testo integrale con note e bibliografia

L’ultimo lavoro monografico di Stefano Giubboni ci conduce a esplorare i più reconditi confini della fattispecie della subordinazione.
In questo percorso S.G. resiste alla tentazione di eludere il problema della qualificazione della “fattispecie” per sposare un approccio squisitamente “rimediale” ed invece sviluppa la sua analisi secondo la “logica binaria” lavoro subordinato/lavoro autonomo, che resta dominante nei sistemi di diritto del lavoro di tutti gli Stati membri UE. A ben vedere, infatti, anche in quei sistemi nazionali nei quali sono state introdotte fattispecie che paiono inter-medie tra autonomia e subordinazione, in realtà la logica dicotomica non è stata mai sostanzialmente superata, giacché si tratta sempre di fattispecie che si collocano nel campo del lavoro autonomo cui viene estesa l’applicazione di frammenti, più o meno ampi, dello statuto protettivo del lavoro subordinato.
Nell’ordinamento italiano il confine tra protezione e sub-protezione legale non è più segnato dalla distinzione tra subordinazione e lavoro autonomo, ma da quello tra etero-organizzazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 e lavoro coordinato e continuativo di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. In particolare l’art. 15 della legge n. 81 del 2017 ha più nettamente tracciato questo confine precisando che nell’etero-organizzazione il potere unilaterale di coordinamen-to esercitato, anche solo in via di fatto, dal committente non tocca le modalità prestazionali interne che il collaboratore etero-organizzato auto-determina, e tuttavia le «formatta» esternamente, onde assicurarne il collegamento funzio-nale con l’assetto produttivo del committente stesso. Al contrario il collabora-tore coordinato e continuativo organizza sulla base dell’accordo bilaterale con il committente le modalità di raccordo con l’organizzazione di quest’ultimo, e ciò lo sottrae all’effetto estensivo dell’apparato protettivo del lavoro subordi-nato ai sensi dell’art. 2, co. 1, del d.lgs. n. 81/2015.
Sul piano sistematico S.G. aderisce all’orientamento dottrinale maggiorita-rio secondo cui questa norma ha esteso l’applicazione della disciplina legale del lavoro subordinato a rapporti che restano autonomi, “senza tuttavia incide-re sulla fattispecie generale di riferimento dell’art. 2094 c.c., che rimane connotata dall’etero-direzione” (p. 140). Secondo la tesi di Riccardo del Punta , fatta poi propria dalla Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 1663/2020, l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 è una “norma di disciplina”, non “di fattispecie”, cioè, per dirla con le parole dello stesso S.G., una norma che “…attribuisca l’intero statuto protettivo del lavoro subordinato a un insieme trans-tipico di rapporti, caratterizzati dall’etero-organizzazione come dipen-denza organizzativa dalla struttura produttiva del committente, che si situano, però, oltre la subordinazione, quale propriamente definita dal criterio identifi-cativo dell’etero-direzione, seppure collocandosi fenomenologicamente ai suoi immediati confini” (p. 145).
Ciò non contraddice di per sé la “logica binaria” su cui, come detto, poggia la ricostruzione di S.G. Tuttavia, a mio avviso, non è convincente la motiva-zione che S.G. adduce per giustificare l’adesione a questa soluzione sistemica, secondo cui il ritenere che l’art. 2 co. 1 del d.lgs. 81/2015 abbia ampliato “per addizione” la nozione di lavoratore subordinato di cui all’art. 2094 c.c. (come ho invece sostenuto in precedenti miei scritti ) renderebbe le esclusioni dettate dal co. 2 dello stesso articolo inconciliabili con il principio di indisponibilità del tipo “lavoro subordinato”. La Corte costituzionale nelle sentenze n. 121 del 1993 e n. 115 del 1994 in realtà ha affermato questo principio solo nel senso dell’incomprimibilità da parte del legislatore ordinario della nozione codici-stica di “subordinazione” di cui all’art. 2094 c.c., che – ad avviso della Con-sulta - è ormai “costituzionalizzato”, ma non già con riguardo a eventuali future estensioni di questa e – soprattutto - alla facoltà del legislatore ordina-rio di dettare delle discipline speciali (anche peggiorative) giustificate dalla peculiarità di alcune sub-fattispecie pur riconducibili al medesimo tipo con-trattuale (si pensi ad es. al lavoro a domicilio).
Non si può invece che convenire con la considerazione di S.G. che l’introduzione nell’ordinamento italiano della disciplina del lavoro etero-organizzato sia il portato di un lento ma unidirezionale movimento del diritto europeo verso una progressiva estensione oltre il confine della etero-direzione delle tutele proprie del lavoratore subordinato.
S.G. rileva l’assenza di una nozione unitaria di “lavoratore” nel diritto eu-ropeo ed individua tre distinte “tecniche” di definizione della nozione di “lavoratore” utilizzate da questo: a) il rinvio alla nozione del diritto nazionale, che in ogni caso impone alla discrezionalità del legislatore di ogni Stato membro un obbligo di coerenza con il diretto interno, inibendogli di disegnare ambiti di applicazione della nozione a geometrie variabili in relazione alla materia della direttiva europea da recepire ; b) la nozione di lavoratore quale “persona” che presta attività di lavoro in favore di altri; formula che prescinde dal tipo di obbligazione contrattuale cui si adempie e che viene utilizzata per la tutela degli human rights: tutela antidiscriminatoria , diritto alla sicurezza e salute al lavoro , diritto alla privacy e alla trasparenza delle condizioni contrattuali (cfr. direttiva 2019/1152), diritto al compenso dignitoso (cfr. direttiva 2022/2041), etc.; infine c) la nozione per così dire “funzionalista” di lavoratore, condizionata dalla materia oggetto di regolazione e dai beni giuridici tutelati: libera circolazione delle persone , libertà di circolazione dei servizi , libertà di stabilimento, libertà di concorrenza.
Proprio con riguardo a quest’ultima definizione volta alla selezione dei soggetti beneficiari della libertà di circolazione nel mercato interno ai sensi dell’art. 45 del TFUE S.G. ravvisa il maggior sforzo operato dalla Corte di giustizia nel perseguire un’armonizzazione «coesiva», come felicemente l’ha definita Massimo D’Antona , tra i diritti nazionali degli Stati membri. Tutta-via in questa giurisprudenza eurounitaria non è dato rinvenire una riconcettua-lizzazione della subordinazione in termini di status, giacché il diritto europeo pone attenzione non tanto “all’analisi statutaria del rapporto di lavoro ma alla riconduzione del lavoratore alla sua condizione di soggetto che offre servizi sul mercato comune europeo”, in rapporto alla quale – come rileva S.G. richiamando l’insegnamento di Supiot – “l’idea di scambio economico (prestazioni di lavoro contro retribuzione) viene prima e la nozione di lavora-tore è consequenziale” (pp. 98 e 99).
Coerente con tale prospettiva sistematica è anche la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di tutela della concorrenza a norma degli art. 101 e ss. TFUE, in cui la nozione di lavoratore viene declinata “in negativo”, attraendo in via residuale ogni operatore economico nel mercato del lavoro che non è qualificabile in termini di “impresa”. E’ priva di rilievo in questo contesto, quindi, la distinzione, invece cruciale per il diritto nazionale, tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo. Al contrario è centrale la distinzione tra lavoratore ed impresa: il primo si definisce in negativo rispetto alla seconda; di conseguenza questa fattispecie ha un’estensione infinitamente maggiore di quella di “lavoratore subordinato” tradizionalmente propria dell’ordinamento nazionale, perché vi ricomprende tutti quei lavoratori che, sebbene il diritto nazionale qualifichi come autonomi, il diritto euro-unitario non giunge a qualificare come impresa, pur individuale. Ad esempio nella sentenza FNV Kusten , nel riferirsi ai “falsi autonomi”, la Corte di giustizia non li identifica esclusivamente nei lavoratori in realtà “subordinati” secondo le formali categorie definitorie nazionali, ma vi ricomprende tutti quei lavora-tori che non rispondono alla nozione di ”impresa” nel diritto euro-unitario della concorrenza, tra i quali sono ricompresi molti lavoratori che verrebbero definiti genuinamente autonomi, seppur coordinati, secondo la classificazione nazionale. Pertanto “quella elaborata ai fini della fissazione della linea di demarcazione tra diritto del lavoro e diritto della concorrenza è una “nozione di subordinazione dilatata, che non si confronta con quella di lavoro autonomo (che vi viene anzi ricompreso tutte le volte in cui il prestatore di servizi non goda di un reale potere di mercato), ma con la nozione di impresa” (p. 111). Secondo S.G. una tale nozione di “lavoratore” appare pressoché coincidente con quella di worker introdotta nell'ordinamento britannico dall'Employment Act del 1996 . S.G. non rileva, però, le molte analogie che tale nozione di lavoratore ha con quella di lavoratore “subordinato” declinata secondo la tesi della c.d. “doppia alienità”, elaborata in termini pressoché consonanti da U. Romagnoli , L. Mengoni , M. Napoli e M. Roccella . Secondo questa tesi dovrebbe ravvisarsi un rapporto di lavoro subordinato ogni qualvolta la presta-zione di lavoro venga resa in seno a un’organizzazione produttiva predisposta e complessivamente governata dal committente e il risultato della prestazione sia imputabile economicamente e patrimonialmente al solo committente, che ha, quindi, il diritto di decidere se e a quali condizioni utilizzarla nell'ambito della propria organizzazione o se venderla sul mercato. Tale nozione di subordinazione aveva trovato supporto nella sentenza della Corte Costituzio-nale n. 30 del 1996 , per poi inabissarsi in un oblio della giurisprudenza durato circa un quarto di secolo e all’improvviso riemergere di recente con riguardo ai platform workers, come poi dà conto lo stesso S.G. nelle parti conclusive del libro commentando la sentenza del Tribunale di Palermo del 24 novembre 2020 . Ci si muove in tal caso proprio in quel “settore di frontiera” su cui si interrogava l’avv. gen. Jacobs nelle conclusioni nei casi Albany e Pavlov , nel quale il lavoratore pur non prestando la sua attività “sotto la direzione” di un committente, comunque “dipende” organizzativamente da questo circa le possibilità e modalità di prestare i suoi servizi sul mercato dei clienti o consumatori finali.
Infine S.G. saggia la tenuta della nozione tradizionale di subordinazione al cospetto del lavoro attraverso piattaforma digitale, in particolare nelle due – radicalmente diverse - modalità in cui questo comunemente viene prestato: il lavoro on demand, detto anche lavoro tramite piattaforma, e crowdworking, o lavoro su piattaforma. La prima modalità appare attratta se non dalla qualifi-cazione in termini di lavoro subordinato, cui comunque alcune sentenze di merito sono giunte, quantomeno in termini di lavoro etero-organizzato. In coerenza con tale prospettiva la direttiva europea 2024/2831 ha introdotto una presunzione semplice di subordinazione dei platform workers; è pur vero però che tale presunzione appare in controtendenza rispetto al regolamento UE 2016/679 e persino ad altre disposizioni della stessa direttiva 2831 muovono in una direzione universalistica nel dettare principi di prevenzione, trasparenza e sindacabilità “umana” che trovano applicazione in favore di tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia del loro rapporto contrattuale. Parimenti nel diritto europeo hanno finito per trovare cittadinanza forme di rappresentanza e di autotutela collettiva dei lavoratori delle piattaforme, pur occupati in forme contrattuali genuinamente autonome, giacché, come riconosciuto dagli orien-tamenti di recente espressi dalla Commissione europea (2022/C 374/02), questi lavoratori necessitano di avvalersi di forme di “contropotere” collettivo trovandosi in una situazione di debolezza contrattuale analoga a quella dei lavoratori subordinati inseriti in modo continuativo e organico nell’organizzazione produttiva del committente, tanto da non poter essere qualificati – in una logica squisitamente di mercato – come soggetti imprendi-toriali distinti e autonomi da quest’ultimo.
In coerenza con questa direttrice espansiva delle tutele anche l’ordinamento italiano con la legge n. 128 del 2019, con l’aggiunta del Capo V-bis al d.lgs. n. 81/2015, ha destinato una specifica disciplina, di natura residuale, a favore dei «lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore … attraverso piattaforme anche digitali». Tale disciplina è di fatto destinata a trovare applicazione ai soli platform workers che, seppur necessariamente etero-organizzati dalla piattaforma, rimangono esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 2 co. 1 del d.lgs. n. 81/2015 o perché privi del requisito della “conti-nuità” della prestazione, in quanto la prestano in modo “occasionale”, o perché soggetti all’applicazione di un contratto collettivo “derogatorio” ai sensi del co. 2 dello stesso articolo. In quest’ultimo caso, secondo S.G., i riders non potrebbero comunque esser privati della tutela più significativa approntata dall’art. 47-quater, secondo cui non possono essere retribuiti totalmente a cottimo e deve esser loro garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativa-mente più rappresentative a livello nazionale. Sebbene la stessa norma preveda espressamente che dette organizzazioni sindacali siano legittimate a stipulare un contratto collettivo che definisca i criteri di determinazione del compenso complessivo, ad avviso di S.G. la precisazione che un tale contratto collettiva debba tener comunque conto delle “modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente” costituirebbe un insuperabile ostacolo all’introduzione del cottimo per via contrattuale . A conforto di questa sua posizione S.G. ripercorre la vicenda del contratto collettivo nazionale sotto-scritto da Assodelivery e UGL Rider, condividendo la valutazione di inidonei-tà per carenza del requisito della maggiore rappresentatività comparata da parte di questa organizzazione sindacale, come è stato affermato sia in sede giudiziaria sia in sede amministrativa dall’ufficio legislativo del Ministero del lavoro con la circolare del 19 novembre 2020. A parere di S.G. a questo vizio deve aggiungersi l’illegittimità della previsione di un criterio di quantificazio-ne della remunerazione basato soltanto sulle consegne effettuate e non anche sul tempo di lavoro, finendo così – secondo la sua lettura dell’art. 47-quater - per disattendere la tutela minima inderogabile prevista dalla legge n. 128/2019 che precluderebbe la possibilità di prevedere con un contratto collettivo l’adozione di un cottimo “puro” e obbligherebbe ad adottarne perlomeno uno “misto” (p. 202).
In conclusione va rimarcato il merito dell’opera di S.G. che, a mio avviso, è quello di far ben emergere la tensione dell’ordinamento normativo multilivello verso l’estensione delle tutele del lavoro al di là dei tradizionali confini della “eterodirezione”, che appare un carattere non più esaustivo e adeguato per definire l’area del lavoro personale bisognevole di una protezione giuridica indisponibile, quantomeno individualmente.

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