testo integrale con note e bibliografia

Nell'era dell'intelligenza artificiale, dove i confini tra la tecnologia e la realtà umana si fondono sempre di più, ci concentreremo sull'importante passo di dotare l'intelligenza artificiale di un corpo fisico, aprendo così le porte verso nuovi orizzonti nella robotica e nell'interazione uomo-macchina.
Prima di raccontare cosa stiamo facendo all’Istituto Italiano di Tecnologia e cosa verrà nei prossimi anni, mi preme dirvi il perché lo stiamo facendo e perché noi crediamo che l'Embodied AI sia davvero uno strumento che ci possa aiutare da qui ai prossimi dieci anni. Ci sono due dati che dobbiamo sottolineare. Il primo è l'invecchiamento della popolazione. Se si guardano i dati in Europa, entro il 2050 avremo circa 150 milioni di persone con oltre 65 anni, circa il 30-40% in più del dato attuale. Quindi avremo una popolazione lavoratrice più anziana che rischierà di essere più malata. Infatti, questo dato diventa ancora più preoccupante quando lo si collega con un altro, quello dell'impatto attuale delle malattie muscoloscheletriche sulla popolazione lavoratrice. I colleghi di INAIL, con i quali abbiamo collaborazioni importanti, ci dicono che il 70% delle denunce di infortuni riportate nei luoghi di lavoro sono dovute al tessuto connettivo e all’apparato muscoloscheletrico. Questo, in poche parole, significa che una delle cause principali del rallentamento della nostra catena produttiva è dovuta, ad esempio, al fatto che i lavoratori hanno il mal di schiena. Queste malattie muscoloscheletriche, quando combinate con il trend dell'invecchiamento della popolazione, sono molto preoccupanti. Abbiamo quindi bisogno di un'intelligenza artificiale che non sia confinata in un calcolatore, ma che sia dotata di un corpo robotico, e questo sarà fondamentale quando la forza lavoro verrà probabilmente a meno dovuta all'invecchiamento della popolazione e all'impatto delle malattie muscoloscheletriche.
Quindi che cos'è di fatto l'Embodied AI? L'Embodied AI è l'intelligenza artificiale generativa inserita in un corpo robotico, capace di interagire fisicamente con l’ambiente circostante. Perché un corpo robotico umanoide? La scelta di un corpo robotico umanoide deriva dalla necessità di adattarsi all'ambiente creato dall'uomo nel corso dell'evoluzione. Da quando l'essere umano è diventato bipede circa sei milioni di anni fa, infatti, ha modellato l'ambiente intorno a sé in modo che sia compatibile con la forma umana. Le scale, le porte e altri elementi dell'ambiente sono stati progettati per essere accessibili e utilizzati da esseri umani.
Oltre l’intelligenza artificiale, i robot umanoidi hanno due elementi importanti: i sensori, che permettono loro di percepire l'ambiente circostante, e gli attuatori, che emulano i muscoli dell'essere umano. La cosa interessante è che l'intelligenza artificiale del robot umanoide che deve operare nell'ambiente circostante, analogamente ad un essere intelligente, può essere generalmente divisa in due macrocategorie.
La prima è l'intelligenza artificiale cognitiva, la quale cerca di emulare le capacità umane come articolare un discorso, riconoscere volti, pianificare un percorso ed eseguire azioni pianificate. La seconda categoria è l'intelligenza artificiale motoria, che ci consente di eseguire movimenti fisici.
Si noti che spesso si parla di intelligenza artificiale senziente; tuttavia, se si cerca l'origine della coscienza, questa va ricercata nell'intelligenza artificiale motoria perché il sistema nervoso è nato per il movimento, non per il pensiero. I vertebrati sono stati dotati dall'evoluzione di un sistema nervoso, il cui scopo primario è coordinare e controllare le azioni motorie. Quindi, l'origine della coscienza e quindi dell'intelligenza artificiale senziente probabilmente dovrebbe partire dal movimento, comprendendo come far muovere i robot umanoidi.
Quali potrebbero essere i ruoli di questi umanoidi nei prossimi decenni rispetto alle sfide che abbiamo visto prima? Chiaramente, se immaginiamo un luogo di lavoro del futuro che deve garantire un rischio minimo per i lavoratori, la mossa più efficace potrebbe essere quella di modificare l'ecosistema intorno all'uomo. Automatizzare l'ecosistema attorno all'essere umano in modo che non debba più svolgere i compiti più pericolosi potrebbe essere una soluzione. Ovviamente, ciò è costoso in termini di risorse e di tempo, quindi il problema attuale è la transizione: passare da ecosistemi lavorativi poco strutturati e ad alto rischio a ecosistemi molto strutturati e a basso rischio. Questa transizione potrebbe avvenire tramite l'introduzione di robot umanoidi, che sono adattivi, teoricamente capaci di svolgere molte attività e poco invasivi.
Per dotare i robot umanoidi di capacità efficaci quando collaboreranno con degli essere umani in un luogo di lavoro, abbiamo bisogno anche di vestiti intelligenti che ci permettano di comprendere meglio le condizioni del lavoratore. Potrebbero essere smartwatch evoluti o camici intelligenti in grado di monitorare il nostro battito cardiaco, la nostra fatica e anche rilevare eventuali segnali di malattia. Questi dispositivi potrebbero, in base ai dati raccolti, anche suggerirci se fare dei controlli medici e facilitarne la prenotazione.
Questa è la direzione che abbiamo preso con INAIL. Abbiamo un progetto chiamato ergoCub che si propone di esplorare come la robotica e l'intelligenza artificiale possano contribuire a ridurre l'impatto delle malattie muscoloscheletriche sulla popolazione lavorativa del futuro, focalizzandosi su due contesti specifici. Il primo contesto è quello industriale, dove la movimentazione continua e ripetitiva dei carichi aumenta il rischio di sovraccarico biomeccanico e di conseguenza di problemi come il mal di schiena. In questo scenario, quando il rischio diventa eccessivo, cerchiamo di delegare queste attività a un "delegato del rischio", ovvero un robot umanoide in grado di svolgere il compito al posto nostro.
Abbiamo sperimentato le nostre tecnologie con Aeroporti di Roma, dove abbiamo testato una sistema indossabile in grado di comprendere in tempo reale il rischio biomeccanico durante un compito di sollevamento. Ad esempio, abbiamo valutato le forze tra due vertebre, come quella tra la vertebra L5 e S1, che è un indicatore di rischio significativo. Durante questi test, abbiamo utilizzato un'intelligenza artificiale in grado di rilevare quando questa forza diventa eccessiva.
Analogamente, questi sistemi possono essere applicati quando i lavoratori purtroppo diventano pazienti. Collaboriamo con l'Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), l'ospedale Valduce di Como e l'ospedale San Martino di Genova per pazienti post-ictus. In queste collaborazioni, stiamo cercando di comprendere come l'intelligenza artificiale e i dispositivi indossabili possano aiutare a valutare l'efficacia di un percorso di riabilitazione specifico per ciascun paziente. Attualmente, le valutazioni sono molto qualitative: il paziente si presenta dal medico che valuta con osservazioni spesso visive e decide il percorso riabilitativo migliore. Tuttavia, il nostro obiettivo è quello di estrarre dei KPI (Key Performance Indicators), indicatori precisi e quantitativi, relativi al percorso di riabilitazione.
La parte ancora più interessante è che i sistemi di intelligenza artificiale non solo possono monitorare ma anche fare predizioni. Recentemente abbiamo svolto un esercizio con il nostro sistema di intelligenza artificiale, il quale è in grado di prevedere i futuri movimenti dell'essere umano durante specifiche attività. Abbiamo associato a questi futuri movimenti un rischio da sovraccarico biomeccanico; quindi, quando il rischio futuro supera quello accettabile, la tuta sensorizzata vibra e avvisa il lavoratore. Teoricamente, può anche chiamare un "delegato del rischio", che nel nostro caso è rappresentato dal robot umanoide ergoCub.
Nel contesto di questo progetto, abbiamo sviluppato un collaboratore del futuro: un robot umanoide che abbiamo chiamato con il nome del progetto, ergoCub. Si tratta dell'evoluzione di iCub, uno dei fiori all'occhiello della tecnologia italiana. ergoCub è un robot alto 1,50 metri e pesa 55,7 kg. Ha mani ottimizzate per trasportare carichi pesanti, oltre a essere dotato di una fotocamera per la visione in profondità e di un LiDAR, uno strumento laser di telerilevamento per la navigazione. Il volto è composto da un display OLED che gli permette di avere interazioni più espressive.
Le espressioni scelte sono il risultato di uno studio sull'accettabilità condotto con Ipsos. Abbiamo coinvolto mille lavoratori reali per comprendere quale espressione facciale il robot dovrebbe avere, basandoci sulle loro reazioni e opinioni.
Esistono anche applicazioni in cui è preferibile che l'uomo non sia fisicamente presente insieme al robot. Si possono immaginare scenari quali ambienti radioattivi, terreni impervi o zone alluvionate, dove la separazione tra il rischio e il lavoratore è fondamentale. Abbiamo già testato più volte il nostro sistema Avatar, che consente al robot di essere controllato da remoto. La prima prova significativa è stata condotta nel 2021, quando uno dei nostri scienziati a Genova ha utilizzato le tecnologie indossabili sviluppate da noi per visitare il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia attraverso gli occhi del robot. Successivamente abbiamo ampliato ulteriormente il raggio d'azione, raggiungendo i circa 9.900 km che separano Genova da Tokyo, in Giappone.
Questo tipo di applicazione non è utile solo per separare il rischio tra lavoratore e luogo di lavoro, ma potrebbe anche essere un vantaggio per persone con gravi disabilità motorie. Queste persone potrebbero lavorare attraverso il proprio avatar robotico e ottenere una sorta di "protesi 2.0".
Si noti che questi sistemi di tele-operazione dei robot consentono anche di acquisire dati utili per addestrare modelli di intelligenza artificiale verso l'autonomia. Stiamo infatti lavorando su questo fronte, creando modelli che possono utilizzare i dati provenienti dal controllo umano dei robot per rendere il robot autonomo in compiti specifici.
Se vogliamo esplorare l'impatto a medio e breve termine dell'integrazione tra l'Embody AI e la robotica nell'intelligenza artificiale, possiamo certamente considerare l'effetto sull'assistenza e il monitoraggio umano, nonché sulla previsione degli infortuni, che rivestirà un'importanza cruciale. Immaginate, ad esempio, una riforma del sistema pensionistico e previdenziale: potremmo rivoluzionare il concetto di lavoro usurante. Collegando dati biomeccanici, incidentali e sanitari, potremmo comprendere meglio le relazioni causa-effetto e migliorare la comprensione delle situazioni lavorative più usuranti.
E poi, lato robot, sorge la questione che ci consente di esistere in molteplici "copie" contemporaneamente, poiché può agire come un avatar, permettendo così la moltiplicazione e l'amplificazione delle nostre capacità. Tuttavia, si apre anche il problema della riqualificazione quando il robot inizia a svolgere autonomamente compiti attualmente eseguiti da esseri umani con un carico cognitivo ridotto. In questo caso, è necessario che tali individui affrontino un percorso di adattamento e aggiornamento professionale.
Infine, una questione importante da menzionare è la cosiddetta "Responsible AI" (intelligenza artificiale responsabile). Abbiamo bisogno di strumenti e metodi che ci permettano di sviluppare queste tecnologie in modo responsabile, ma cosa significa esattamente "responsabile"? Si parla molto di intelligenza artificiale etica e responsabile; probabilmente la definizione migliore è quella di avere un framework per la gestione del rischio dello sviluppo e dell’installazione dei sistemi AI. Inoltre, possiamo definire pilastri che guidano nuovi concetti e nuove direzioni per la gestione del rischio. Ad esempio, i requisiti di un sistema di "embodied AI" (intelligenza artificiale incorporata nel corpo) e robotica dovrebbero essere strutturati su tre categorie: non solo requisiti tecnici, ma anche requisiti sociotecnici e sociali. Un impianto normativo potrebbe garantire l'implementazione di tali requisiti essenziali. La standardizzazione in questo campo è ancora in fase iniziale. Abbiamo lavorato a questo proposito all'interno della Global Partnership on Artificial Intelligence (GPAI), una commissione stabilita nel G7. Inizialmente sono stati preselezionati 20 progetti e poi ridotti a 5. ergoCub, il nostro progetto sviluppato in collaborazione con INAIL, è stato selezionato come il miglior progetto che proponeva soluzioni per la gestione del rischio nell'ambito della robotica e dell'intelligenza artificiale.

Concludo citando Paul Valéry, il quale diceva che "il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta". Ci troviamo ora in una dimensione in cui lo sviluppo della tecnologia deve guidare lo sviluppo delle regolamentazioni, altrimenti non saremo in grado di trarre veri benefici da questa tecnologia nel medio e breve termine.

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