Testo integrale con note e bibliografia
1. Brevi premesse di contesto
La pubblica amministrazione, seppur ontologicamente accomunata dal perseguimento dell’interesse pubblico, è caratterizzata da una estrema diversificazione, la quale inevitabilmente incide sul piano organizzativo .
Pertanto, oltre alle caratteristiche peculiari del settore, in termini di tendenza alla gerarchizzazione e all’elevata procedimentalizzazione burocratica, l’elevata varietà che lo contraddistingue è aspetto da cui non può prescindersi nella implementazione di istituti inerenti alla flessibilità nel rapporto di lavoro, quali il lavoro agile o smart working.
Infatti, la citata fattispecie si presenta quale fenomeno sistemico richiedente una lettura congiunta con alcuni necessari fattori abilitanti, quali l’organizzazione aziendale, la tecnologia, unitamente alle competenze digitali, che sono essenziali, per un’efficace implementazione del lavoro agile, al di là del costituire o meno requisito sostanziale per l’insorgenza della fattispecie ex art. 18 della legge n. 81 del 2017 . Risultati empirici sembrano confermare pienamente il suddetto assunto. Un recente studio della Banca d’Italia, ad esempio, evidenzia come la scarsa diffusione dello smart working nella PA sia direttamente proporzionale all’inadeguatezza del livello di digitalizzazione dei servizi pubblici, anche in termini di composizione e competenze della forza lavoro coinvolta. Infatti, laddove i dipendenti pubblici presentano capacità digitali più elevate, l’adozione dello smart working è stata più consistente . Tuttavia, nell’ambito delle competenze digitali, l’Italia all’interno del quadro europeo si colloca ancora più in basso dell’indicatore generale sulla digitalizzazione .
Tale contesto, unito a una ben nota scarsa propensione all’innovazione, non fa stupire quando si evidenzia che il “lavorare agilmente” nelle pubbliche amministrazioni costituisse un’eccezione più accentuata che nel privato, prima della pandemia ; e anche durante l’emergenza epidemiologica, a fronte di un potenziale utilizzo pari a circa il 53%, l’uso effettivo è stato solo del 30%, con divari territoriali considerevoli .
2. Il quadro normativo promozionale. La sperimentazione “agile”, ma poco “smart”, avviata dalla Quarta Riforma del pubblico impiego
Osservando il lavoro agile nella pubblica amministrazione, le difficoltà strutturali comprimenti anche le eventuali potenzialità normative, si manifestano con estrema evidenza. Il riferimento è alla legge n. 124/2015, nel cui art. 14, commi primo e secondo, espressamente rubricato “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”, si invitavano le pubbliche amministrazioni ad adottare misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per attuare non solo il telelavoro, ma anche per sperimentare nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa orientate al work-life balance. Il riferimento sottinteso era chiaramente allo smart working, che nel frattempo stava cominciando ad emergere, sotto diverse denominazioni, in alcune grandi realtà aziendali in particolare per il tramite della contrattazione collettiva e di cui era stata presentata una prima proposta di legge nel 2014 .
L’art. 14 della l. n. 124/2015 introduceva una sperimentazione avente però carattere di cogenza per le amministrazioni - espresso nell’obiettivo relativo all’adibizione di almeno il 10% dell’organico in telelavoro o altra modalità di flessibilità spazio-temporale – che seppur privo di una effettiva sanzione diveniva oggetto di valutazione della performance non solo organizzativa, ma anche individuale. Tale percorso sperimentale doveva però avvenire senza incorrere in nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, un aspetto che ha indubbiamente costituito uno dei limiti, se letto anche alla luce di quanto premesso in termini di arretratezza dei processi di digitalizzazione .
L’unica finalità che il legislatore indicava di perseguire in via diretta con l’introduzione del lavoro agile nella PA era il promuovere un’organizzazione del lavoro orientata alla conciliazione vita-lavoro , in quanto il buon andamento della stessa, intesa in termini di sua azione più efficace ed efficiente, in punta di norma era da considerarsi, a mio avviso, quale effetto dell’ottimale conseguimento dell’unico obiettivo chiaramente esplicitato .
Il precetto normativo ha iniziato ad avere una effettiva attuazione , a seguito dell’adozione della Direttiva n. 3/2017 del Presidente del Consiglio dei ministri, contenente «indirizzi per l’attuazione delle disposizioni legali attraverso una fase di sperimentazione» . Nella lettura congiunta di tale testo con quello normativo emerge un inquadramento della fattispecie del lavoro agile quale modalità organizzativa volta al cambiamento di paradigma nella pubblica amministrazione, consistente nell’abbandono del tradizionale improntato su presenza fisica e timbratura del cartellino verso il passaggio a un modello centrato sulla persona, in ottica di maggiore responsabilità, fiducia e collaborazione della stessa .
Questa matrice evolutiva emerge inoltre attraverso l’espressa previsione che l’atto interno debba contenere il controllo di gestione e il sistema di valutazione della performance organizzativa e individuale, con riguardo anche al bilancio di genere, attraverso un coinvolgimento oltre che degli Organismi Indipendenti di valutazione (OIV), anche dei Comitati Unici di Garanzia (CUG).
Da un esame delle sperimentazioni pubbliche realizzate, in particolare, sino al periodo anteriore all’entrata in vigore della normativa emergenziale, l’atto introduttivo, attuato dalle pubbliche amministrazioni, che anticipa e costituisce “la cornice di riferimento” dell’accordo individuale, ha non a caso la forma giuridica generalmente di un regolamento, mentre nonostante le Pubbliche amministrazioni siano tenute a rendere l’informativa al sindacato, oltre che alla trasmissione dell’atto al Comitato Unico di Garanzia ex art. 57 D.Lgs. n. 165/2001 una presenza - soprattutto se intesa in termini articolati e realmente partecipati - della contrattazione collettiva non sembra essere la costante .
Dall’analisi sistemica delle già menzionate fonti normative, unitamente ai documenti di indirizzo amministrativo, emerge che lo smart working si poneva, almeno nella volontà legislativa, come elemento di un processo da sperimentare, nel quale il perseguimento dell’equilibrio tra vita lavorativa e personale costituiva possibile leva di change management e digitalizzazione, e cui futuri sviluppi di carattere più generale si sarebbero dovuti valutare a seguito dell’esperienza sperimentale.
3. Shock pandemico. Tra accelerazioni, ripensamenti e lezioni apprese.
Nella pubblica amministrazione il virus è stato davvero travolgente perché come si è accennato si è passati da un alquanto ridotta diffusione a più del 70% dei dipendenti in smart working , essendo divenuta la finalità sanitaria ratio principale, perseguita attraverso una normativa emergenziale che per tale settore, diversamente dal privato, si è ben presto concretizzata anche in interventi di carattere strutturale, al di là del proseguimento della pandemia.
Infatti, ben presto si è proceduto formalizzando la conclusione della sperimentazione di cui alla Riforma Madia, con la soppressione del riferimento alla stessa all’interno dell’art. 14 l. n. 124/2015, ad opera dell’art. 18, comma 5, del d. l. del 2 marzo n. 9 del 2020, convertito con modificazioni in l. n. 27/2020 . In ordine alla citata modifica normativa la Circolare del 4 marzo n. 1 e la Direttiva della Funzione Pubblica del 12 marzo 2020 n. 2 esplicitavano sin da subito che le pubbliche amministrazioni fossero tenute ad «assicurare il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa»; previsione ben presto normata all’art. 87, comma 1, lett. b), del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, in l. n. 27/2020. Tale intervento normativo ha comportato quale conseguenza che la misura operasse a regime con un vincolo molto più stringente che nel privato, assumendo una valenza di obbligatorietà e sollevando anche possibili dubbi di illegittimità costituzionale , a mio avviso arginati e limitati dalla finalità emergenziale di tutela del bene primario salute.
Il legislatore ha compiuto poi un passo ulteriore riscrivendo l’art. 263 nel passaggio dal dl. n. 34 del 2020 (il cosiddetto Decreto “Rilancio”) alla relativa legge di conversione, la n. 77/2020, nella quale è intervenuto nuovamente sul testo dell’art. 14 della l. n. 124 del 2015, ma questa volta non limitandosi a una mera modifica, ma procedendo a un’opera di vera e propria riscrittura.
3.1 Un nuovo documento programmatico. Il POLA esiti di una prima attuazione.
Si prosegue così a segnare ancora più nettamente un percorso parallelo e distinto del lavoro agile nel pubblico rispetto al privato, prevedendo l’adozione di un documento programmatico, il cosiddetto POLA, acronimo di Piano operativo del lavoro agile. Tale atto è stato configurato non come autonomo ma quale sezione del Piano della performance e deve essere presentato ogni anno entro il 31 gennaio, previo confronto non vincolante con le parti sindacali.
La funzione affidata al POLA consiste nell’elaborare il percorso attuativo del lavoro agile prevedendo, per le attività che possano essere svolte in tale modalità, inizialmente che almeno il 60% dei dipendenti potesse avvalersene, garantendo che i medesimi non subissero penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e progressioni di carriera; mentre in caso di mancata adozione i lavoratori e le lavoratrici agili dovevano essere almeno il 30% dei dipendenti richiedenti . La citata previsione è durata neanche un anno, atteso che l’art. 14 della l. n. 124/2015 è stato nuovamente modificato al primo comma dall’art. 1, comma 2, lettera a), b) e c) del dl. n. 56 del 30 aprile 2021, il quale ha ridotto dal 60% al 15% delle attività cosiddette “smartabili” la quota minima dei dipendenti che potrà avvalersi dello smart working. Diversamente in in caso di mancata adozione del POLA, il lavoro agile si applica ad almeno al 15% dei dipendenti, ma solo qualora lo abbiano espressamente richiesto.
Si ritiene che tale volontarietà non comprima la facoltà dell’amministrazione di esprimere un proprio eventuale diniego qualora non ritenga la mansione “smartabile”. un diniego peraltro caratterizzato da una certa discrezionalità, attesa l’assenza di indicazione precettiva circa la motivazione dello stesso, quale indicante non semplicemente una mera impossibilità, ma comprovante un’effettiva analisi per fasi, obiettivi e cicli, che abbia condotto a un esito di infattibilità piena.
La previsione dell’avverbio “almeno” senza alcuna connotazione aggiuntiva conseguente alla richiesta in termini di circoscrizione del campo di applicazione ad attività individuate quali “smartabili”, e l’assenza di puntualizzazioni in materia nella disciplina sul lavoro agile ad avviso di chi scrive può, quindi, aprire un varco a possibili incertezze normative.
Di certo non è difficile pensare che tale approccio del legislatore possa avere un effetto destabilizzante o di facile alibi per un inamovibile status quo. Infatti, l’aver incardinato già da luglio 2020 un percorso a regime oltre l’emergenza - al di là delle proroghe della stessa – ha il presumibile effetto di determinare uno stato di incertezza che certamente non agevola il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione , di cui si vorrebbe garantire efficace realizzazione nell’auspicio del “mutevole” legislatore .
Un’ottimale redazione del POLA può essere pertanto funzionale al tale obiettivo e in tale ottica sono state adottate dal Ministro per la Pubblica Amministrazione specifiche “Linee Guida sul Piano Organizzativo del Lavoro Agile e indicatori di Performance” . Indicativo è che nelle medesime non solo sono stati forniti precisi indirizzi, ma anche format differenziati in base al numero dei dipendenti del singolo ente, da cui si evince il plausibile scopo non solo di agevolare l’operato delle PA sul punto, ma anche di renderne i risultati più facilmente comparabili in fase di monitoraggio . Un processo quindi solo governato dal centro, in quanto caratterizzato da ampi margini di discrezionalità all’interno delle varie amministrazioni.
Tale atto concepito, quindi, non come a sé stante, ma come parte integrante del piano della performance, non può ritenersi neanche scisso dalla necessità di un totale allineamento sistemico tra il citato piano e il regolamento e/o l’accordo integrativo e gli accordi individuali di lavoro agile con i relativi allegati, che non a caso divengono parte stessa di alcuni P.O.L.A. al momento presentati, come ad esempio quello della Regione Lazio .
Ad avviso di chi scrive costituisce pertanto elemento imprescindibile del lavorare smart l’interazione tra l’analisi giuridica e gli aspetti organizzativi, evidenza che nell’architettura del POLA si manifesta chiaramente.
Sulla scorta dell’esperienza pandemica il legislatore sembra indicare quindi chiaramente l’avvio di una rivoluzione organizzativa del comparto pubblico, cui il lavoro agile non costituisce più solo un’opportunità da sperimentare e vagliare, ma il centro nevralgico di tutto il processo, che si connette non a caso con il piano della performance e su un orientamento al risultato per il miglioramento dell’efficienza amministrativa, con tutte le ripercussioni e difficoltà del caso, su cui nell’economia di questo contributo non è possibile ora soffermarsi.
Il messaggio per le PA sembra essere che non solo «indietro non si torna», ma che occorra proseguire con una nuova forma mentis a partire innanzitutto dalla dirigenza, ma non solo. Infatti, da una prima analisi sui POLA emerge che negli stessi il ruolo dei dirigenti, ma anche delle posizioni organizzative, ai fini dello sviluppo del lavoro agile sia fattore non solo da migliorare ma addirittura inadeguato nella quasi metà del campione considerato .
Tra gli altri contenuti da migliorare in modo strutturale, figurano: l’assenza generalizzata delle fonti degli indicatori, che ovviamente incide sulla verificabilità della programmazione, alimentandone un poco utile carattere autoreferenziale ; la scarsa qualità delle scelte logistiche anche in termini di costi risparmiati, che appare il punto maggiormente dolente e degli impatti dello smart working da un punto di vista ambientale, economico e sociale; il basso monitoraggio nel 2020 della qualità del lavoro agile dell’emergenza e del benessere organizzativo; l’inadeguatezza qualitativa delle performance organizzative; la scarsa presenza di un help desk informativo dedicato al tema.
Gli elementi che sembrano presentare una maggiore solidità in termini di mappatura dello stato dell’arte, sono invece: la fotografia delle condizioni di “salute” dell’ente in termini organizzativi, tecnologici, formativi e logistici; il monitoraggio dell’implementazione quantitativa del lavoro agile emergenziale; la programmazione futura del regolamento o di altri atti organizzativi relativi al lavoro agile; l’identificazione dei soggetti del lavoro agile; la programmazione della realizzazione e dell’affidamento della mappatura dei processi svolgibili in modalità agile.
4. La modifica strutturale e il proseguimento dell’emergenza. Incertezze interpretative e centralità delle relazioni sindacali
Il percorso “agile” nel pubblico appare quindi procedere su un doppio binario, in quanto il Governo e le Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative hanno sottoscritto in data 10 marzo 2021 il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, in cui, nella consapevolezza della centralità del lavoro agile nel pubblico, anche oltre la fase emergenziale, si impegnano nella «definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata».
Si legge però nel comunicato stampa ufficiale presente sul sito della Funzione Pubblica che «le amministrazioni pubbliche potranno continuare a ricorrere alle modalità semplificate relative al lavoro agile ma sono liberate da ogni rigidità» .
Una rigidità che a dire il vero non sussisteva neanche nella versione normativa precedente, atteso che peraltro le amministrazioni avrebbero dovuto già raggiungere il 10% dell’organico in smart working a partire dal 2018, e che il 30% non è valore assoluto, ma circoscritto solo alle attività che potevano essere svolte da remoto. Si ritiene invece che in un certo senso ci fosse quasi una linea di continuità con un percorso normativo iniziato in realtà da 7 anni, come si è ricordato in apertura del presente contributo.
Pertanto, ad avviso di chi scrive, la questione non verterebbe tanto su presunte e più o meno “rigide rigidità”, mi si perdonerà la voluta ridondanza, ma di un indirizzo diverso intrapreso dal legislatore a distanza di pochissimo tempo. L’abbassamento della percentuale - che ritengo sia fuorviante chiamare vera e propria quota, definizione richiamante alla memoria indicazioni di carattere numerico a ben più elevato carattere precettivo - manifesta un pesante arretramento sul piano di indirizzo normativo che inevitabilmente comprime la spinta a un cambiamento, che fino ad oggi si è manifestato nell’ordinario come estremamente lento.
Dall’altro verso pur in assenza di un rinvio legislativo espresso alla contrattazione collettiva all’interno della disciplina del lavoro agile, il combinato disposto tra il nuovo art. 14 della l. n. 124/2015 e il suddetto accordo interconfederale attribuisce alle relazioni sindacali del comparto pubblico un ruolo essenziale di definizione eteronoma del testo normativo sul lavoro agile . A parere di chi scrive, pertanto in questo doppio binario il sistema sindacale è un player non solo già in campo ma con un riconosciuto e riscoperto ruolo centrale. Deciderà di avanzare rispetto all’indirizzo di arretramento espresso dal dettato normativo o accodarsi ad esso? Di certo ha la possibilità di una sua nuova e in parte sconosciuta affermazione. Saprà sfruttarla? Di certo però sembra manifestarsi nel pubblico il passaggio da un lavoro agile incentrato sull’accordo individuale a uno caratterizzato da un’imprescindibile rilevanza collettiva degli interessi in gioco, potendo così forse segnare il superamento del non peregrino timore di una individualizzazione esasperata.
Una prima partita di innovazione potrebbe ad esempio essere giocata sul piano del “tesoretto” ricavato dai risparmi che le amministrazioni sono riuscite a raccogliere attraverso l’attuazione massiva del lavoro agile (si pensi al discusso tema dei buoni pasto), che in virtù della previsione di cui all’art. 1, comma 870, della legge n. 178 del 2020, la legge di Bilancio 2021, possono essere utilizzati per finanziare i trattamenti economici accessori connessi alla performance e alle condizioni di lavoro, nonché istituti di welfare integrativo, attraverso specifica previsione contenuta nella contrattazione di secondo livello ; che sia una delle strade da percorrere per rendere l’amministrazione realmente più attrattiva, avviando un più efficace e necessario nuovo reclutamento?
Ad avviso di chi scrive questi costituiscono elementi su cui le parti sindacali, ma non solo anche gli altri attori aventi ruoli connessi e partecipativi, quali i CUG, o i comitati paritetici per l’innovazione, dovranno confrontarsi e riflettere per aprire importanti scenari.