’appalto da affidare . Per converso, in assenza di indicazioni nel bando di gara, resta inalterato il dedotto rapporto di coerenza tra CCNL applicato ed oggetto dell'appalto, ex art. 30 comma 4, d.lgs. n. 50/2016 .
La corretta applicazione dei contratti collettivi, nel rispetto dei propri naturali ambiti di applicazione, si manifesta quale condizione indefettibile per il corretto funzionamento del mercato del lavoro e per il dispiegarsi di una leale concorrenza eurounitaria tra imprese, in quanto finalizzata a garantire sia che il personale impiegato venga adeguatamente tutelato per la parte giuridica e percepisca una retribuzione proporzionata all'attività in concreto svolta, sia che le prestazioni oggetto della commessa siano correttamente eseguite attraverso una vincolante connessione funzionale delle stesse con i profili professionali più appropriati .
Un profilo strettamente connesso alle ricadute derivanti dall’applicazione dell’art. 30, comma 4 citato è quello relativo alla verifica della ricorrenza delle condizioni normative stabilite dall’art. 105, comma 14, d.lgs. n. 50/2016, recentemente modificato dall’art. 49, comma 1, lett. b), pt. 2), d.l. n. 77/2021, ivi prevedendosi che «il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l'applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l'oggetto dell'appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell'oggetto sociale del contraente principale».
La ratio della disposizione è quella di evitare una sorta di dumping contrattuale, aggirando di fatto l’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, formalmente rispettato dall’appaltatore, in ottemperanza sia del dato normativo, sia della lex specialis, ma di fatto violato dal subappaltatore, ove applichi un CCNL diverso (e peggiorativo) rispetto a quello applicato dall’appaltatore.
I criteri guida, anche in questa ipotesi, sono costituiti dalla coincidenza delle attività subappaltate con quelle “caratterizzanti” l’oggetto dell’appalto , ovvero che le stesse riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale. non assumendo valenza marginale o accessoria rispetto ad esso; solo in queste due ipotesi opera la sostanziale parificazione giuridico-normativa tra i dipendenti dell’appaltatore e quelli del subappaltatore, secondo una visione unificante, orientata alla sostanziale attuazione degli artt. 3, 35, 36 e 38 Cost.
Ove riscontrata la violazione della norma qui esaminata può essere adottato dall’organo di vigilanza una “disposizione” ex art. 14, d.lgs. n. 124/2004 per l’adeguamento del trattamento, dal quale discende la rideterminazione dell’imponibile ai fini contributivi oltre alla responsabilità solidale .