testo integrale con note e bibliografia
Il dialogo tra i giuristi che si cimentano nello studio di differenti discipline sa essere sempre significativamente istruttivo. Di certo la presa di contatto con categorie, istituti e problemi giuridici indagati in altri settori scientifici contribuisce, se non all’avanzamento immediato della conoscenza nell’ambito del proprio campo di studi, a rafforzare il bisogno di comprendere il significato e gli scopi di tutela – relativizzandoli e contestualizzandoli – della disciplina positiva adottata dall’ordinamento in ciascuna specifica materia.
Tra tutti i profili tematici del diritto del lavoro, forse nessuno di essi si presta quanto il trasferimento d’azienda al confronto con l’elaborazione scientifica condotta dai cultori di altre discipline, mettendoci anzitutto di fronte ad un quesito: esiste o è configurabile una nozione unitaria di trasferimento d’azienda, al di là dei differenti fini e rationes che animano la legislazione lavoristica, commercialistica, amministrativistica, tributaria?
È un quesito, questo, alimentato dall’emersione di qualche pronuncia giurisprudenziale, criticata in dottrina e su cui si sofferma il contributo di Alessandro Benussi, che ha finito per rendere applicabile la disciplina commercialistica della circolazione dei debiti inerenti all’azienda anche al caso di retrocessione di azienda affittata, in certo senso recuperando e valorizzando una nozione lata di trasferimento piuttosto familiare ai giuslavoristi.
Tuttavia, lo spaccato che emerge dal raffronto tra i contributi raccolti in questo focus, in punto di ricostruzione della nozione di trasferimento d’azienda, appare piuttosto eloquente nel segnalarci l’impossibilità di pervenire ad una reductio ad unum.
Le differenti finalità perseguite dalla legislazione nei diversi contesti normativi di settore in realtà mostrano, in vario modo, la loro attitudine a rifluire sulla stessa determinazione dei confini e della portata della fattispecie di riferimento.
Non si tratta solo di ribadire, o di rivendicare, la separatezza e la specialità delle singole fonti di disciplina, sublimate nella peculiare nozione tutta lavoristica racchiusa nell’art. 2112, comma 5, c.c.; il fatto è che la stessa costruzione concettuale della fattispecie appare influenzata dai fini perseguiti dal legislatore, siccome funzionali ora all’estensione ora alla restrizione, a seconda dei casi, del suo campo di applicazione.
Come emerge limpidamente dal saggio di Paolo Piantavigna, nemmeno all’interno di una stessa branca dell’ordinamento – in quel caso, il diritto tributario – si rinviene una nozione stabile e generale di trasferimento d’azienda, semmai assumendo quest’ultima tratti cangianti in ragione del tipo di pretesa impositiva che l’ordinamento intende regolare. A tale esito concorre certamente in buona misura la modesta pregnanza definitoria ascrivibile al disposto dell’art. 2555 c.c.; ma, forse più ancora, vi contribuisce la peculiare logica, tutta interna alla disciplina tributaria, del contrasto all’elusione fiscale, che porta a sottrarre alla nozione di trasferimento d’azienda negozi che, se si valorizzasse il solo compendio degli elementi patrimoniali trasferiti, sarebbero altrimenti ad essa riconducibili.
D’altronde, i giuslavoristi ben sanno, sin dalla convulsa stagione delle due ravvicinate riscritture – intervenute tra il 2001 ed il 2003 – del testo dell’art. 2112, comma 5, c.c., che la querelle relativa al requisito della preesistenza del ramo aziendale ceduto (invero foriera di equivoci e fraintendimenti, oltre che largamente sopravvalutata nella sua effettiva importanza, giacché il cuore della fattispecie risiede semmai nel requisito dell’autonomia funzionale del ramo) ha costituito nulla più che il (preteso) medium tecnico per restringere o dilatare, a seconda dell’opzione di politica del diritto prescelta, la portata della fattispecie ed i suoi effetti di sostituzione soggettiva ex lege del cessionario al cedente nei contratti di lavoro.
La torsione di senso subita dall’art. 2112 c.c. (che, nella prassi forense, da norma invocata dal lavoratore a fini di garanzia di continuità occupazionale si è poi tramutata spesso nel suo esatto opposto, ossia in una norma alla cui applicazione il ricorrente mira invece a sottrarsi) ci ha fatto comprendere come i problemi giuridici inerenti alla determinazione dei confini della fattispecie siano molto più consistenti di quelli posti dalla disciplina sostanziale che vi consegue, al punto che le controversie del lavoro in materia di trasferimento d’azienda sono tutte, o quasi, controversie sulla sussumibilità del caso concreto nella fattispecie legale generale ed astratta.
Sennonché la maggiore o minore latitudine di quest’ultima, nella sua definizione da parte del legislatore, non può non risentire degli scopi di regolazione perseguiti, ben diversi tra loro a seconda dei casi (la circolazione di debiti e crediti nel diritto commerciale, la prosecuzione dei rapporti nel diritto del lavoro, le finalità antielusive poste da specifici e distinti spezzoni di disciplina quali quelli inerenti, nel diritto del lavoro, ai licenziamenti collettivi ovvero, nel diritto tributario, da specifiche imposizioni fiscali).
In fin dei conti, anche rimanendo all’interno del solo perimetro del diritto del lavoro, la necessità di bilanciare contrastanti interessi (quali ad es. i fini di salvaguardia del compendio aziendale, o anche solo degli asset suscettibili di essere valorizzati e non dispersi in vista di una migliore realizzazione dell’attivo nelle procedure concorsuali, da un lato, a fronte dell’interesse dei lavoratori ad avvalersi degli effetti dell’art. 2112 c.c. nel caso di imprese in crisi, dall’altro) evidenzia paradigmaticamente la varietà e mutevolezza di finalità della legislazione e la sua capacità di adattare il contenuto delle relative regole, come mette in evidenza il saggio di Lucio Imberti.
La relatività delle (al plurale) fattispecie di trasferimento d’azienda nelle diverse branche dell’ordinamento, generata dalla varietà della ratio di ciascuna – in una con le deroghe che la fattispecie lavoristica tollera ex art. 47, commi 4-bis e 5, l. n. 428/1990, alla luce di speciali e confliggenti istanze di tutela, governabili con il ricorso alla preziosa risorsa regolativa della contrattazione collettiva –, non può comunque oscurare, sul piano del metodo, il carattere indispensabile dello schema tipico descritto dalla norma (id est, della fattispecie) per l’individuazione della disciplina applicabile, per la produzione dei relativi effetti e, in definitiva, per l’allocazione delle tutele.
Anche la discussione intorno all’adozione di una cd. prospettiva rimediale nel diritto del lavoro – cui non per nulla l’Aidlass ha dedicato le proprie giornate di studio nel 2022 – impone pur sempre di salvaguardare la controllabilità razionale dell’iter argomentativo delle decisioni a mezzo delle quali si seleziona il trattamento normativo applicabile: ciò che richiede pur sempre, appunto, l’ancoraggio alla fattispecie, ancorché ne possa risultare faticosa sul piano interpretativo la delimitazione.
Questo, in fondo, sembrano dirci emblematicamente le vicende della nozione di trasferimento d’azienda, anche nella cornice delle discipline legali extralavoristiche. Se non vogliamo ritenerla una lezione, è quanto meno un’indicazione preziosa.