TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. I rapporti di lavoro e le procedure concorsuali.
Il diritto concorsuale entra in contatto con il diritto del lavoro allorquando si pone il problema di individuare quali effetti giuridici derivino ai rapporti di lavoro subordinato pendenti al momento dell'apertura di una delle procedure concorsuali.
Per quasi ottant'anni di vita della legge fallimentare il nostro legislatore non ha avvertito la necessità di dettare una disciplina specifica concernente i rapporti di lavoro pendenti al momento dell'apertura di una procedura concorsuale, né di delineare una disciplina di coordinamento tra quella fallimentare e quella lavoristica, lasciando all'interprete il delicato compito di risolvere di volta in volta i problemi pratici derivanti dall'assenza di tali norme.
Le ragioni all'origine di tale assetto normativo si rinvengono, in primo luogo, nel contesto in cui vide la luce la legge fallimentare, caratterizzato da un pesante sospetto verso la figura del fallito e dalla convinzione che l'impresa in crisi rappresentasse un «male» in grado di propagarsi alle altre imprese con conseguenti effetti negativi sul buon funzionamento del mercato. Per questo motivo la legge fallimentare era tesa, nel suo impianto originario, a favorire l’espulsione dal mercato dell’impresa decotta, nonché a soddisfare almeno parzialmente i creditori vittime dell’insolvente.
Gli interessi tutelati dalla legge fallimentare (salvaguardia del buon funzionamento del mercato attraverso l’eliminazione delle imprese inefficienti e tutela dei creditori) apparivano divergenti e inconciliabili rispetto a quelli tutelati dal diritto del lavoro, attento alla salvaguardia dei prestatori di lavoro e dei livelli occupazionali.
Ulteriore fattore alla base della tendenziale incomunicabilità tra le discipline è rappresentato da una diversità strutturale e funzionale delle stesse.
Infatti, se il diritto del lavoro ha natura prevalentemente sostanziale, quello fallimentare, al contrario, si compone di norme aventi natura in gran parte processuale, essendo dirette ad assicurare la tutela collettiva di diritti di credito che già esistono al momento dell'apertura della procedura. Dunque, il lavoratore assume rilievo per il diritto fallimentare delle origini nella sua qualità di creditore privilegiato cui assicurare tutela sul piano processuale; viene, invece, accordato uno spazio del tutto esiguo alla tutela di ulteriori interessi di cui il lavoratore risulta portatore e di cui si occupa normalmente il diritto del lavoro.
La carenza di raccordo a livello normativo tra la disciplina lavoristica e quella delle procedure concorsuali ha dato luogo, sul piano dell'individuazione della disciplina applicabile alle vicende concrete, a innumerevoli problemi applicativi.
A questa carenza ha in qualche modo ovviato il Codice della crisi e dell’insolvenza. Quanto mai utile e opportuno, dunque, il lavoro collettaneo che oggi presentiamo curato da Ilario Alvino, Lucio Imberti e Roberto Romei.
Come osservano i curatori nell’Introduzione al volume uno dei suoi obiettivi è quello di «stimolare un dibattito e un confronto – non solo di natura dottrinale, ma anche e soprattutto di carattere, per così dire, “operativo e pratico” - nell’intento di contribuire a trovare soluzioni interpretative condivise ed idonee ad evitare quella incomunicabilità tra diritto concorsuale e diritto del lavoro troppo spesso sfociata nelle aule di Tribunale». Obiettivo che mi sembra sicuramente riuscito, visto che dal volume emerge una lettura corale della speciale disciplina che il Codice dedica ai rapporti di lavoro coinvolti dalle procedure concorsuali.

2. I rapporti di lavoro e la direttiva europea Insolvency del 2019.
Ora, è difficilmente contestabile la considerazione che nel Codice – a differenza dell’abrogata legge fallimentare - i rapporti di lavoro siano guardati con una particolare attenzione dal legislatore del codice della crisi. Con l’introduzione del Codice, infatti, si è assistito ad un vero e proprio cambio di paradigma nel rapporto fra le procedure concorsuali e i rapporti di lavoro.
Questo è in parte conseguenza di alcune tendenze emerse soprattutto in sede giurisprudenziale già con la legge fallimentare abrogata, in parte delle scelte compiute dal legislatore europeo nella direttiva Insolvency 1023/2019, alla quale il codice, attraverso le modifiche successive al d.lgs. 14/2019, ha dovuto dare attuazione.
A questo proposito va detto che nella direttiva 1023/2019 l’attenzione alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori dell’impresa in crisi è costante .
Già l’art. 1 della direttiva, nel richiamare i quadri di ristrutturazione preventiva del debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, chiarisce che gli Stati membri possono prevedere, in sede di recepimento della direttiva, che siano esclusi o non siano interessati dai quadri di ristrutturazione preventiva i crediti esistenti e futuri di lavoratori o ex lavoratori.
Poi all’art. 3, nel disciplinare gli strumenti di allerta precoce, impone agli Stati membri di prevedere che i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso alle informazioni aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili.
Ancora, l’art. 6, che parla della sospensione delle azioni esecutive individuali, come misura protettiva del patrimonio del debitore al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, al par. 5 stabilisce espressamente che questa misura non si applica ai diritti dei lavoratori.
Infine, l’art. 13 della direttiva, che si occupa specificatamente dei lavoratori, prevede che gli Stati membri provvedono affinché il quadro di ristrutturazione preventiva non interessi i diritti individuali e collettivi dei lavoratori, ai sensi del diritto dell’Unione e nazionale.

3. Il recepimento (parziale) dei principi europei nel codice della crisi e dell’insolvenza.
Ebbene, tenendo presenti queste indicazioni di derivazione europea, vorrei soffermarmi su alcuni profili riguardanti i rapporti di lavoro di interesse dal punto di vista processualistico, che meritano di essere affrontati guardando alle soluzioni che emergono dal Codice della crisi anche alla luce degli interventi correttivi successivi. Su questo versante, infatti, direi che emerge un quadro normativo per così dire con nuance chiaroscurali.
Ci sono sicuramente dei passi avanti, ma permangono alcuni limiti che già erano emersi con la legge fallimentare .
E a conferma di ciò, prendo in considerazione due profili affrontati in modo innovativo dal Codice e che vanno ad impattare sui rapporti di lavoro.
Il primo attiene all’applicazione nei confronti dei lavoratori delle c.d. misure protettive.
Il secondo profilo, invece, attiene alla tutela dei crediti dei lavoratori dipendenti in sede di accertamento del passivo nell’ambito della liquidazione giudiziale.
Infatti, mentre nel primo caso emerge chiaramente la volontà del legislatore di considerare i lavoratori delle imprese coinvolte nelle procedure concorsuali non come semplici creditori, ma come creditori titolari di rapporti connotati da specificità che si ripercuotono inevitabilmente sul piano delle tutele e nello specifico della tutela giurisdizionali, nel secondo caso, invece, prevale l’atteggiamento esattamente opposto, e cioè si continua a ritenere che i crediti dei lavoratori dipendenti (quale che sia la loro natura) debbano seguire l’iter processuale previsto per l’accertamento di un qualsiasi altro credito rientrante nel passivo dell’impresa sottoposta a liquidazione giudiziale.

4. Le misure protettive e i crediti da lavoro dipendente.
Partiamo dal primo profilo, quello delle c.d. misure protettive. Secondo la specifica definizione dell’art. 2, lett. p), del Codice della crisi e dell’insolvenza, le misure protettive del patrimonio del debitore sono quelle «misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza». Stando poi alla definizione di «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza» che il d.lgs. n. 83/2022 ha introdotto nella lett. m-bis) dello stesso art. 2 del Codice, essi comprendono «le misure, gli accordi e le procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi».
Di queste misure protettive il Codice parla nell’art. 18, in relazione all’istanza dell’imprenditore di essere ammesso alla composizione negoziata della crisi, e poi nell’art. 54 con riferimento del procedimento unitario di accesso ad una delle procedure giudiziali disciplinate dal codice (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione).
Il 1° comma dell’art. 18 del codice chiarisce che l’imprenditore, contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto, che avvia la procedura di composizione negoziata davanti alla Camera di commercio, o con una successiva istanza presentata comunque con le medesime modalità, possa anche «chiedere» l’applicazione delle misure protettive del patrimonio, provvedendo poi a pubblicare tale istanza nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto.
A sua volta il 2° comma dell’art. 54 del Codice prevede che, se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all’art. 40 (quella introduttiva del procedimento unitario), «dalla data di pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese» scattano una serie di misure protettive.
Nell’un caso come nell’altro si tratta in particolare del fatto che i creditori non possono acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sia sui beni del patrimonio dell’imprenditore, sia sui beni e i diritti con i quali viene esercitata l’attività dell’impresa (non rientranti nel suo patrimonio, ma che l’imprenditore utilizza per l’esercizio dell’impresa: ad es., per effetto di un contratto di leasing o di comodato).
Il d.lgs. 83/2022 ha introdotto nel 2° comma dell’art. 54 del Codice anche l’ulteriore misura protettiva dell’inibizione della pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza, che decorre sempre dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di introduzione del procedimento unitario, sempre che il debitore abbia fatto richiesta di applicazione delle misure protettive.
L’integrazione recepisce quanto stabilito dalla direttiva 2019/1023, il cui art. 7, § 2, prevede espressamente che «la sospensione delle azioni esecutive individuali … sospende, per la durata della sospensione, l’apertura, su richiesta di uno o più creditori, di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività del debitore». Sebbene si debba evidenziare che, mentre la normativa europea inibisce la stessa apertura della procedura, il recepimento del nostro legislatore limita l’inibizione alla pronuncia della sentenza, consentendo, invece, l’apertura della relativa procedura.
Da un lato, quindi, le misure in questione si riverberano sulla possibilità dei creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore; dall’altro, esse comportano effetti di natura sostanziale sulle prescrizioni e sulle decadenze, che rispettivamente si sospendono e non si verificano.
Si tratta di misure sostanzialmente identiche a quelle già previste dall’art. 168 legge fall. con riferimento al concordato preventivo e dall’art. 182-bis legge fall. con riferimento agli accordi di ristrutturazione. Infatti, in base ai primi due commi dell’art. 168 legge fall., nel caso di domanda di ammissione al concordato preventivo, «dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore» e «le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano».
A sua volta, l’art. 182-bis, 3° comma, legge fall. stabiliva che, in caso di domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, «dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’art. 168, secondo comma».
Merita di essere evidenziato, d’altro canto, che, ai sensi dell’art. 44, 1° comma, lett. a), del Codice, la domanda di ammissione al concordato preventivo potrebbe essere avanzata «con riserva», ossia avere ad oggetto anche la concessione di un termine fra 30 e 60 giorni, prorogabile su istanza del debitore per altri 60 giorni, «entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all’art. 39, commi 1 e 2, oppure la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la documentazione di cui all’art. 39 comma 1, oppure la domanda di omologazione del piano di ristrutturazione di cui all’art. 64-bis, con la documentazione di cui all’art. 39, commi 1 e 2». Il che sta a significare che in questo caso le misure protettive sono destinate a divenire applicabili ancor prima che ci sia l’effettiva domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo o del piano di ristrutturazione con la relativa documentazione.
Ora, aggiungono gli artt. 18 e 40 del Codice della crisi e dell’insolvenza che la misura protettiva del divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari non si applica ai diritti di credito dei lavoratori. Il che sta a significare, di fatto, che, pur in pendenza della procedura di composizione negoziata della crisi o del procedimento unitario di cui all’art. 40, i lavoratori possono esercitare o proseguire azioni esecutive e cautelari nei confronti del loro datore di lavoro.
Si deduce, pertanto, che, anche laddove dovessero applicarsi le misure protettive all’istanza di composizione negoziata della crisi o alla domanda di accesso a una delle procedure concorsuali avanzata dal debitore, i lavoratori potranno comunque far valere i loro diritti di credito in qualsiasi momento, aggredendo con azioni individuali esecutive o cautelari il patrimonio del datore di lavoro o proseguendo azioni esecutive o cautelari già intraprese. E questo nonostante che agli altri creditori una simile possibilità sia inibita proprio dall’operare delle stesse misure protettive.
Si tratta di una novità importante che recepisce quanto disposto dalla direttiva Insolvency del 2019, attraverso la quale viene dato il dovuto risalto al privilegio riconosciuto al credito da lavoro dipendente rispetto alla protezione meramente economica dell’integrità del patrimonio.
E questo risultato è certamente frutto di quel cambio di paradigma portato dal nuovo codice della crisi e dell’insolvenza di cui parlavo all’inizio.

5. I crediti da lavoro dipendente in sede di accertamento del passivo.
Quanto al secondo profilo, quello della rilevanza dei crediti dei lavoratori in sede di accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, ebbene qui va rilevato un nodo rimasto irrisolto anche nel nuovo Codice.
Infatti, mentre sul piano sostanziale il Codice ha introdotto una norma ad hoc, l’art. 189, per disciplinare gli effetti della liquidazione giudiziale sul contratto di lavoro pendente al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale, sul piano processuale il problema dell’accertamento dei crediti del lavoratore dipendente ai fini della sua ammissione al passivo è rimasto sostanzialmente invariato rispetto alla previgente legge fallimentare .
E questo, si badi, nonostante la previsione, nell’art. 7, 6° comma, della legge delega 155/2017, del criterio direttivo che sollecitava il legislatore delegato a provvedere al coordinamento degli «effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato con la vigente legislazione di diritto del lavoro ... e le modalità di insinuazione al passivo».
Come è noto, la questione era già emersa con la legge fallimentare a causa della sovrapposizione fra il rito del lavoro e il rito speciale previsto per l’accertamento del passivo di cui agli artt. 92 e ss. legge fall., stante la previsione generale dell’art. 52, 2° comma, legge fall. sulla vis atractiva del rito sull’accertamento del passivo rispetto a qualsiasi credito di natura concorsuale. Quest’impostazione si ripete pari pari nel Codice, perché anche qui l’art. 151, 2° comma, riprende letteralmente quanto stabilito in precedenza dall’art. 52, 2° comma, legge fall. («Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo III del presente titolo, salvo diverse disposizioni della legge»).
Si ripropone, quindi, il problema del rapporto tra i concorrenti poteri di cognizione del giudice del lavoro e del giudice fallimentare o concorsuale, per la rispettiva specialità di accertamento e di rito applicabile.
Come noto, in via interpretativa il discrimine della ripartizione della loro cognizione è stato individuato nelle rispettive speciali prerogative , con il riconoscimento della spettanza:
- al giudice del lavoro, quale «giudice del rapporto», della cognizione delle controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro ;
- al giudice della procedura, quale «giudice del concorso», al fine di garantire la parità di trattamento tra i creditori, della cognizione delle controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale; salva l’ipotesi dell’accertamento (e di esso solo) dell’entità dell’indennità risarcitoria da parte del giudice del lavoro .
Di conseguenza, l’applicazione, a seconda dei casi, del rito lavoro o del rito dell’accertamento del passivo dipende – anche alla luce del nuovo codice – dalla natura della domanda del lavoratore dipendente.
Nel caso in cui essa sia finalizzata solo al riconoscimento di un credito ai fini della partecipazione al concorso, si applica il rito dell’accertamento del passivo; mentre, nel caso in cui con essa il lavoratore chieda l’accertamento di profili che vanno ad incidere sul suo status di lavoratore dipendente, la competenza è del giudice del lavoro e il rito è quello di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c.
Questa competenza concorrente può portare spesso alla contemporanea pendenza di due giudizi per l’accertamento di situazioni differenti relative allo stesso rapporto di lavoro. Ed in effetti la giurisprudenza ha parlato di c.d. doppio binario nel senso di imporre al lavoratore che, ad es., impugni il licenziamento (prima o dopo l’apertura della procedura concorsuale) di proporre la domanda al giudice del lavoro, salvo poi chiedere l’ammissione al passivo che crediti che dovessero risultare dall’esito del processo del lavoro.
Peraltro, proprio a proposito del licenziamento va anche detto che la distinzione fra le due competenze non è identica a quella fra tutela reale e tutela obbligatoria in caso di licenziamento illegittimo. Infatti, anche nel caso di tutela obbligatoria l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento può involgere profili (ad es., di natura previdenziale) che nulla hanno a che vedere con la partecipazione al concorso.
Le due competenze parallele si intersecano, tuttavia, in riferimento all’ipotesi generale del credito fondato su una sentenza non definitiva anteriore all’apertura della procedura concorsuale, per cui è prevista una particolare ipotesi di ammissione allo stato passivo con riserva (art. 204, comma 2, lett. c, del Codice) da sciogliere al momento della verifica dell’evento condizionante da parte del giudice delegato, con un decreto di ammissione del credito, nel caso di formazione del giudicato sul credito accertato (art. 228 del codice): ciò che vale anche con riguardo all’accertamento del credito di lavoro.
La regola in esame, per la quale, se il credito insinuato allo stato passivo di un fallimento risulti da una sentenza non passata in giudicato, per escluderne l’ammissione al passivo, a norma dell’art. 204, comma 2, lett. c, del Codice, «il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione», sembra dover essere interpretata in via estensiva, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’identico previgente art. 96, comma 2, n. 3, legge fall. Ed essere così applicata anche nel caso di una sentenza, non ancora passata in giudicato, che abbia rigettato (anche solo in parte) la domanda del creditore. Con la conseguenza che, intervenuta l’apertura della procedura concorsuale del debitore successivamente a tale decisione, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal suo passaggio in giudicato, il creditore deve proporre impugnazione in via ordinaria nei confronti del curatore della liquidazione giudiziale, legittimato non solo a proporre l’impugnazione ma anche (passivamente) a subirla.
Una peculiare ipotesi di ammissione con riserva potrebbe essere integrata pure dall’insinuazione allo stato passivo dei crediti del lavoratore anche con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza, essendogli riconosciuta dal rito del lavoro tale facoltà a norma dell’art. 431, comma 2, c.p.c., tuttavia non applicabile in sede di accertamento dello stato passivo.
In ogni caso, nella procedura di liquidazione giudiziale, l’accertamento del credito da lavoro subordinato si pone in una sostanziale continuità con quello della precedente legge fallimentare, in assenza di rilevanti modifiche sistematiche e dei principi fondamentali della materia. È indubbio che in esso i lavoratori subordinati non godano per i loro crediti di un regime di trattamento idoneo a tutelarne la specialità, nonostante la perentoria affermazione giurisprudenziale della «particolarità della disciplina lavoristica ... diretta ad una finalità di tutela del lavoro che, per il suo specifico contenuto e per il suo rilievo costituzionale, prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disciplina del fallimento» .

6. Dal complessivo quadro delineato, necessariamente succinto, si possono trarre alcune conclusioni, di sostanziale conforto per la rilevanza riconosciuta ai rapporti di lavoro nella disciplina della crisi d’impresa.
Il primo dato è certamente rappresentato dall’emersione di una disciplina speciale dei rapporti di lavoro all’interno degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa (art. 189 del Codice). E ciò secondo una prospettiva, fortemente alimentata dalla direttiva UE sull’insolvenza, essenzialmente mirata su procedure volte al risanamento piuttosto che alla liquidazione, coerente con una concezione di salvaguardia del valore dell’impresa e, in essa, della componente lavoristica: in un’ottica, almeno in base alle regole enunciate, non più essenzialmente disgregativa ma conservativa, intesa alla rimozione degli ostacoli ad una efficace ristrutturazione preventiva delle imprese, così tutelando altresì i posti di lavoro e preservando l’attività imprenditoriale.
Il secondo dato è rappresentato dal fatto che, una volta emersa questa disciplina speciale, il legislatore del Codice ne ha tenuto conto anche per le ricadute processuali. E l’esempio delle c.d. misure protettive collegate alla composizione negoziata o al procedimento unitario è emblematico in proposito.
Permangono, tuttavia, alcune zone d’ombra, come quelle da ultimo accennate a proposito dell’accertamento dei crediti derivanti da rapporti di lavoro, che probabilmente andranno illuminate non tanto riprendendo l’impostazione seguita in sede giurisprudenziale sotto la vigenza della legge fallimentare, ma probabilmente valorizzando il “cambio di rotta” che la direttiva europea Insolvency del 2019 e il Codice sulla crisi hanno evidenziato in questo particolare settore del diritto concorsuale. E facendo prevalere anche sul versante processuale, di conseguenza, le peculiarità dei rapporti di lavoro dipendente, già emerse e conclamate su quello sostanziale e delle misure protettive, al fine di attribuire la dovuta tendenziale prevalenza del giudice del lavoro e del conseguente rito speciale, su quello della procedura concorsuale, «per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio» .

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.