Testo integrale con note e bibliografia
Il decreto in oggetto si occupa del caso di un pubblico dipendente che , dopo essere già stato sanzionato con la sospensione dal servizio, una volta intervenuta sentenza di condanna penale irrevocabile era poi stato licenziato dopo la riapertura del procedimento disciplinare trattandosi di reato per il quale era prevista la sanzione espulsiva.
Il ricorrente aveva censurato il provvedimento espulsivo ritenendo, tra l’altro, che l’amministrazione fosse decaduta dall’ esercizio del potere disciplinare già esercitato con la sanzione della sospensione dal servizio violando, in assenza di fatti nuovi, quindi il principio del “ ne bis in idem” applicabile invece a tutte le tipologie di sanzioni previste dal sistema.
Con il provvedimento si è invece ritenuto che il caso rientrasse perfettamente nell’ambito di applicazione dell’ art 55 ter “ norma speciale a presidio anche del buon andamento della pubblica amministrazione” che, per i pubblici dipendenti consente all’ Amministrazione di riaprire un procedimento disciplinare nel caso in cui vi sia una sentenza di condanna irrevocabile ed il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare sia punibile con il licenziamento mentre è stata applicata una sanzione diversa.
La decisione offre utili spunti sulla corretta applicazione dell’ art 55 ter comma 3 del dlgs 165/2001 che nell’interpretazione magistratuale non si pone in contrasto con il principio del “ ne bis in idem” e sulla ratio stessa della disposizione che sottolinea invece la differenza ontologica nella fase costitutiva e in quella risolutiva tra impiego pubblico e privato.
La gestione di pubbliche funzioni o servizi e la conseguente esigenza di continuità che giustifica la stabilizzazione del rapporto nell’ ambito dell’organico nonché la predeterminazione del personale mediante leggi e atti amministrativi a contenuto generale e il principio dell’ accesso ai pubblici uffici mediante concorso è l’elemento che differenzia il rapporto di lavoro pubblico da quello privato e ne giustifica la diversa disciplina di alcuni istituti.
Quindi pur nel pieno rispetto delle garanzie difensive del dipendente allo scopo di assicurare la piena autonomia del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale -che ha dinamiche e tempistiche diverse- ma soprattutto l’efficace repressione di condotte contrarie ai doveri d’ufficio il legislatore regolamenta diverse opzioni per l’ipotesi di una condotta addebitabile al dipendente ed oggetto di procedimento penale.
E’ obbligatoria la prosecuzione e la conclusione del procedimento disciplinare anche in pendenza di un procedimento penale iniziato per i medesimi fatti: non è cioè possibile attendere la conclusione dell’accertamento penale per valutare la rilevanza disciplinare dell’ addebito. Per le infrazioni di minore gravità l’Amministrazione deve anzi concludere senza dilazione l’accertamento e non è consentita la sospensione del procedimento.
Per i casi di maggiore complessità di verifica la sospensione dell’iter è facoltativa ma non c’è un obbligo di sospensione : può essere riavviato in qualunque momento se l’amministrazione viene in possesso di elementi nuovi sufficienti per concludere il procedimento.
Il procedimento disciplinare va poi riattivato per acquisire all’ esito del giudizio penale fatti o circostanze idonee a completare la valutazione della condotta nell’ ambito del rapporto di lavoro sia in senso migliorativo che peggiorativo.
Il dipendente può richiederlo entro 6 mesi dalla irrevocabilità della sentenza penale assolutoria: ma con la riapertura la determinazione disciplinare continua ad essere svincolata dall’ esito penale potendo assumere contenuti propri ( archiviazione o sanzione).
L’ Amministrazione invece deve nuovamente procedere quando a carico del dipendente viene pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna “ per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale” l’ufficio competente riesamina l’iter disciplinare già svolto.
L’iter disciplinare va poi obbligatoriamente riaperto anche quando sia stata accertata con sentenza irrevocabile di condanna una condotta da reato del dipendente per la quale sia previsto il licenziamento mentre è stata applicata una sanzione diversa
Si tratta quindi quasi di una conseguenza automatica alla condanna irrevocabile per delitti gravi tali da compromettere in via definitiva il vincolo fiduciario e la continuità del rapporto d’impiego.
Nei casi sopra illustrati la riapertura del procedimento disciplinare quando il procedimento disciplinare si è già concluso sembrerebbe in astratto contrastare con il principio del “ ne bis in idem”perchè il potere sanzionatorio una volta esercitato è stato consumato e non può essere reiterato sul presupposto di una valutazione dei medesimi fatti in tutto o in parte diversa , compiuta in un altro settore dell’ ordinamento o ad altri fini.
Né la condanna penale può ritenersi un “ novum” idoneo in sé a legittimare il riesame di una posizione disciplinare già definita.
Ma nel sistema delineato dall’ art 55 ter ciò che invece autorizza anzi, tecnicamente obbliga l’ Amministrazione a riaprire il procedimento disciplinare e a riesercitare il potere sanzionatorio è proprio il carattere di “ definitività” che viene a qualificare l’illecito disciplinare; che rende non nuovo ma nuovamente valutabile il fatto addebitato al dipendente.
Quei comportamenti già valutati con un forte contenuto di disvalore, una volta accertati irrevocabilmente nella loro qualificazione anche in sede penale , rendono,ove sanzionati con pene gravi,assolutamente non proseguibile il rapporto di pubblico impiego.
Non c’è quindi alcuno squilibrio nel sinallagma del rapporto d’impiego.
Perché è l’interesse pubblico e il buon andamento della pubblica amministrazione a prevalere sulla esigenza di certezza della sanzione:l’essenza del vincolo pubblico è proprio questa cioè la valenza collettiva della prestazione lavorativa e la sua percezione esterna come espressione diretta dell’ Amministrazione.