Testo integrale con note e bibliografia
La nuova disciplina della crisi d'impresa, è entrata in vigore dal 15 luglio 2022, all'esito di una non semplice gestazione.
Prima di esaminare il merito della nuova normativa, giova osservare che a monte di tale intervento, sin dagli inizi del secolo l'esigenza di conformare la disciplina concorsuale al nuovo contesto economico nazionale, anche in rapporto al contesto comunitario, aveva fatto emergere la necessità di un nuovo quadro normativo idoneo a garantire non solo la mera tutela dei crediti in una visione esclusivamente liquidatoria, ma che fosse anche orientato alla salvaguardia dei complessi aziendali ancora funzionanti e opportunamente ricollocabili, anche con intervento di nuovo imprenditore, all'inyerno di un'economia di mercato.
Un primo passo in tal senso era contenuto con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, integrato successivamente dal D.Lgs 9 gennaio 2006, n. 5 emanato nel rispetto della delega che era stata conferita al Governo al fine di realizzare “una riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al Regio decreto 16 mrzo 1942, n. 267.”
Ulteriori successivi interventi erano contenuti nel D. Lgs 12 settembre 2007 n. 169, con il quale si è prevista la possibilità di pagamento parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo e nella legge 7 agosto 2012, che aveva aggiornato l'art. 47 della L. 29 dicembre 1990 n. 428 relativo alle possibilità di deroga dell'art. 2112 c.c in tema di trasferimento d'azienda.
La necessità di una razionalizzazione degli interventi portò all'istituzione della cd. Commissione Trevisanato, che con i suoi lavori aveva inteso proporre l'introduzione di misure anticipatorie della crisi, tali da consentire il risanamento e la conservazione dell'impresa, attraverso la nascita di strumenti di composizione concordata della crisi e, in caso di esito negativo, a vicende circolatorie consistenti in un mutamento soggettivo del complesso aziendale e o di singoli rami di esso.
Il progetto di ridefinizione dell'intera disciplina ha trovato quindi un ulteriore approdo nella legge delega 18 ottobre 2017, n. 155, con la quale venivano delineate soluzioni per favorire una rapida emersione della situazione di crisi per il mezzo di appropriati strumenti di allerta improntati a sviluppare valide prospettive di recupero dell'impresa.
Il principale apporto innovativo va ricondotto all'introduzione delle procedure di allerta e di connessa composizione della crisi in conformità alla Raccomandazione n. 2014/135/UE che aveva, come suoi obiettivi proprio quello di consentire alle imprese ancora in bonis ma in difficoltà finanziarie una ristrutturazione in una fase precoce, al fine di evitare l'insolvenza e proseguire la propria attività.
Venendo ai temi più prettamente giuslavoristici è importante osservare che il Legislatore, nonostante i molteplici interventi sopra richiamati, non aveva sentito la necessità di introdurre specifiche norme destinate a disciplinare l'effetto della dichiarazione di fallimento sui rapporti di lavoro pendenti.
Tale situazione ha comportato che il dare risposte ai numerosi dubbi degli operatori interessati ai profili giuslavoristici (studiosi, consulenti e Organizzazioni Sindacali in primis, oltre ovviamente ai Giudici fallimentari) è stato sostanzialmente affidato agli sforzi dottrinari e alla giurisprudenza di merito e di legittimità più volte intervenute sul punto, con particolare riferimento all’applicabilità dell’art. 72 L.F. ai rapporti di lavoro e agli obblighi procedurali dei curatori in punto licenziamenti, individuali e collettivi.
Al fine di evitare il protrarsi di tale situazione, il Parlamento, con l'entrata in vigore della legge 19 ottobre 2017, n. 155 prevedeva, con riferimento ai rapporti di lavoro la necessità “di armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell'insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Carta sociale europea, fatta a Strasburgo il 3 maggio 199, ratificato ai sensi della legge 9 febbraio 1999, n. 30, e nella direttiva 2008/94/CE del Parlamento Europeo e del Coniglio del 22 ottobre 2008, nonché nella direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001......”
Sempre in stretto ambito lavoristico assumeva forte rilievo il principio di delega di cui all'art. 7, comma 6, lettera a) in base al quale la disciplina dei rapporti giuridici pendenti si proponeva di limitare “ la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura”.
Da ultimo, un'ulteriore specifica indicazione era rinvenibile nel comma 7 dell'articolo 7, il quale precisava che “ la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità d insinuazione al passivo”.
L'elaborazione della legge delega e del conseguente relativo decreto legislativo veniva affidata alla Commissione Rordorf, che all'esito di una complessiva e articolata serie di confronti e di audizioni, procedeva alla stesura del decreto delegato da sottoporre all'attenzione del governo.
La situazione politica (con il cambio di governo del 2018) e le conseguenti differenti valutazioni, in particolare per quanto riguarda le all'epoca prospettate procedure d'allerta, hanno portato ad un congruo differimento dei tempi di promulgazione del testo normativo.
Si è così giunti all'emanazione del d.lgs 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato in G.U. il 14 febbraio 2019, con il quale il legislatore ha inteso favorire l'emersione anticipata della crisi dell'impresa nella corretta convinzione che soluzioni che assicurino per quanto possibile, la continuità aziendale, consentono (anche) una miglior conservazione dei rapporti di lavoro in essere.
La data di entrata in vigore del decreto era originariamente prevista per il 15 agosto 2020.
La grave crisi sanitaria derivante dall'irrompere della pandemia e la precisa volontà di accogliere nel Codice le previsioni della c.d. Direttiva insolvency UE 2019/1023 del 20 giugno 2019 hanno indotto il legislatore a procrastinare più volte il termine di entrata in vigore del Codice: il nuovo Codice della crisi, d’ora in poi “Cci” come modificato da ultimo dal d.lgs n. 83/2022, è finalmente integralmente entrato in vigore il 15 luglio 2022.
Così inquadrata, sia pure per sommi capi, la genesi dell'importante provvedimento, abbiamo già evidenziato come l'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza trova origine nella risalente esigenza (codice civile e “vecchia” legge fallimentare hanno più di settant'anni) di introdurre norme di coordinamento tra diritto fallimentare diritto del lavoro.
E' stato ampiamente evidenziato dalla dottrina che la situazione di crisi o di insolvenza del datore di lavoro fa emergere esigenze contrastanti: da un lato vi è il peculiare interesse dei creditori alla soddisfazione dei loro crediti; dall’altro assume rilevante importanza l’interesse dei lavoratori alla conservazione (o perdita) del posto di lavoro.
E' infatti evidente che nella situazione di crisi l'impresa ha necessità di ripristinare una maggior funzionalità ed efficienza, sia nell'ipotesi di prosecuzione in proprio dell'attività, sia nell'ipotesi di ricollocazione competitiva sul mercato.
Per altro profilo, la riorganizzazione aziendale comporta, pressoché nella totalità dei casi, riduzioni, a volte rilevanti, riduzioni del personale.
In tale prospettiva il Cci cerca di favorire le soluzioni volte ad assicurare la continuazione – eventualmente con l'intervento di altro imprenditore – dell'attività aziendale: la liquidazione giudiziale configura dunque l'extrema ratio, sempre tenendo presente l'interesse prioritario dei creditori.
In tale contesto il conflitto di interessi tra lavoratori e creditori, di cui la dottrina giuslavoristica e la dottrina giuscommercialistica dibattono da oltre cinquant'anni, interessati i primi alla continuità dei rapporti di lavoro e i secondi alla rapida liquidazione dell'attivo, trova nuove – e a volte interessanti – soluzioni.
2. Le nuove definizioni contenute nell’art. 2 del D.Lgs 17 giugno 2022
Al fine di favorire una miglior comprensione della nuova normativa e delle novità in punto giuslavoristico, appare necessaria una preliminare ricostruzione della nuova disciplina degli istituti che maggiormente impatteranno sui rapporti di lavoro.
Con questo intervento esamineremo i nuovi istituti e le più rilevanti novità che vengono introdotte sotto il profilo giuslavoristico, lasciando invece ad un successivo intervento l'analisi delle novità relative al trasferimento delle imprese in crisi.
Giova innanzitutto osservare che non avremo quindi più giudici “fallimentari” e sezioni fallimentari, ma sezioni e giudici dedicati alla crisi d'impresa e che occorrerà confrontarsi con i nuovi istituti e le nuove definizioni, indicate nell'art. 2 del D.Lgs 17 giugno 2022: crisi, insolvenza, sovraindebitamento, strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza.
La norma indica altresì la nascita di nuove figure professionali, quali il professionista indipendente e l'esperto, con le quali il mondo del lavoro e, in particolare, i lavoratori e le Organizzazioni sindacali dovranno confrontarsi nel futuro, nel pressocchè quotidiano lavoro improntato alla gestione delle tante crisi d'impresa che la situazione economica fa emergere su tutto il territorio nazionale.
3. La liquidazione giudiziale
A partire dal 15 luglio 2022 la prima rilevante novità – fors'anche solo di natura formale - è la scomparsa dal testo normativo del termine fallimento, con la sua connotazione dispregiativa ormai assunta nell'opinione comune.
Nell’ambito del D.Lgs 14/2019 e del Cci è stata così introdotta la liquidazione giudiziale, disciplinata dagli artt. 37 e ss e dagli art. 121 ss, nei quali si attribuisce forte rilievo al processo unitario ” per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale”, in aperta discontinuità con la disciplina previgente, atteso che, sino alla riforma, ogni procedura concorsuale aveva proprie regole procedimentali.
Nell’intento del legislatore la modalità di accesso alle procedure di regolazione della crisi risulta finalizzato a rendere più celere la procedura, anche attraverso l’entrata nell'ambito concorsuale tendenzialmente il più possibile anticipata.
Per quanto riguarda la fase processuale, nella fase relativa all'apertura della procedura viene confermato e rafforzato il potere del Tribunale con l'acquisizione da parte della cancelleria delle informazioni relative alla società risultanti all'Agenzia delle entrate e dall'Inps, oltre che al registro imprese, così da consentire un maggior controllo di corrispondenza tra quanto esposto dalla società in crisi di insolvenza e la effettiva situazione debitoria.
Legittimati a proporre la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, sono il debitore, i creditori ovvero il Pubblico Ministero, esattamente come era previsto nella normativa previgente.
Vi è però una significativa novità: pur non essendo previsto spazio per una iniziativa d'ufficio da parte del Tribunale, la legittimazione viene allargata agli organi e alle autorità amministrative e di vigilanza sulla società, in un apprezzabile ampliamento dei poteri degli organi di controllo, che sinora - nella prassi e nella ordinaria modalità di gestione della crisi d'impresa - omettevano di intervenire anche a fronte di situazioni debitorie catastrofiche.
Gli art. 54 e ss. del Cci disciplinano, nell'ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza fino alla liquidazione giudiziale, nell'ipotesi che il risanamento non abbia esito positivo, le “misure cautelari e protettive”: le prime risultano finalizzate a evitare che, durante il tempo necessario per l'apertura della procedura, il debitore possa compiere atti dispositivi pregiudizievoli o possa occultare o disperdere beni e attività; le seconde mirano invece a tutelare la consistenza patrimoniale del debitore da possibili aggressioni individuali da parte dei creditori, favorendo l'attuazione della par condicio creditorum.
La novità più importante della nuova regolamentazione e' l'avere previsto – si potrebbe dire finalmente - una disciplina relativa ai rapporti di lavoro all'interno della procedura concorsuale.
Il Cci dedica infatti una compiuta ed articolata norma (artt. 189-190) – per certi versi comunque problematica e foriera di dubbie e non univoche interpretazioni - per disciplinare gli effetti della procedura di liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato pendenti all'atto dell'apertura della procedura.
Va quindi preliminarmente evidenziato che risulta concretamente degno di positiva considerazione il riconoscimento della specificità dei rapporti di lavoro subordinati, rispetto all’indifferenziata categoria dei “rapporti giuridici pendenti”, di cui all’art. 172 del nuovo Cci.
La previsione delle norme ad hoc fa finalmente definitivamente chiarezza sulla definitiva prevalenza della norma speciale giuslavoristica sul diritto delle procedure concorsuali.
Dispone infatti il primo comma dell’art. 189 che “l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento” e viene altresì previsto “che i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso”.
In buona sostanza viene recepita la soluzione già accolta dalla giurisprudenza per la composizione della dibattuta querelle circa l'applicabilità (o meno) della ormai superata previsione di cui all'art. 72 L.F., che aveva generato fra la dottrina giuslavoristica - in particolare prolabour e giuscommercialistica - un animato dibattito protrattosi per lungo tempo.
Il meccanismo sospensivo risulta confermato attraverso l'esplicito riconoscimento in capo al Curatore del potere di scelta: il Curatore potrà subentrare nei rapporti di lavoro presenti all'apertura (con effetto ex nunc) oppure intimare il recesso (con effetto ex tunc),
Nel passato, fino alla riforma del 2015, la soluzione favorevole alla sospensione trovava forte sostegno nel vigore dell'art. 3, comma 3 .L. 223/91, che sostanzialmente consentiva al curatore la sospensione dei rapporti di lavoro con conseguente intervento, sostanzialmente obbligatorio, nelle imprese con requisito numerico e inquadramento previdenziale che lo consentissero, della cassa integrazione guadagni straordinaria.
La concessione del trattamento di integrazione salariale consentiva infatti di alleggerire il costo del lavoro a carico del datore di lavoro/curatore derivante dalla conservazione dei rapporti di lavoro funzionali a conservare il valore dell'azienda, per il tempo necessario per l'affitto/cessione a terzi.
Il venir meno, con la riforma del 2012 (c.d. Legge Fornero) entrata pienamente in vigore a far data dal 1 gennaio 2016, sia pur mitigato da successivi interventi normativi, della possibilità di ricorso alla cigs per le imprese fallite, ha comportato che la fase di sospensione ai sensi del “vecchio” art. 72 lasciasse i lavoratori privi di qualunque forma di reddito e copertura contributiva.
Giova sul punto precisare che, nel corso dei lavori della Commissione Rordorf era viceversa stata ipotizzata l'introduzione di un nuovo istituto, denominato NASp.I, quale Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'impiego nella Liquidazione Giudiziale, che equiparava la sospensione allo stato di disoccupazione con applicazione – “dei servizi e delle misure di politiche attive previste dalla disciplina vigente...”
In buona sostanza, secondo quella previsione, il lavoratore sospeso avrebbe goduto nell'immediato di una forma di sostegno al reddito, lasciando al Curatore maggior tempo (e tranquillità) per una valutazione circa le sorti dell'azienda.
La prospettata soluzione, che non avrebbe alterato il costo complessivo dell'ammortizzatore sociale, atteso che quanto sarebbe stato erogato a titolo di Naspi LG, sarebbe stato decurtato in misura corrispondente da quanto complessivamente erogabile a favore del lavoratore a titolo di Naspi “ordinaria”, non è stata poi accolta dal legislatore.
Secondo il legislatore l’istituzione della Naspi “anticipata” avrebbe costituito violazione del principio contenuto nella legge delega, poiché questa stabiliva che l'intera riforma fosse a “costo zero”: gli effetti di tale scelta legislativa (davvero miope) si ripercuoteranno assai negativamente sulle concrete modalità di gestione del rapporto in capo al Curatore.
Il c. 2 dell’art. 189 introduce rilevanti novità novità circa forma e modalità di licenziamento: se le disposizioni – pur criticabili – circa la sospensione del rapporto risultano chiare e definitive, altrettanto non può dirsi per le disposizioni in tema di recesso.
In prima battuta la norma prevede positivamente che gli effetti del licenziamento si dispieghino dalla data di apertura della liquidazione giudiziale e non dal momento in cui la comunicazione viene ricevuta dai lavoratori,
Successivamente, sotto il profilo formale, viene altresì previsto che il Curatore debba trasmettere, entro trenta giorni dalla nomina, prorogabili di ulteriori trenta nel caso in cui l’impresa abbia più di 50 dipendenti, all’Ispettorato Territoriale del lavoro del luogo dove è stata aperta la liquidazione Giudiziale, l’elenco dei dipendenti in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale stessa.
La norma pare di dubbia utilità, costituendo un mero adempimento formale non sorretto da specifiche esigenze e finalità e senza che se ne comprenda la ragione, trattandosi di un mero elenco nominativo: come è noto, infatti, già oggi, il datore di lavoro che comunica il recesso ha il dovere di comunicazione ad altri Enti preposti.
Venendo quindo al recesso, Il comma 3 dell'art 189 prevede nel primo periodo che “qualora non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell'azienda o di un suo ramo o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l'assetto dell'organizzazione dl lavoro, il curatore prosegue senza indugio al recesso dai rapporti di lavoro subordinato”, comunicando la risoluzione per iscritto, con indicazione del motivo da specificare all'atto dell'intimazione del licenziamento, che pare quindi non possa essere individuato nella mera dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.
Qui si introduce la più importante novità (almeno secondo la volontà del riformatore) della nuova disciplina: viene infatti previsto che “decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale”.
La norma ha già aperto un inteso dibattito tra i primi commentatori circa gli effetti ampiamente derogatori della nuova disciplina rispetto a quella del licenziamento individuale.
Ciò che mi preme sottolineare è che al di la del pur interessante confronto dottrinario, la norma di cui si dibatte troverà, almeno nelle mie previsioni, una scarsa attuazione.
Certamente la disposizione concede al Curatore i mezzi per consentirgli una definizione pacifica formale dei rapporti di lavoro (osservo peraltro che lo spatium deliberandi assegnato al Curatore risulta francamente eccessivo.
Nella realtà, la sospensione del lavoro e della retribuzione farà sì che il Curatore venga sottoposto a forti pressioni da parte dei lavoratori e dalle Organizzazioni sindacali, volte a spingerlo ad arrivare in pochi giorni alla determinazione di riprendere l’esercizio dell’impresa o, in caso negativo, di procedere “senza indugio” alla comunicazione di recesso, presupposto necessario per l'accesso all’intervento degli ammortizzatori sociali.
La mia previsione trova ulteriore fondamento nella previsione di cui all'art. 189, comma 5.
Il testo originario, contenuto nella prima proposta della Commissione Rordorf, prevedeva che solo “ trascorsi quattro mesi dall'apertura della liquidazione giudiziale, le eventuali dimissioni del lavoratore si intendono rassegnate per giusta causa”, risultava assai penalizzante nei confronti del lavoratore, che avrebbe dovuto attendere ( senza retribuzione e contribuzione) le decisioni del Curatore.
Viceversa il nuovo testo dell'art. 189, 5 comma così dispone: …...”le eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione tra la data della sentenza dichiarativa fino alla data della comunicazione, di cui al comma 1, si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 del codice civile con effetto dalla data di apertura della liquidazione”.
Il combinato disposto delle due norme – il regime sospensivo e la possibilità di dimissioni farà si che quanto meno per le regioni maggiormente industrializzate e le professionalità più elevate (dove il reperimento di nuova occupazione risulta certamente più facile) comporterà, che vi sarà minor possibilità di cessione dell'azienda per effetto delle dimissioni rassegnate dal personale più specializzato, con conseguente minor tutela dei posti di lavoro: esattamente il contrario di quel che il Legislatore auspica.
Da ultimo la nuova disciplina prevista dall'art. 189, comma 6 introduce una procedura ad hoc, rispetto alle ordinarie regole lavoristiche, nel caso in cui il Curatore debba avviare un licenziamento collettivo, attualmente disciplinato dagli artt. 4 e 24 della L. 223/91.
La nuova disciplina, che risulta improntata ad una significativo contenimento dei tempi di procedura, suscita peraltro le medesime perplessità già espresse dalla dottrina circa l'utilità della consultazione ex L. 223/91 nel contesto concorsuale, in particolare laddove il licenziamento riguardi l'intera forza lavoro.
In ogni caso la nuova disciplina prevede al comma 6 dell'art. 189 che se entro sette giorni dalla comunicazione del curatore non perviene alcuna istanza di esame congiunto ovvero alcuna convocazione da parte dell'Ispettorato, entro i quaranta giorni successivi alla stessa comunicazione, la procedura si intende esaurita.
Anche in questo caso è stata prevista la partecipazione dell'Ispettorato del lavoro, sulla cui utilità possono valere le considerazioni già espresse per l'art. 189, 2 c., in tema di trasmissione dell'elenco dei lavoratori.
La consultazione risulta altresì esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non venga raggiunto l'accordo sindacale.
Nessuna novità è stata introdotta relativamente al regime sanzionatorio per i licenziamenti collettivi illegittimi, che continuerà a seguire le normali regole prescritte dall'art. 18 L. 300/70.
Esercizio provvisorio dell'azienda
L'art. 211 del Cci disciplina espressamente “l'esercizio dell'impresa del debitore” che si configura come strumento di salvaguardia provvisoria dell'organismo produttivo dell'impresa in crisi che, va precisato, può essere anche limitato solo a specifici rami dell'azienda.
L'esercizio provvisorio può essere disposto in due differenti momenti e con diverse modalità.
Ai sensi del 2 comma dell'art. 211 , l'esercizio provvisorio può essere disposto dal tribunale, “purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori”.
L'ipotesi più comune sarà quella prevista al comma 3, cioè quando è il Curatore a richiedere, in un momento qualsiasi successivo all'apertura della procedura, la continuazione temporanea dell'esercizio d'impresa..
Il Curatore nell'intraprendere la prosecuzione dell'attività imprenditoriale dovrà quindi procedere a comunicare ai lavoratori che si trovano alle dipendenze della fallita il proseguimento dei loro rapporti di lavoro senza soluzione di continuità: dalla prosecuzione dei rapporti deriva inoltre la sussistenza di obbligazioni retributive per la procedura che andranno assolte in prededuzione, ovviamente con riferimento alla parte sorta dopo l'inizio della procedura di liquidazione giudiziale.
Il concordato preventivo e i rapporti di lavoro
Nell'affrontare il legame fra concordato preventivo e rapporti di lavoro, la nuova disciplina affronta principalmente il tema del trasferimento d'azienda, così come regolato dall'art. 368 del D.Lgs, in unione alle disposizioni di cui all'art. 47 L. 428/90: il tema verrà trattato nel prossimo numero della Rivista.
Per quanto riguarda i rapporti di lavoro va evidenziato l'assenza di alcuna novità: viene infatti ribadita, ai sensi dell'art. 97, c. 13, l'inapplicabilità della disciplina contrattuale relativa allo scioglimento dei contratti.
In buona sostanza, ai rapporti di lavoro continuerà ad applicarsi l'ordinaria disciplina lavoristica.
La riforma compie invece un passo significativo, volto a sciogliere le problematiche sorte circa la previsione contenuta nel comma 2 dell'art. 84, che aveva generato un forte dibattito tra gli studiosi e gli operatori, sia all'epoca dei lavori della Commissione Rordorf e successivamente alla pubblicazione del D.LGS 14/2019.
Disponeva infatti la norma: “la continuità può essere diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda, ovvero indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto” purché fosse previsto “dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione”.
Il nuovo testo dell'art 84 c. 2, raccogliendo le osservazioni critiche provenienti soprattutto da Confindustria e fatte proprie da buona parte della dottrina giuscommercialistica, elimina in radice ogni problema, disponendo in maniera pragmatica che “ la continuità aziendale tutela l'interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”.