Testo integrale con note e bibliografia
1. Il fatto oggetto di causa
Il sig. Rossato è stato assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, quale docente di filarmonica, al servizio del Conservatorio Statale di Musica di Trento F.A. Bonporti, in data 18 novembre 2003, ed ha proseguito la sua attività di insegnamento, presso il medesimo conservatorio, per un periodo di 11 anni e 2 mesi, in forza di 17 contratti a tempo determinato .
Il docente ha adito il Tribunale di Rovereto chiedendo, in via principale, l’accertamento della illegittimità delle clausole di apposizione del termine ai singoli contratti intercorsi con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, con richiesta di conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato; in via subordinata, il risarcimento del danno subito dall’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato in violazione della direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE ; nonché il riconoscimento della anzianità maturata, ai fini retributivi, in applicazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 della direttiva medesima .
Il Tribunale di Rovereto, accogliendo parzialmente il ricorso, ha riconosciuto la sola anzianità maturata ai fini retributivi, escludendo che nel caso di specie ricorresse l’ipotesi di un’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato .
Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, con ricorso depositato in data 5 marzo 2013, ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto, con particolare riferimento al riconoscimento dell’anzianità maturata nel corso dei contratti a termine; mentre il sig. Rossato ha proposto appello incidentale avverso il capo della medesima sentenza che escludeva l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato e, di conseguenza, il rigetto della domanda di conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, del risarcimento del danno.
Nel corso del procedimento di appello, tuttavia, il docente Rossato è stato stabilizzato dal Conservatorio con contratto a tempo indeterminato in data 2 settembre 2015, con decorrenza dal 1° gennaio 2014 .
La domanda avente ad oggetto la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dunque, è venuta meno per effetto della stabilizzazione; ciò che ancora aveva ragion d’essere, invece, era la domanda di risarcimento del danno subito dall’abusiva reiterazione dei contratti a termine. In merito alla domanda di riconoscimento della pregressa anzianità di servizio ai fini retributivi, si precisa che al docente, seppure sia risultato vittorioso nel giudizio di primo grado, la stessa è stata riconosciuta solo parzialmente al momento della stabilizzazione, in quanto quest’ultima è avvenuta “per effetto dell’avanzamento nella graduatoria permanente” , dunque, indipendentemente dalla sentenza del Tribunale di Rovereto. Va valutato, dunque, se il docente abbia diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità pregressa, nonostante abbia ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato .
La stabilizzazione del sig. Rossato, nello specifico, ha avuto luogo “per effetto delle note ministeriali n. 36913/2015 del Ministero delle Finanze e n. 8893/2015 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che hanno autorizzato le assunzioni a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 19 del decreto-legge n. 104/2013 , dell’articolo 2 bis del decreto-legge n. 97/2004 , dell’articolo 2 della legge n. 508/1999 e dell’articolo 270 del decreto legislativo n. 297/1994 ” .
Ai fini della decisione della causa, tuttavia, è determinante l’interpretazione della legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona scuola) , così come fornita dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, giacché impedirebbe al sig. Rossato, al pari di qualsiasi docente stabilizzato, di chiedere il risarcimento del danno causato dal ricorso abusivo di contratti a tempo determinato.
La Corte di Appello di Trento evidenzia una possibile incompatibilità che sussisterebbe tra l’interpretazione della l. 107 del 2015 fornita dai giudici nazionali e la clausola 5 dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato, attuato mediante la dir. 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Il giudice del gravame, in particolare, ha sollevato la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo alla stessa “se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta ad un’interpretazione giurisprudenziale di disposizioni del diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che disciplinano misure intese a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, secondo la quale sarebbe vietato qualsiasi risarcimento del danno causato dal ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato durante il periodo anteriore all’entrata in vigore di dette disposizioni” .
Per comprendere appieno la portata del problema ermeneutico dinanzi al quale si è trovata la Corte d’appello di Trento occorre esaminare la disciplina giuridica alla luce della giurisprudenza nazionale e dell’Unione Europea.
2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
Una premessa metodologica è doverosa con riferimento ai rapporti tra ordinamento nazionale e il diritto dell’Unione Europea.
All’esito di un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, caratterizzato dalla contrapposizione tra la concezione dualistica e la tesi monista, è prevalsa quest’ultima impostazione. Con la storica sentenza c.d. Granital , invero, la Corte Costituzionale ha riconosciuto il principio di primazia del diritto eurounitario. Nella gerarchia delle fonti il diritto dell’Unione Europea si pone al di sopra delle fonti di rango legislativo e della stessa Costituzione, incontrando soltanto il limite rappresentato dai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dalle norme che tutelano i diritti fondamentali della persona (i c.d. controlimiti).
Dal primato del diritto europeo derivano alcuni corollari: a) il legislatore nazionale ha l’obbligo di conformarsi al diritto dell’Unione Europea, nonché di attuare le direttive europee nei tempi e nei modi previsti dalle stesse; b) il giudice italiano e la pubblica amministrazione hanno l’obbligo di interpretare le norme interne in maniera conforme al diritto UE; c) l’interpretazione delle norme eurounitarie è attribuita al sindacato accentrato della Corte di Giustizia, al fine di garantire una uniforme applicazione delle stesse sul territorio europeo.
Lo strumento mediante il quale il giudice nazionale , a norma dell’art. 267 TFUE, sottopone alla Corte di Giustizia un quesito in merito all’interpretazione o alla validità degli atti dell’Unione Europea è il rinvio pregiudiziale .
Le considerazioni appena svolte sono dirimenti nell’esame della disciplina italiana relativa al contratto a tempo determinato, atteso che la stessa è fortemente condizionata dal diritto eurounitario.
Il Consiglio dell’Unione europea, infatti, ha emanato un’importante direttiva, la n. 1999/70/CE , al precipuo fine di “attuare l’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale” .
L’accordo quadro, appena menzionato, mira al miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione, nonché alla creazione di un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
La clausola 5 dell’accordo quadro, in particolare, dispone che “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri (…) dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: 1) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; 2) durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; 3) numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti” .
Le disposizioni appena richiamate, dunque, fungono da linee guida nell’emanazione e nella interpretazione della disciplina nazionale in tema di contratto a tempo determinato .
La normativa che regolava l’utilizzo dei contratti a tempo determinato nel comparto scuola, venendo al merito della fattispecie in esame, al momento della proposizione della domanda del sig. Rossato, era costituita dalla legge n. 508/1999 e dalla legge n. 124/1999; quest’ultima, in particolare, è stata oggetto di un importante e vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale.
Il Tribunale di Napoli, con ordinanze del 2, 15 e 29 gennaio 2013, e la Corte Costituzionale, con ordinanza 3 luglio 2013 n. 207, in particolare, hanno rimesso in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il seguente quesito “se la clausola 5, punto l, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE dovesse essere interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 4, commi l, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124, i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti “che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre”, dispongono che si provveda mediante il conferimento di supplenze annuali, “in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo, senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e senza prevedere il diritto al risarcimento del danno in ipotesi di abuso; e se costituissero ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5 punto l, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa, come quella italiana, che per la reiterazione nell’assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede(va) il diritto al risarcimento del danno”.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e altri, ha osservato che una siffatta normativa, in assenza di un termine preciso per l’organizzazione e l’espletamento delle procedure concorsuali, nonché di un limite massimo al numero di supplenze annuali, viola la clausola 5, punto l , lettera a), dell’accordo quadro, atteso che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato avviene per soddisfare esigenze aventi carattere permanente e durevole, non già provvisorio .
La Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha ricordato che se pure le modalità di attuazione delle misure di prevenzione e sanzione dell’abuso “spettino all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere però meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) ”.
A questo punto, il legislatore italiano ha dovuto adeguare la normativa interna all’accordo quadro, così come richiesto dai giudici dell’UE.
3. Le ricadute nell’ordinamento nazionale della vicenda Mascolo: la legge c.d. della Buona scuola e le relative interpretazioni giurisprudenziali.
In attuazione delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte di Giustizia con la sentenza Mascolo è stata emanata la legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona scuola), con lo scopo di “adeguare la normativa nazionale a quella europea, al fine di evitare l’abuso nella successione dei contratti di lavoro a tempo determinato per il personale docente e non docente della scuola pubblica ... a seguito della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 novembre 2014”.
Il legislatore, invero, recependo le indicazioni della Corte di Giustizia, con la legge n. 107/2015 ha introdotto le seguenti misure: a) limite di durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi, ai contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti di docenti vacanti e disponibili ; b) la predisposizione di un fondo per il risarcimento dei danni conseguenti al ricorso a contratti a tempo determinato per una durata complessiva superiore al limite di 36 mesi, anche non continuativi, fissato per ciascuno degli anni 2015 e 2016 ; c) la cadenza triennale per l’espletamento dei concorsi; d) infine, per l’anno scolastico 2015/2016, la previsione di un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per la copertura dei posti vacanti dell’organico «di diritto» .
Il Governo, con tale misura, ha inteso coprire i posti in organico disponibili e cessare, per il futuro, il ricorso abusivo a contratti a termine; reiterazione che, in difetto del reclutamento straordinario, sarebbe proseguita .
La Corte Costituzionale, con la sentenza 187 del 2016 , successivamente all’intervento della Corte di giustizia, si è pronunciata in merito all’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124, nonché alla l. 107 del 2015.
Con riferimento alla normativa del 1999, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 11, della l. 124 del 1999, nella parte in cui autorizza il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti in organico vacanti e disponibili, in assenza di ragioni obiettive che lo giustifichino. In questo caso, dunque, la pronuncia risulta conforme a quanto affermato dai giudici eurounitari.
Allo stesso tempo, però, la Corte Costituzionale ha espressamente affermato che le disposizioni della legge n. 107 del 2015 (art. 1, commi 95, 131, 132) costituiscono “misure rispondenti ai requisiti richiesti dalla Corte di giustizia”. In particolare, queste ultime sono state qualificate dal giudice Costituzionale non solo proporzionate, ma anche sufficientemente energiche e dissuasive, proprio come richiesto dall’accordo quadro. Ciò in quanto agli Stati membri è riconosciuto uno spazio di autonomia nell’ambito del quale gli stessi hanno un certo margine di manovra nella predisposizione di un impianto sanzionatorio efficace ai sensi della clausola 5 richiamata.
Da tale assunto si ricava che il personale docente stabilizzato con contratto di lavoro a tempo indeterminato non possa ottenere il risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione dei contratti a termine determinatasi anteriormente alla l. n. 107 del 2015.
Con riferimento alle medesime disposizioni di legge, inoltre, la Corte Suprema di Cassazione , seguendo i principi sanciti dalla Corte Costituzionale , ha statuito che le disposizioni transitorie contenute nell’art. l, c. 95, della L. 107/2015 sul reclutamento straordinario dei docenti utilmente inseriti in graduatoria, costituiscono “misura puntualmente attuativa del dictum eurounitario, espressiva dell’ampio margine di autonomia che tale dictum ha lasciato allo Stato nazionale, idonea a sanare l’illecito, in quanto attributiva del bene della vita che era stato leso dalla condotta inadempiente realizzata dalla Amministrazione” .
La Corte di Cassazione ha conseguentemente ritenuto che la misura della stabilizzazione prevista nella citata legge 107/2015, nelle fattispecie di abuso realizzatosi prima dell’entrata in vigore della medesima legge, “sia misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso stesso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” . Così come, con lo stesso effetto, debbano essere considerate tali le altre eventuali stabilizzazioni intervenute “attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi-concorsuali” a cui abbia avuto eventualmente accesso il personale docente .
La giurisprudenza di legittimità ha precisato, pertanto, che un risarcimento del danno potrebbe essere chiesto e provato dal lavoratore solo con riferimento a pregiudizi ulteriori, specifici e diversi da quello immediatamente connesso all’abuso di per sé stesso considerato .
Ne consegue che, a prescindere dalla norma in virtù della quale sia avvenuta la stabilizzazione, dall’impostazione ermeneutica delle Corti italiane si evince che tutti i docenti stabilizzati non hanno diritto al risarcimento del danno. Tra questi rientrerebbe, prima facie, anche il docente Rossato.
Fermo restando che ai docenti non ancora assunti con contratto a tempo indeterminato e privi di “alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati da Cass., sez. un., n. 5072 del 2016” .
4. Conversione e stabilizzazione: il diverso regime sanzionatorio previsto tra il settore pubblico e quello privato.
Dall’impianto interpretativo disegnato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, in conformità con i dettami della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emerge che la legge italiana non riconosce ai docenti, che abbiano ottenuto la stabilizzazione con riferimento ad un periodo anteriore alla l. n. 107 del 2015, il risarcimento del danno per il ricorso abusivo al contratto a termine nel settore scuola.
A questo punto, però, occorre fare alcune considerazioni in merito alle criticità sollevate dal giudice del rinvio circa la differenza che sussisterebbe tra gli impianti sanzionatori previsti nel settore pubblico e quelli del settore privato in caso di illegittima reiterazione del contratto a tempo determinato .
Nel settore privato, invero, prima con il d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 e, successivamente, con il d.lgs. giugno 2015, n. 81 , l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato è sanzionata, innanzitutto, mediante la conversione degli stessi a tempo indeterminato. Nei casi di trasformazione del contratto, poi, il giudice condanna il datore al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto .
Il regime sanzionatorio previsto in caso di illegittima apposizione del termine ai contratti di lavoro, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, tuttavia, è differente rispetto a quello appena delineato.
Nel settore pubblico “ogni singola norma deve misurarsi con il rispetto dei principi del «buon andamento» e della «imparzialità» della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), in ragione della inderogabile regola di quella che è stata definita «gerarchia materiale», secondo la quale il contenuto della norma inferiore non può assumere un contenuto confliggente con quello della norma superiore” . L’art. 97, comma 3, Cost. in particolare, pone una regola di base per l’accesso all’impiego di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione: il concorso (salvo eccezioni legislativamente previste).
Il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che disciplina le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, all’art. 36 prevede che “per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento (previste dall’articolo 35)”. Le stesse amministrazioni, tuttavia, possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, purché nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle medesime amministrazioni pubbliche .
La violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori pubblici, nondimeno, “non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”. Il lavoratore interessato, pertanto, non ha diritto alla conversione del rapporto di lavoro, ma al solo risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro svolta in violazione di disposizioni imperative .
La Corte di Cassazione, sul punto, con orientamento granitico ha affermato il principio per cui nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato è vietata la conversione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato; tale regola, inoltre, “non ammette eccezioni e riguarda anche l’ipotesi in cui l’individuazione del lavoratore assunto a termine, o con altre forme di lavoro flessibile, è avvenuta all’esito delle procedure di reclutamento sopra richiamate o utilizzando le graduatorie di procedure concorsuali” .
L’unica misura sanzionatoria, secondo la giurisprudenza di legittimità, prevista dall’ordinamento italiano, ossia dal T.U.P.I., all’articolo 36, comma 5, in ipotesi di abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato da parte delle pubbliche amministrazioni, è il risarcimento del danno, che trova giustificazione non nella mancata assunzione a tempo indeterminato, ma nella perdita di chance di partecipazione al concorso e delle occasioni di lavoro alternative mancate.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 5072 del 2016 , chiamate a fornire una interpretazione dell’art. 36, cit., conforme al diritto eurounitario, ribadendo, innanzitutto, l’impossibilità di trasformare il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, hanno introdotto il concetto di «danno comunitario». Cosicché, i dipendenti pubblici che hanno subito un’illegittima reiterazione del contratto a termine hanno diritto al risarcimento del danno comunitario, cioè non del danno connesso alla perdita del posto di lavoro, bensì da quello che deriva dallo svolgimento del rapporto di lavoro in violazione di norme imperative .
Le Sezioni Unite, dunque, quantificano tale danno in modo uniforme a quanto avviene nel rapporto di lavoro privato, ovvero sotto forma di un’indennità onnicomprensiva predeterminata dalla legge, ai sensi dell’art. 32, comma 5, L. 183 del 2010 (c.d. Collegato Lavoro); e trattandosi di indennità forfetizzata e omnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine, il lavoratore è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo . Fermo restando, tuttavia, che il lavoratore potrà chiedere il risarcimento per il maggior danno subito, ovviamente, se allegato e provato nel corso del giudizio.
Emerge da tale quadro legislativo e interpretativo una chiara differenziazione di regime sanzionatorio tra l’impiego privato e quello pubblico contrattualizzato.
L’illegittima reiterazione dei contratti a termine è sanzionata nel rapporto di lavoro privato con la conversione del contratto e con il risarcimento del danno; nell’impiego pubblico privatizzato, invece, non è prevista la conversione, ma il solo risarcimento del danno.
Il sig. Rossato, quale docente del Conservatorio di musica, venendo al caso preso in esame, quale dipendente pubblico privatizzato, ex lege, non avrebbe potuto ottenere la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato mediante la pronuncia giudiziale, ma il solo risarcimento del danno.
Nel comparto scuola, tuttavia, l’abusiva reiterazione dei contratti a termine ha sollevato dubbi di compatibilità della normativa nazionale con la clausola 5 dell’accordo quadro.
Uno strumento che è stato utilizzato per far fronte a tale disparità è stato sicuramente la “stabilizzazione” prevista ex lege, cioè l’assunzione a tempo indeterminato degli insegnanti già precari. Questa misura è stata interpretata dalla Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, anche alla luce della giurisprudenza eurounitaria, quale misura conforme alla clausola 5 dell’accordo quadro, quindi, quale misura proporzionata, sufficientemente energica e dissuasiva . Ciò anche senza il riconoscimento di un risarcimento del danno dovuto all’illegittima reiterazione dei contratti a termine. La normativa di riferimento più recente è rappresentata dalla l. 107 del 2015 che non prevede alcun diritto al risarcimento del danno per i dipendenti stabilizzati, bensì un piano straordinario di stabilizzazione.
Ciò comporta, a prima vista, una differenziazione rispetto agli altri settori del pubblico impiego, per i quali la Corte di legittimità a Sezioni Unite, con sentenza n. 5072 del 2016 , ha riconosciuto l’indennità risarcitoria ex art. 32, l. n. 183 del 2010, presumendosi il danno da perdita di chances (comprese quelle di poter partecipare e vincere un concorso) e da precarizzazione .
Tale assunto, tuttavia, non è condivisibile, atteso che il «danno comunitario», presunto e non necessitante di prova da parte del lavoratore, è stato riconosciuto dalla Corte di legittimità, proprio perché la Corte di giustizia richiedeva una misura maggiormente dissuasiva ed un rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico, che non può beneficiare della conversione del contratto di lavoro .
Il giudice della Corte di Appello, nell’ordinanza di remissione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, osserva, in particolare, che la «stabilizzazione» del rapporto di lavoro con contratto a tempo indeterminato esplica effetti solo per il futuro e deve essere distinta dalla «conversione» del rapporto di lavoro, che è la sanzione prevista – oltre all’indennità risarcitoria – per il settore privato ed esplicativa di effetti per il passato .
Tali circostanze inducono il giudice del rinvio a nutrire dei dubbi sulla legittimità di una siffatta conseguenza dell’interpretazione della Corte Costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione alla luce dell’accordo quadro e dei principi elaborati dalla Corte nella sentenza Mascolo e a. .
La stabilizzazione cui fanno riferimento le pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione opera solo per il futuro e non è equivalente alla conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, sanzione prevista (oltre all’indennità risarcitoria) per il settore privato, in quanto la conversione ha effetto ex tunc.
I principi enunciati dalle Corti nazionali comportano che, per il periodo antecedente alla entrata in vigore della l. n. 107 del 2015, non vi sia sanzione per l’illecito ricorso abusivo ai contratti a termine per tutti i docenti che abbiano conseguito l’immissione in ruolo, a prescindere dal numero dei contratti a termine stipulati, dal periodo in cui sono stati mantenuti in una situazione di precarietà e a prescindere dalle modalità con le quali hanno avuto accesso al contratto a tempo indeterminato .
Ne consegue, con riferimento alla controversia oggetto di esame – nella quale è accertato che la copertura della cattedra era esigenza permanente e durevole – che il docente, da un lato, non ha diritto alla conversione del rapporto di lavoro, non applicabile al pubblico impiego, e, dall’altro, non ha diritto al risarcimento del danno, essendo egli stato stabilizzato in forza di “pregressi strumenti selettivi concorsuali”, operanti anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 107 del 2015 .
Il giudice del rinvio, dubitando della legittimità di tali conclusioni alla luce della direttiva e dei principi statuiti dalla Corte di giustizia, da ultimo nella sentenza Mascolo, chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in via pregiudiziale , se la sola stabilizzazione del personale docente precario costituisca misura con carattere proporzionato, sufficientemente energetico e dissuasivo, per garantire la piena efficacia delle norme dell’Accordo quadro clausola 5 punto 1, in relazione alla violazione dello stesso, per l’abusiva reiterazione di contratti a termine, con riferimento al periodo anteriore alla l. 107 del 2015.
5. Le motivazioni della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia doveva valutare se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro dovesse essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude, per i docenti del settore pubblico che abbiano beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato, qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario, in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato .
La clausola 5, come già affermato, impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure che essa elenca, quando il diritto interno non contiene rimedi di legge equivalenti . Le autorità nazionali, invero, dispongono di un potere discrezionale in ordine alla scelta delle misure sanzionatorie da adottare al fine di scongiurare l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, purché esse risultino non solo proporzionate, ma anche sufficientemente energiche e dissuasive, tali, cioè, da cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione .
Il giudice della Corte di Giustizia è stato chiamato a pronunciarsi in merito alla compatibilità dell’interpretazione giurisprudenziale della l. 107 del 2015 con il diritto eurounitario.
Sul punto, il giudice dell’Unione Europea, dopo aver constatato che nel caso di specie la stabilizzazione costituisse una misura certa, e non aleatoria ed imprevedibile come nel caso Mascolo, ha affermato il carattere sufficientemente energico e dissuasivo della stabilizzazione. Ne consegue, per l’effetto, che la mancata previsione di una ulteriore misura, quale il risarcimento del danno, rientra a pieno titolo nel margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, nella scelta delle misure atte a realizzare gli obiettivi della loro politica sociale . La giurisprudenza euronitaria, invero, non richiede un cumulo di misure .
La Corte, poi, con riferimento alla presunta disparità di trattamento che sussisterebbe tra il docente Rossato e i lavoratori che hanno ottenuto una condanna del loro datore di lavoro a causa del ricorso abusivo a contratti a tempo determinato prima dell’entrata in vigore della legge n. 107/2015 e che avrebbero potuto, secondo la normativa anteriore, cumulare un risarcimento e il beneficio di un’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, rileva che “la disparità di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo determinato risultante da una riforma della normativa applicabile non rientra nell’ambito del principio di non discriminazione sancito alla clausola 4 dell’accordo quadro” .
Con riferimento al profilo del limitato effetto retroattivo della trasformazione del rapporto di lavoro di cui ha beneficiato il sig. Rossato, la Corte rileva che l’integrale riconoscimento, all’atto dell’immissione in ruolo del lavoratore interessato, dell’anzianità maturata in forza di contratti di lavoro a tempo determinato equivarrebbe ad un’integrale ricostituzione di carriera, come quella riservata ai funzionari che hanno superato un concorso.
Richiamando quanto già affermato nella sentenza Motter, la stessa evidenzia che “il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di trattare in modo identico i dipendenti pubblici di ruolo assunti al termine di un concorso generale e quelli assunti in base ai titoli, sulla base dell’esperienza professionale da essi maturata in forza di contratti di lavoro a tempo determinato, dato che tale disparità di trattamento risulta dalla necessità, da un lato, di tenere conto delle qualifiche richieste e della natura delle mansioni di cui i dipendenti pubblici di ruolo devono assumere la responsabilità, e, dall’altro, di evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti di questi ultimi” .
Alla luce di tali principi, il giudice dell’UE rimette al giudice nazionale la valutazione se, a fronte della durata particolarmente lunga dell’abuso di cui è stato vittima il sig. Rossato, il riconoscimento parziale della sua anzianità (retroattivo al 1° gennaio 2014 e non al 18 novembre 2003, data di stipulazione del primo contratto a tempo determinato) costituisca una misura di carattere proporzionato, tale da sanzionare debitamente detto abuso e da cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione .
6. Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di Giustizia.
All’esito delle motivazioni suindicate, le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice della Corte di Giustizia sono le seguenti: “la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude - per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato - qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorché una siffatta trasformazione non è né incerta, né imprevedibile, né aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell’anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”.
La normativa italiana, introdotta nel 2015, dunque, risulta compatibile con l’accordo quadro, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione; al giudice nazionale è rimessa la valutazione in merito al riconoscimento di un risarcimento del danno ulteriore.
La Corte di Giustizia afferma, per la prima volta ed a chiare lettere, la legittimità dell’impianto normativo fornito dalla legge c.d. Buona Scuola, nella misura in cui prevede un piano di stabilizzazione dei docenti che siano stati a lungo precari.
Tale misura viene qualificata dalla CGUE come proporzionata, effettiva, sufficientemente energica e idonea a sanzionare debitamente l’abuso perpetrato ai danni dei docenti, mediante l’illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato.
Conformemente a quanto affermato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, la stabilizzazione è di per sé sufficiente e non è necessaria l’ulteriore misura, rappresentata dal risarcimento del danno comunitario, ossia l’indennità risarcitoria ex art. 32, l. n. 183 del 2010.
Il risarcimento del danno c.d. comunitario, d’altronde, è pacificamente riconosciuto in caso di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico, ma solo qualora non vi sia un’altra sanzione sufficientemente forte da “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”. Ciò trova conferma nella stessa definizione di danno c.d. comunitario: si presume un danno da perdita di chances che non necessita di alcuna prova da parte del lavoratore.
Ai dipendenti che abbiano ottenuto la stabilizzazione, dunque, è riconosciuto solo il risarcimento di danni ulteriori (come i danni alla salute o i danni morali), purché effettivamente provati nel corso del giudizio.
È interessante notare, proprio in merito a tale punto, che l’avvocato generale ha rassegnato conclusioni diametralmente opposte a quelle cui è giunta la Corte di Giustizia.
L’avvocato generale Maciej Szpunar, invero, ha precisato che “il danno che dà diritto al risarcimento, al quale si riferisce l’accordo quadro e la giurisprudenza della Corte, riguarda il danno specifico connesso all’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per una parte sostanziale della carriera professionale di un lavoratore, che lo esclude dal beneficio della stabilità dell’occupazione, il quale costituisce, come emerge dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro nonché dai punti da 6 a 8 delle considerazioni generali dello stesso, un elemento portante della tutela dei lavoratori. Il risarcimento di tale danno costituisce una misura sanzionatoria specifica per la violazione dell’accordo quadro. Pertanto, il fatto che questo stesso lavoratore (il sig. Rossato) possa chiedere, secondo il diritto nazionale, il risarcimento di altri tipi di danni che possono essere connessi o collaterali al danno principale, ma che non sono direttamente connessi alla violazione del diritto dell’Unione, non incide sulle mie conclusioni, ossia l’assenza di un carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo di una misura sanzionatoria che non è applicabile ai docenti immessi in ruolo in forza della legislazione anteriore alla legge n. 107/2015, come il ricorrente nel procedimento principale”.
Dalle conclusioni dell’avvocato generale emerge, in particolare, che la l. 107 del 2015, da un lato, ha comportato un indubbio miglioramento della situazione dei docenti che sono stati o saranno stabilizzati dopo la sua entrata in vigore; dall’altro lato, però, l’interpretazione della stessa norma, così come fornita dalla giurisprudenza nazionale, ha implicato un “peggioramento” della condizione dei docenti stabilizzati in virtù della normativa precedente. Il danno arrecato loro da una normativa incerta, imprevedibile ed aleatoria, definita tale dalla Corte di Giustizia nella sentenza Mascolo, non è risarcibile, proprio in virtù dell’interpretazione giurisprudenziale fornita dai giudici nazionali. Quest’ultima esclude la possibilità per tali docenti di beneficiare del risarcimento del danno subito per effetto del lavoro prestato in violazione della normativa eurounitaria, il c.d. danno comunitario.
L’avvocato generale, dunque, considera la stabilizzazione dei docenti, avvenuta in virtù della normativa ante l. 107 del 2015, non “idonea a sanzionare in modo adeguato l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato né a rimuovere le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” . Proprio per tali ragioni, lo stesso avvocato propone alla Corte di Giustizia di rispondere nei seguenti termini: “la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, il quale figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad un’interpretazione giurisprudenziale di disposizioni del diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che disciplinano misure intese a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, secondo la quale sarebbe vietato qualsiasi risarcimento del danno causato dall’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato durante il periodo anteriore all’entrata in vigore di dette disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
La Corte di Giustizia, tuttavia, non ha accolto tale impostazione e si conforma all’interpretazione fornita dai giudici italiani, ponendosi in linea di continuità con quanto dagli stessi affermato.
7. Possibili esiti del giudizio a quo.
Un profilo, però, resta ancora incerto: l’eventuale riconoscimento dell’anzianità maturata ai fini retributivi.
Il sig. Rossato, invero, ha ottenuto tale riconoscimento all’esito del giudizio di prime cure; al momento della stabilizzazione, tuttavia, gli è stata riconosciuta solo parzialmente l’anzianità pregressa.
In tema di riconoscimento dell’anzianità maturata dai docenti stabilizzati, in forza dei precedenti contratti a termine, la Corte di legittimità si è pronunciata in merito alla compatibilità del riconoscimento parziale con il principio di non discriminazione, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro citato. Il principio di diritto affermato più volte dalla Corte di legittimità italiana è il seguente: “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato” .
Tale affermazione, invero, non è contraddetta dalla più recente giurisprudenza dell’UE secondo cui “talune differenze di trattamento tra i dipendenti pubblici di ruolo assunti al termine di un concorso generale e quelli assunti dopo aver acquisito un’esperienza professionale sulla base di contratti di lavoro a tempo determinato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui i predetti devono assumere la responsabilità” .
All’esito delle conclusioni formulate dalla corte di Giustizia, dunque, è plausibile affermare che ai dipendenti stabilizzati, anche per effetto di una normativa antecedente alla l. 107 del 2015, possa essere riconosciuta l’anzianità, ai fini retributivi, a far data dal primo contratto a termine e non dalla diversa data individuata al momento della stabilizzazione. Ricostruzione, questa, che troverebbe ampiamente supporto nei precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione e che sembra quella adottata dal Tribunale di Trento nella sentenza oggetto dell’appello principale del MIUR.
Si può sostenere, altresì, che agli stessi docenti non è riconosciuto il risarcimento del danno c.d. comunitario, atteso che la stabilizzazione è stata qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica e idonea a sanzionare l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato nel comparto scuola. Tale impostazione, d’altronde, trova unanime conferma sia nella giurisprudenza nazionale che in quella eurounitaria.