Testo integrale con note e bibliografia

In un contesto normativo di produzione alluvionale e di tenore asistematico, anche per la grave emergenza pandemica in corso, l’autore propone alcune riflessioni in ordine alla sua incidenza sui rapporti di lavoro, diritti dei lavoratori e crisi delle imprese. Nella sintetica illustrazione delle misure di contrasto, tra sostegno al reddito e agevolazione contributiva, da una parte e tutela dell’occupazione con il blocco dei licenziamenti, dall’altra, ne emergono i riflessi sulle procedure concorsuali, pur esse interessate da interventi emergenziali, nella prospettiva di una riforma, per la prima volta organica e di espressa regolazione dei rapporti di lavoro, affidata ad un codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che già prevedeva un periodo di vacatio di diciotto mesi, nuovamente differito nell’entrata in vigore.
Sommario: 1. Crisi pandemica per Covid-19 e rinvio dell’entrata in vigore del CCII – 2. La legislazione emergenziale e l’incidenza sulle imprese e sui rapporti di lavoro – 3. I riflessi nella prospettiva concorsuale: il trattamento di integrazione salariale – 4. I riflessi sul divieto di licenziamento nel fallimento e nella liquidazione giudiziale – 4.1. Segue: nel concordato preventivo - 5. Legislazione emergenziale e incidenza sulle procedure concorsuali
1. La condizione di universale emergenza pandemica che, in una sorta di eterogenesi dei fini della globalizzazione, ha investito quest’anno l’intero pianeta e, con esso, anche il nostro Paese, primo colpito in Occidente, impone una riflessione in ordine alla sua incidenza (verosimilmente per un periodo di tempo non breve), sotto i profili economico e sociale, sul mondo delle imprese, qui d’interesse nel cono prospettico dei diritti dei lavoratori nelle imprese in crisi o insolventi.
La prima e più immediata osservazione che si impone riguarda il differimento di entrata in vigore del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (CCII) al 1° settembre 2021 (art. 5 D.L. 23/2020 conv. con mod. in l. 40/2020), dopo una vacatio legis di diciotto mesi e un’ulteriore proroga per il sistema di allerta al 15 febbraio 2021 (art. 11 D.L. 19/2020), anch’esso rinviato alla medesima data.
Come noto, il rinvio è stato criticato da chi, sottolineandone il valore di progresso e di significativa modernizzazione della disciplina concorsuale, nella prospettiva di una maggiore propensione per soluzioni conservative dell’impresa ad evitare la dispersione dei suoi valori, auspicava l’entrata in vigore del nuovo Codice proprio nel momento di massimo sforzo ad impedire la distruzione, da parte della crisi pandemica, di un gran numero di imprese altrimenti ancora sane . E anche da chi ha colto, in questo laconico rinvio, l’assenza di alcuna indicazione per riassumerne le linee guida, superandone i limiti di parzialità e riprendendo i nodi irrisolti gradualmente accantonati, senza neppure un raccordo con le disposizioni dell’articolo unico della legge n. 20 del 2019, di riapertura della delega della legge n. 155 del 2017 a disposizioni integrative e correttive “entro due anni dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi adottati” . Ma c’è stato anche chi ha letto il rinvio dettato dall’emergenza quale preambolo di un definitivo accantonamento del Codice della crisi .
E questa sarebbe una cattiva notizia, quanto meno per la disciplina dei rapporti di lavoro, posto che la loro collocazione all'interno dell'ambito concorsuale era parsa al riguardo la principale novità del Codice della Crisi .
Sicché, mi pare di poter condividere l’opinione dell’opportunità di una scelta, siccome saggia e senza pregiudiziali ideologiche, di un rinvio per non penalizzare le imprese, già in difficoltà per l’emergenza da Covid, con regole più restrittive delle attuali nella gestione delle crisi e soprattutto nuove per tutti gli operatori : purché nella prospettiva di una sua prossima introduzione, con qualche auspicabile modificazione, anche in ragione dei cambiamenti indotti dalla stagione pandemica.

2. In materia di impresa e lavoro, la legislazione emergenziale ha principalmente agito su due leve, entrambe orientate dalla finalità di arginare una situazione inedita di crisi economica e sociale, indotta da una matrice sanitaria di origine pandemica. E così, da una parte, è stato alleggerito il carico retributivo e contributivo delle imprese, con la previsione di ammortizzatori sociali speciali e misure di sostegno al reddito dei dipendenti di tutti i datori di lavoro coinvolti dalla sospensione o riduzione dell’orario di lavoro derivante da eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica , secondo procedure semplificate (almeno nella previsione) e con esonero delle imprese dalla contribuzione addizionale ordinaria e finanziamento a carico dello Stato entro limiti di spesa specificati ; dall’altra, si è tutelata l’occupazione con l’introduzione di un temporaneo divieto di licenziamenti economici (per giustificato motivo oggettivo e collettivi), intervenendo pesantemente sulla libertà di iniziativa imprenditoriale, nella prospettiva di una sostanziale coincidenza della tutela dell’occupazione con quella del posto di lavoro .
Ma tale divieto ha avuto una significativa evoluzione nella sua formulazione: dalla rigidità imperativa dell’art. 46 d.l. 18/2020, che ha impedito per sessanta giorni (con una proroga del blocco per cinque mesi, fino al 17 agosto 2020, per effetto dell’art. 80 d.l. 34/2020), in modo generalizzato, indifferenziato e inderogabile, qualsiasi licenziamento per ragioni economiche (“salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto” ), alla flessibilità dell’art. 14 d.l. 104/2020.
Ed infatti, sebbene disponga anch’essa un divieto di licenziamento , la disposizione ne prevede l’operatività in alternativa alle integrazioni salariali o all’esonero contributivo fruibili dai datori di lavoro, modificandone in maniera caratterizzante l’ambito applicativo. E così si ritiene che, ogni qual volta sussistano ragioni tali da configurare un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o collettivo per riduzione di personale, si debba negare la sussistenza della causa integrabile e la possibilità del datore di lavoro di fruire dei trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga (art. 1 d.l. 104/2020), facendo venir meno il divieto di licenziamento. Sicché, il datore di lavoro è legittimato a licenziare a seguito di una modifica organizzativa che comporti la definitiva soppressione di posti di lavoro; potendo invece accedere, qualora non decida in tale senso, alle integrazioni per gestire i lavoratori improduttivi, sospendendoli o riducendo il loro orario, in quanto la sua scelta sia quella di conservare intatta la dimensione organizzativa e la capacità produttiva della propria impresa confidando nella ripresa economica .

3. All’esito delle premesse poste, occorre allora cercare di capire quale sia l’incidenza delle misure di sostegno e del divieto di licenziamento, nell’evoluzione illustrata, sulle procedure fallimentari (o, de iure condendo secondo il CCII, di liquidazione giudiziale) e su quelle di regolazione dell’insolvenza attraverso la continuità di impresa.
Sotto il primo profilo, giova premettere l’evoluzione del regime della Cassa integrazione straordinaria per le procedure concorsuali, già prevista dall’art. 3 l. 223/1991, poi novellato dall’art.46bis, primo comma, lett. h) l. 134/2012 (di conversione del d.l. 83/2012, cd. “Decreto sviluppo”), che, condizionandone la concessione alla sussistenza di “prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”, ne ha rivitalizzato l’originaria finalità di effettiva prospettiva di ripresa dell’attività e non di mero sostegno reddituale . Nel solco di questa evoluzione, la CIGS concorsuale è stata abrogata con decorrenza dal 1° gennaio 2016 (art. 2, settantesimo comma l. 92/2012), non essendo pertanto più prevista da tale data nei casi di crisi aziendale in cui vi sia cessazione dell'attività produttiva dell'azienda o di un ramo di essa (art. 21, primo comma, lett. b) d.lg. 148/2015), ma soltanto nella verificata sussistenza di “concrete prospettive di cessione dell'attività con conseguente riassorbimento occupazionale” , a norma dell'art. 44 d.l. 109/2018, conv. con mod. in l. 130/2018 .

In riferimento alla posizione del curatore, nel regime di sospensione del rapporto di lavoro pendente, per effetto della dichiarazione di fallimento (art. 72 l. fall., ma in prospettiva: art. 189 CCII), la specialità della Cassa integrazione in deroga (introdotta dall’art. 22 d.l. n. 18/2020 ) ne consente, secondo l’indicazione della circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 8 aprile 2020, il riconoscimento “anche in favore di lavoratori che siano tuttora alle dipendenze di imprese fallite, benché sospesi” .
Si ritiene poi che le misure di sostegno economico per i lavoratori, che abbiano subito una riduzione o una sospensione dell’attività per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, interessino anche i fallimenti con dipendenti in forza per cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio (art. 104 l. fall.) , che prevede, come noto, la prosecuzione dei contratti pendenti, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o sciogliersene (art. 104, settimo comma l. fall.; analogamente, in specifico riferimento ai rapporti di lavoro, in prospettiva: art. 189, ultimo comma CCII).
In realtà, la previsione dell’art. 19 d.l. 18/2020 non è proprio nel senso dell’automatismo (come invece l’art. 20, per le imprese già in Cassa integrazione straordinaria, per le quali la concessione del trattamento ordinario sospende e sostituisce quello straordinario già in corso), posto che la dipendenza della riduzione o della sospensione dell’attività da eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica parrebbe istituire un nesso di causalità in qualche modo da accertare (sempre che le imprese in procedura concorsuale non godano esse pure già di trattamenti di Cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale ).
La modulazione di quest’ultima secondo i più recenti interventi normativi, sopra indicati, ne consente poi l’applicazione alle imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, ai sensi dell’art. 186bis l. fall. (e in prospettiva: art. 84 CCII), in quanto procedura concorsuale volta alla soddisfazione prioritaria del ceto creditorio attraverso i flussi di liquidità tratti dall’esercizio, diretto o indiretto , dell’attività di impresa.
Quanto alla Cassa integrazione in deroga, la sua caratteristica di mero strumento di sostegno dei lavoratori la rende accessibile anche nell’ipotesi di concordato preventivo con riserva, ai sensi dell’art. 161, sesto comma l. fall.: essendo stato ritenuto che la richiesta dell’impresa debitrice di autorizzazione ad essa “per emergenza Covid-19”, non determinando in sé un pregiudizio o un danno per il ceto creditorio ma trattandosi di una libera scelta imprenditoriale quale atto di ordinaria amministrazione e conservativo, non sia neppure soggetta ad autorizzazione del tribunale, ferma comunque la valutazione dei riflessi sulla proposta definitiva .
Analoga accessibilità al trattamento, non soltanto di Cassa integrazione in deroga, ma pure straordinaria parrebbe, a mio avviso, configurabile anche per le imprese che regolino la situazione di crisi con accordi di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182bis l. fall. (in prospettiva: art. 57 CCII), anche in considerazione della loro ormai acquisita qualificazione, nell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, alla stregua di procedure concorsuali , qualora il contenuto degli accordi lo consenta. E pertanto, nella variegata modulabilità dell’assetto negoziale concertabile con i creditori, in presenza di una continuazione dell’esercizio dell’attività di impresa, nelle varie forme adottabili per effetto di ristrutturazioni dell’organizzazione aziendale o di modificazioni dell’assetto societario, o mediante trasferimento di azienda o di suoi rami, ovvero di costituzione di newco .

4.1. Più delicato appare il riflesso concorsuale del divieto di licenziamento, che indubbiamente riguarda anche il curatore, posto che la dichiarazione di fallimento, come è noto, non produce ex se lo scioglimento del rapporto di lavoro pendente, ma l’effetto di un regime di sospensione, che fa venir meno l'obbligo di corresponsione della retribuzione in assenza di esecuzione della prestazione lavorativa. Tale assunto, consolidato nell’interpretazione sistematica della giurisprudenza di legittimità , trova ora un esplicito riscontro normativo nella più flessibile modulazione del divieto, per le ragioni illustrate (retro, al p.to 2), contenuto nella specifica disposizione per la procedura fallimentare dell’art. 14, terzo comma d.l. n. 104/2020 (e così pure l’art. 12, undicesimo comma d.l. n. 137/2020), secondo cui: “Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione” .
Proprio per l’esenzione dal divieto e quindi, detto in positivo, per la riconosciuta possibilità del curatore di intimare il licenziamento anche in questo tempo di emergenza, la norma pone la delicata questione della modalità di cessazione del rapporto di lavoro che sia pendente all’atto della dichiarazione di fallimento, che, come detto, ne comporta la sola sospensione fino a quando il curatore non decida la prosecuzione o lo scioglimento del rapporto.
Secondo il vigente art. 72 l. fall., lo scioglimento consegue all'esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell'ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l'obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro . E ciò in dipendenza della definitiva cessazione dell’attività d’impresa (posto che una sua diversa organizzazione non può comportare una prosecuzione dell’attività dal curatore medesimo oltre il limite di un esercizio provvisorio, sempre rispondente tuttavia ad una finalità conservativa in funzione di liquidazione, quale scopo della procedura fallimentare , in vista di un trasferimento dell’azienda a terzi), con la soppressione del posto di lavoro, nelle forme del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o del licenziamento collettivo.
Nella prospettiva del CCII, il discorso appare più problematicamente articolato, per una non chiarita selezione normativa di termini (in particolare: recesso e licenziamento), per la quale l’indubbia diversità dei due istituti nella loro rigorosa accezione tecnica (per l’appartenenza del primo all’area generale del diritto civile e del secondo a quella specialistica del diritto del lavoro), riverbera significativi riflessi sul piano della forma di comunicazione, delle ragioni giustificative, della decorrenza degli effetti.
Senza trascurare la serietà di una posizione più attenta al tenore letterale, sempre indice ermeneutico principale, delle espressioni normative (recesso del curatore: art. 189, primo, secondo e terzo comma; licenziamento collettivo: art. 189, sesto comma; recesso ai sensi della disciplina lavoristica vigente: art. 189, ultimo comma) e dell’evoluzione della formulazione legislativa, pure giustamente sottolineata come inequivocabile volontà modificativa, che l’ha accompagnata (con la scomparsa, nell’attuale declinazione del recesso ai primi tre comma dell’art. 189, della locuzione normativa “ai sensi della disciplina giuslavoristica vigente” ricorrente all’art. 194 dell’originaria formulazione dello schema di decreto legislativo del Codice), mi pare preferibile un’interpretazione che disorienti meno l’operatore. Ed essa corrisponde, almeno a mio avviso, ad una lettura sistematica non proprio peregrina dell’intervento riformatore, che, avendo per la prima volta detto quanto finora non detto , deve pure confrontarsi con le acquisizioni interpretative giurisprudenziali citate.
Al riguardo, è significativo l’esordio del primo comma dell'art. 189, che, escludendo subito che l'apertura della liquidazione giudiziale costituisca motivo di licenziamento , ha l’eloquenza di ricondurre, a contrario, la cessazione del rapporto di lavoro vigente all’interno di un’impresa, di cui sia stata così sanzionata l’insolvenza, ad un motivo di licenziamento diverso dall'apertura della liquidazione giudiziale, ma comunque tale.
In questa prospettiva, mi pare illuminante anche la prima parte del terzo comma dello stesso articolo, laddove prescrive al curatore di procedere senza indugio al recesso dai rapporti di lavoro, qualora non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo o comunque “sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro”. Ecco che allora il motivo di licenziamento cui deve procedere il curatore (e senza indugio, ancorché non immediatamente per effetto dell’apertura della procedura di liquidazione) deve essere sorretto dalle ragioni esplicitamente indicate dal legislatore: sostanzialmente quelle che individuano il giustificato motivo oggettivo, secondo il più recente ed ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, nelle effettive ragioni inerenti l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro (non necessariamente comportanti un andamento economico negativo, ma) funzionali ad una migliore efficienza economica o gestionale dell’impresa, comportanti un mutamento dell'assetto organizzativo che si traduca nella concreta soppressione di posizioni lavorative chiaramente individuate .
Questa “sostanza”, che riconduce ad una compatibilità sistematica anche la delicata gestione dei rapporti di lavoro nelle crisi d’impresa, mi pare francamente che meglio si accrediti nell’interpretazione di norme indubbiamente scritte male, come confermato dalla lettura, parimenti illuminante (ma di luce fioca, in ordine all’affidabilità tecnica del legislatore), nello stesso comma in due alinea appena successivi, dell’esercizio da parte del curatore del recesso (che è una sua facoltà, sorretta da discrezionalità tecnica) e della comunicazione per iscritto, da parte del medesimo, della risoluzione (che invece attinge a vicende, imputabili o meno al comportamento delle parti, comunque radicate nell’evoluzione del loro rapporto sinallagmatico).
Né credo che il riferimento più esplicito, in caso di esercizio dell'impresa da parte del curatore, alla sua facoltà di recesso “ai sensi della disciplina lavoristica vigente” (art. 189, ultimo comma) sia preclusivo dell’adozione delle medesime modalità anche per quella del recesso quale esito del regime provvisorio di sospensione del rapporto di lavoro: anche per l’esplicito rinvio dello stesso comma all’integrale disciplina (ad esso applicandosi “i commi da 2 a 6 e 8 del presente articolo”) del recesso “non a tali sensi”.
Senza con ciò voler enfatizzare, anche per coerenza, il termine recesso, diverso da quello di scioglimento adottato dal legislatore per la disciplina generale dei rapporti giuridici pendenti (art. 172, primo comma CCII), che immediatamente rinvia all'estinzione del rapporto di lavoro (artt. 2118, 2119 c.c.), da sempre saldamente coniugata con la disciplina lavoristica (artt. 1 e 3 l. 604/1966), mi sembra, tuttavia, che la patrocinata interpretazione sistematica abbia un innegabile pregio: quello di rendere omogeneo, combinandosi con la disciplina del licenziamento collettivo espressamente modulata per il curatore dal sesto comma dell’art. 189, il regime del licenziamento economico (idest: per giustificato motivo oggettivo e collettivo) nelle crisi d’impresa ordinarie e concorsuali.
Indubbiamente diversa e più eccentrica, perché effetto peculiare tipico della procedura, è l’ipotesi della risoluzione di diritto del rapporto di lavoro individuale (per l’espressa esclusione del sesto comma, che regola il licenziamento collettivo del curatore), a causa dell'inerzia del curatore, decorsi quattro mesi dalla data di apertura della procedura (terzo comma, ultima parte dell’art. 189), salve le proroghe previste dal quarto comma. Essa pone la questione molto seria e delicata dell’individuazione del rimedio avverso un tale effetto, se ordinario alla stregua di impugnazione di un licenziamento, ovvero (per essere la fattispecie tutta interna alla procedura, in quanto originata dalla sua apertura) di natura endofallimentare sub specie di reclamo avverso un atto omissivo del curatore, a norma dell'art. 133, primo comma CCII: da affrontare in altra occasione, non essendo, d’altro canto, la fattispecie interessata dal divieto di licenziamento della legislazione emergenziale.
Nel completare l’esame, nei limiti del presente contributo, del riflesso sulla crisi d’impresa dell’esenzione del divieto posta dall’art. 14, terzo comma d.l. 104/2020 (ed analogamente ripresa dall’art. 12, undicesimo comma d.l. n. 137/2020), mi pare interessante un’osservazione in merito alla previsione anche nelle ipotesi di cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c.
A mio avviso, essa conferma l’assunzione di rilevanza del dato di fatto economico in sé, indipendentemente dalla sua sanzione formale con l’apertura di una procedura concorsuale. Ed è consonante con un recente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui, in materia di responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società, ai sensi dell’art. 2495, secondo comma c.c., è stato ritenuto antidoveroso il mancato rispetto del principio di par condicio creditorum, in violazione delle cause legittime di prelazione ai sensi dell’art. 2741, secondo comma c.c. : in applicazione di un principio tradizionalmente riservato all’instaurazione di una procedura esecutiva, individuale o concorsuale, avviata dalla notificazione di un atto di pignoramento ovvero da una dichiarazione di fallimento o dall’apertura di altra procedura liquidatoria .

4.1. Nel concordato preventivo, il discorso è teoricamente più semplice: nel senso che esso è procedura concorsuale con essenziale finalità di conservazione del valore aziendale dell’impresa, sempre in vista della realizzazione del “miglior soddisfacimento dei creditori” (art. 186bis, secondo comma, lett., b l. fall.) ovvero del “soddisfacimento dei creditori” (art. 84, primo comma CCII), ma attraverso la continuazione dell’esercizio dell’attività (che, deve essere funzionale al ripristino dell’equilibrio economico finanziario “nell’interesse prioritario dei creditori”, oltre che dell’imprenditore e dei soci, in caso di continuità diretta e anche del soggetto diverso dall’imprenditore, in caso di continuità indiretta: art. 84, secondo comma CCII).
Sicché, è consentanea a tale finalità la previsione di regolare prosecuzione (salva la sospensione o lo scioglimento alle condizioni previste, a norma dell’art. 169bis l.fall. e, in prospettiva, art. 97 CCII) dei rapporti giuridici pendenti, che innervano la trama dell’attività d’impresa, nella disciplina giuridica del profilo di responsabilità comportato dal rischio economico d’impresa .
In questa cornice, che già rimanda in via tendenziale all’ordinaria prosecuzione dell’attività di impresa, i rapporti di lavoro subordinato sono per giunta sottratti all’applicazione della disciplina concorsuale, sia pure attenuata rispetto a quella della procedura liquidatoria, essendone espressamente esclusi (art. 169bis, ultimo comma l.fall. e, in prospettiva, art. 97, ultimo comma CCII). Ad essi si applicano pertanto le regole ordinarie di diritto del lavoro.
Ed allora, rispetto al divieto emergenziale di licenziamento economico, anche qui esso opera, come già indicato per l’ambito extraconcorsuale (retro, sub 2), in alternativa alle integrazioni salariali o all’esonero contributivo fruibili dai datori di lavoro: sicché, qualora sussistano ragioni tali da configurare un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o collettivo per riduzione di personale, si debba negare la sussistenza della causa integrabile e la possibilità del datore di lavoro di fruire dei trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga (art. 1 d.l. 104/2020), facendo venir meno il divieto di licenziamento. Così anche il datore di lavoro in concordato preventivo può legittimamente licenziare a seguito di una modifica organizzativa che comporti la definitiva soppressione di posti di lavoro; e invece accedere alle integrazioni per gestire i lavoratori improduttivi, sospendendoli o riducendo il loro orario, se decida di mantenere inalterate la dimensione organizzativa e la capacità produttiva della propria impresa.
Giova peraltro segnalare che, qualora fosse già in vigore il Codice della crisi, il quale definisce la continuità indiretta attraverso il paradigma costitutivo della previsione del “mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”, la superiore alternativa sarebbe preclusa dal limite interno di mantenimento di tale livello occupazionale “per un anno dall’omologazione” (art. 84, secondo comma CCII). La previsione ha un’evidente funzione definitoria della fattispecie concorsuale, senza interferire sul principio di continuità di rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda compiuto da procedure concorsuali non liquidatorie , diversamente risultando illegittimo .
Nessun vincolo stringente, ma appunto soltanto una presunzione di prevalenza del ricavato prodotto dalla continuità aziendale, diretta o indiretta, con il quale siano soddisfatti i creditori, deriva dalla circostanza che i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivino da un’attività d’impresa alla quale siano addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso (art. 84, terzo comma): con un evidente criterio di qualificazione del concordato in cui sia prevista, accanto alla continuità aziendale, la liquidazione di alcuni beni, di natura quantitativa .
Per le stesse ragioni più sopra esposte (retro, al p.to 3), mi pare che anche per le imprese che regolino la situazione di crisi con accordi di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182bis l. fall. (in prospettiva: art. 57 CCII) operi il divieto emergenziale di licenziamento economico, nei termini esposti (retro, al p.to 2) per l’ambito extraconcorsuale, in alternativa alle integrazioni salariali o all’esonero contributivo fruibili dai datori di lavoro.

5. In via conclusiva, mi pare opportuno svolgere alcune considerazioni sull’incidenza della legislazione emergenziale nelle procedure concorsuali, che, per la loro natura di procedimenti civili, sono state, innanzi tutto, interessate dalla generalizzata sospensione dei termini (per il compimento degli atti) processuali in materia civile, dal differimento delle udienze e, più in generale, delle attività . E così, in particolare, in materia di: approvazione del rendiconto finale del curatore, dichiarabile di urgente trattazione, ai sensi dell’art. 83, terzo comma. lett. a) d.l. 18/2020, per il grave pregiudizio ai creditori e al fallito comportato dal suo ritardo, di impedimento alla ripartizione dell’attivo e alla chiusura del fallimento ; concordato preventivo, con alcune attività ritenute soggette al regime di sospensione, come il termine per il deposito delle proposte concorrenti stabilito dall’art. 163, quarto comma l. fall., il cui rispetto deve essere assicurato mediante differimento dell’adunanza dei creditori ed altre, invece escluse, o perché prive di natura processuale, come i termini per l’adempimento degli obblighi informativi periodici fissati dal tribunale, a seguito del deposito della domanda di concordato preventivo cd. in bianco o con riserva , ovvero perché di urgente trattazione, ai sensi dell’art. 83, terzo comma. lett. a) d.l. cit., potendo comportare, come il differimento dell’adunanza dei creditori, un grave pregiudizio al debitore che propone il concordato preventivo, così come ai creditori ad esso direttamente interessati, quante volte esso incida sul programma operativo, come delineato nel piano, finalizzato al ripianamento delle passività .
Alcune disposizioni hanno invece specificamente riguardato soltanto le procedure concorsuali. Sicuramente di maggiore impatto è quella di improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza, a norma degli artt. 15 e 195 l.fall. e 3 d.lg. 270/1999, depositati tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, da intendere auspicabilmente, pur con qualche forzatura della locuzione, alla stregua di improcedibilità temporanea al fine di garantire l’istruzione del procedimento e di evitare una riproposizione con inutili costi . La dichiarata ratio della previsione risiede nell’esigenza di evitare di sottoporre il ceto imprenditoriale alla pressione crescente delle istanze di fallimento di terzi, in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari, ma anche di bloccare un possibile crescente flusso di istanze in una situazione in cui gli uffici giudiziari si trovano in fortissime difficoltà di funzionamento .
Il d.l. 23/2020 prevedeva la sola eccezione dell’istanza presentata dal pubblico ministero, a condizione di contenere la richiesta di emanazione di provvedimenti cautelari, ai sensi dell’art. 15, ottavo comma l. fall. In sede di conversione, è stata ampliata l’area delle eccezioni all’improcedibilità temporanea , con introduzione anche dell’istanza di fallimento dell’imprenditore in proprio, già anticipata in via interpretativa , “quando l’insolvenza non è conseguenza dell’epidemia di COVID-19”: locuzione che opera una distinzione nella matrice eziologica dell’insolvenza di non agevole individuazione. Certamente essa alimenta ulteriori dubbi sull’interrogazione già avviata in ordine alla vigenza, per i ricorsi successivi al 30 giugno 2020 nell’ambito di un contesto economico recessivo come quello indotto dalla pandemia, dei consolidati orientamenti interpretativi dell’art. 5 l. fall. (su cui la legislazione emergenziale non è intervenuta), sotto il profilo della regolarità dell’adempimento delle obbligazioni, della non transitorietà dello stato di insolvenza, dell’irrilevanza della sua reversibilità e della sua imputabilità al debitore .
L’art. 9 d.l. 23/2020 ha invece introdotto una serie di proroghe di termini per il debitore: per l’adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 (di sei mesi: primo comma) ; per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione (nei procedimenti per la loro omologazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020 sino all'udienza fissata per l'omologa: secondo comma) , ovvero per la sola modifica dei termini di adempimento (non superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie: terzo comma); per una ulteriore proroga (sino a novanta giorni), dietro presentazione di istanza per la concessione, prima della scadenza del termine di cui all'articolo 161, comma sesto l. fall. già prorogato dal tribunale (quarto comma) .
La legge di conversione n. 40/2020 ha apportato alcune modificazioni significative. In particolare, con la sostituzione, nel secondo comma, alla locuzione “nei procedimenti per l’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione” quella di “nei procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione”, ha chiarito che la richiesta di un termine per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta può essere proposta per tutto l’arco del procedimento di concordato preventivo, aprendo nuovi scenari applicativi nell’ipotesi di deposito dell’istanza anche prima dell’ammissione .
Con l’inserimento di un nuovo comma 5bis, essa ha introdotto per il debitore, che abbia ottenuto la concessione dei termini di cui all’articolo 161, sesto comma o all’articolo 182bis, settimo comma l. fall. entro il 31 dicembre 2021, depositando un atto di rinuncia alla procedura e dichiarando di avere già predisposto un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67, terzo comma l. fall. entro gli stessi termini, una nuova possibilità di exit dal pre-concordato (o dal pre-accordo di ristrutturazione) attraverso un piano attestato di risanamento, che, secondo un’interpretazione “forte”, potrebbe assicurare una continuità tra il procedimento protetto e il piano attestato, con la propagazione degli effetti del pre-concordato (o dal pre-accordo), nei limiti di compatibilità, al piano attestato di risanamento, così rendendolo un piano attestato di risanamento protetto .

Ma il cantiere legislativo non cessa di rimanere aperto, in una continua rincorsa di provvedimenti alla ricerca di regolare processi economici, ora purtroppo di matrice anche epidemiologica, sempre meno governati dalla politica: così rendendo ancora più precario l’equilibrio tra la salvaguardia dell’occupazione, e con essa della vitalità delle imprese, la dignità del lavoro e la tutela dei diritti. Per non dire dell’estrema incertezza dell’attività di interpreti ed operatori, lungo un sentiero accidentato ed impervio come quello della crisi d’impresa ...

 

 

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