Con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato presso il Tribunale di Milano, sez. Lavoro, il lavoratore, referente della RSU aziendale, aveva contestato la legittimità dell’irrogazione della sanzione disciplinare, consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno. Tale provvedimento veniva assunto dal datore di lavoro poiché il ricorrente aveva affisso in bacheca un comunicato, in cui segnalava l’utilizzo del personale di una cooperativa, alla quale il datore di lavoro appaltava alcune attività, per lo svolgimento di mansioni che competevano invece ai dipendenti. Quanto allegato dal lavoratore risultava tuttavia privo di riscontro fattuale.
Il Giudice di prime cure aveva rigettato la domanda, senza esaminarne il merito, in quanto aveva ritenuto dirimente la circostanza che il ricorrente non avesse tempestivamente depositato il CCNL applicabile, né avesse sollecitato l’esercizio del potere di cui all’art. 420, comma 5, c.p.c.
Riteneva, infatti, che l’assenza del CCNL e, di conseguenza, della mancata indicazione delle norme rilevanti, impedisse la valutazione della domanda sulla illegittimità e/o nullità della sanzione inflitta.
Tale sentenza veniva impugnata dal lavoratore soccombente in primo grado per l’erronea e mancata applicazione dell’at. 421 c.p.c., considerato che il Giudice di prime cure aveva omesso di esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio al fine di acquisire il CCNL, pur ritenendolo elemento fondante della domanda. Inoltre, veniva evidenziato come la fondatezza della domanda dovesse essere valutata sulla base dei fatti occorsi e descritti nel ricorso e non sulla base delle disposizioni del contratto collettivo.
La Corte d’Appello di Milano accoglieva le doglianze del lavoratore. Rilevava infatti che l’accertamento degli addebiti implica un giudizio svincolato dalle previsioni del CCNL, considerato che il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto ai fatti contestati trova fondamento nell’art. 2106 c.c. Evidenziava altresì che, ove fosse necessario analizzarne le previsioni ai fini della valutazione della legittimità della sanzione, l’onere di allegazione del CCNL sarebbe in capo al datore di lavoro che abbia esercitato il potere disciplinare infliggendo una sanzione, il quale è tenuto a dimostrarne il fondamento sia in riferimento agli elementi costitutivi dell’illecito sia in riguardo alla proporzionalità della sanzione.
La Corte d’Appello di Milano, dunque, aderendo a quanto precedentemente esposto dalla Corte di Cassazione, ha concluso che la valutazione sulla proporzionalità della sanzione disciplinare inflitta al lavoratore non debba essere valutata esclusivamente sulla base di quanto indicato nel CCNL di riferimento, quanto piuttosto sulla base dei fatti occorsi e del caso concreto (per esempio Cass. civ., sez. lav., 21.6.2012, n. 10337, in riferimento alla più grave sanzione del licenziamento, ha ribadito la non tassatività della elencazione contenute nei contratti collettivi, sicché il giudice dovrà sempre valutare se la previsione contrattuale sia conforme alla nozione legale di giusta causa e se, in ossequio al principio di proporzionalità e ragionevolezza, il fatto addebitato sia tale da legittimare il recesso, tenuto conto delle circostanze del caso concreto).
Nel merito poi, la Corte ha valutato la sanzione inflitta sproporzionata rispetto ai fatti accaduti, considerato che il comportamento del lavoratore successivo all’affissione in bacheca del comunicato descrittivo di fatti non avvenuti sono state finalizzate alla limitazione degli effetti dannosi della condotta (attraverso la rimozione del comunicato stesso nell’arco di poche ore) e che, in ogni caso, il comportamento assunto dal lavoratore rientrasse nelle sue prerogative in qualità di rappresentante della RSU.