testo integrale con note e bibliografia
1. Queste brevi note affronteranno i tratti salienti della disciplina del trasferimento d’azienda nell’ambito della crisi di impresa, secondo la prospettiva del diritto commerciale, alla luce del diritto italiano; il mio contributo si aggiunge all’esposizione del Prof. Lucio Imberti che, invece, tratta gli aspetti di natura giuslavoristica che riguardano questo fenomeno complesso.
2. Tenuto conto del tempo a disposizione e della finalità introduttiva di questa esposizione, mi limiterò a richiamare la cornice normativa e a richiamare l’attenzione su alcuni punti controversi, dedicando, in apertura, un breve inciso di natura comparativa tra la disciplina italiana e quella argentina, contenuta nella Ley 24.522 del 20 luglio 1995 - “Ley de concursos y quiebras” .
3. Il diritto argentino prevede la possibilità di alienazione dell’azienda nel contesto delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, realizzando questo obiettivo sia nel quadro di una procedura stragiudiziale, quale l’acuerdo preventivo extrajudicial (APE, v. articolo 69 e successivi) che di quelle giudiziali, come il concurso preventivo (v. articolo 6 e successivi), da una parte, e la quiebra, dall’altra.
4. Il dato esperienziale argentino si focalizza sulla netta predilezione per il trasferimento d’azienda attuato nel contesto dell’APE e del concurso preventivo, pur essendo esso disciplinato anche nel quadro delle norme sulla quiebra, così come previsto dagli articoli 203, 205-207, 212 e 218 (là dove il trasferimento può avvenire previa autorizzazione del Tribunale mediante il ricorso alla c.d. subasta ovvero a valle di una trattativa privata, tutelando il going concern, l’interesse dei creditori e, anche in questo caso, l’impatto sugli stakeholders coinvolti, lavoratori in primis, per i quali va richiamata la disciplina per la cooperativa de trabajo di cui all’art. 213).
5. Nella disciplina italiana, l’azienda, complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, trova una specifica considerazione nel diritto comune – come trasferimento di azienda in bonis, a titolo di cessione, affitto e usufrutto (disciplina dettata dal Codice civile), e una speciale considerazione prima nella legge fallimentare e poi nel codice della crisi .
Allorché l’imprenditore si trovi in stato di crisi diventa importante analizzare le ragioni della crisi stessa, per verificare la possibilità di un turnaround. Spesso, la ristrutturazione può implicare una circolazione dell’azienda o di rami d’azienda, nel contesto di operazioni societarie straordinarie (conferimento, scissione) o di contratti di trasferimento dell’azienda, a titolo definitivo (cessione) o temporaneo (affitto).
6. Va considerata la pluralità di prospettive e di approcci al nostro tema, per la molteplice tipologia della combinazione dei trasferimenti:
A) Frequenza dell’affitto di azienda (di diritto comune) precedente all’apertura della procedura di crisi;
B) Trasferimento o affitto dell’azienda nel contesto di una procedura di composizione negoziata della crisi ;
C) Trasferimento dell’azienda (magari preceduto dall’affitto di diritto comune) nel contesto di un concordato preventivo, o di un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (cd. “PRO”) ;
D) Trasferimento dell’azienda nella liquidazione giudiziale (ed eventuali problemi connessi a un precedente affitto, con scelta del curatore tra subentro e scioglimento, e sue conseguenze in punto di diritto).
Va formulata un’ulteriore considerazione sul generale “favor” per il trasferimento dell’azienda in attività come strumento idoneo a meglio preservare il valore , in contrapposizione alla liquidazione separata degli asset, che distrugge ogni residuo avviamento e disperde o distrugge il know-how del sito produttivo in attività .
Si può così distinguere una disciplina del trasferimento di azienda (o di ramo d’azienda) da imprenditore in bonis (che potremmo chiamare “di diritto comune”) e la disciplina del trasferimento di azienda da imprenditore in crisi e da procedura concorsuale liquidatoria.
Come è noto, l’art. 2560, 2° comma, c.c., che comporta la responsabilità dell’acquirente dell’azienda verso i terzi per i debiti dell’alienante che risultino dalle scritture contabili obbligatorie, è un tratto rilevante della disciplina codicistica (“di diritto comune”).
Questo tratto viene escluso nell’alienazione da procedura concorsuale liquidatoria, dove invece resta il tema della par condicio da rispettare, rispetto al pagamento delle passività precedenti all’apertura della procedura concorsuale che possano essere trasferite all’acquirente .
7. Non a caso, uno dei tratti rilevanti della composizione negoziata della crisi – ferma la tutela dei diritti pregressi dei lavoratori e l’esigenza del rispetto di un principio di competitività nella selezione dell’acquirente - è la possibilità che l’imprenditore chieda al tribunale, in applicazione dell’art. 22 c.c.i.i., verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, in caso di verifica positiva, di autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile, “dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti” . Su queste misure è da registrare un dibattito, in ordine all’ammissibilità di forme di canalizzazione dei pagamenti o di deroghe solo parziali all’art. 2560, secondo comma .
La cessione dell’azienda nel contesto di una procedura concorsuale o anche della composizione negoziale si intreccia con l’esigenza - stabilita dal c.c.i.i. - che in occasione della stessa cessione sia eseguita una procedura competitiva, volta a massimizzare il ricavato della vendita del compendio aziendale a beneficio della massa dei creditori. La giurisprudenza che si è formata in relazione alla vendita dell’azienda ex art. 22, lettera d), c.c.i.i., traccia un quadro che evidenzia la possibilità che il mancato esercizio di una procedura competitiva pregiudichi la disapplicazione dell’art. 2560, comma secondo, c.c.
Vi è da aggiungere che l’autorizzazione ex art. 22 ha gli effetti dell’art. 24 c.c.i.i., cioè gli effetti del trasferimento di azienda autorizzato si conservano in tutte le successive procedure concorsuali ivi enumerate:
accordo di ristrutturazione dei debiti omologato;
concordato preventivo omologato;
piano di ristrutturazione proposto ai sensi dell’articolo 164-bis c.c.i.i. omologato;
liquidazione giudiziale;
liquidazione coatta amministrativa;
amministrazione straordinaria;
concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 25-sexies c.c.i.i. omologato.
In questa formula molto ampia dell’art. 22 (così come nell’ipotesi del concordato semplificato) potrebbe forse rientrare anche la possibilità di un cd. “pre-pack”, cioè di predisporre in maniera dettagliata la regolamentazione di una cessione futura in sede di liquidazione giudiziale, subordinata alla condizione risolutiva, preceduta da un affitto, considerato appunto che il trasferimento autorizzato dal tribunale ex art. 22 si svolge comunque con il coinvolgimento dell’esperto nominato da una commissione secondo un procedimento disciplinato da una disposizione legislativa.
È un tema ben noto a prassi di altri Paesi dell’Unione europea (Paesi Bassi; Spagna; nonché al di fuori dell’Unione europea), e già esaminato dalla Corte di Giustizia in due sentenze , che ha dettato nella più recente delle due sentenze alcune indicazioni relative a quando si sia in presenza di un controllo giurisdizionale, anche al di fuori di una formale procedura di liquidazione giudiziale, e cioè se «il trasferimento di un’impresa, in tutto o in parte, sia predisposto, anteriormente all’apertura della procedura fallimentare diretta alla liquidazione dei beni del cedente e nel corso della quale detto trasferimento viene realizzato, nell’ambito di una procedura di pre-pack avente l’obiettivo principale di consentire, nell’ambito della procedura fallimentare, una liquidazione dell’impresa in attività che soddisfi al meglio l’insieme dei creditori e che mantenga, per quanto possibile, l’occupazione, a condizione che una siffatta procedura di pre-pack sia disciplinata da disposizioni legislative o regolamentari e il trasferimento di un’impresa, in tutto o in parte, sia predisposto, nell’ambito di una procedura di pre-pack preliminare alla dichiarazione di fallimento, da un «curatore designato», sottoposto al controllo di un «giudice delegato designato», e qualora l’accordo relativo a tale trasferimento sia concluso e portato a esecuzione dopo la pronuncia del fallimento diretto alla liquidazione dei beni del cedente».
Il tema è anche oggetto di una Proposta di direttiva (cd. Insolvency III) e per il momento ci si deve qui limitare a un cenno .
Di certo, uno dei problemi è quello del requisito della “competizione” nella scelta dell’acquirente: scelta, questa, che – come è noto – vede in tensione dialettica le esigenze “del mercato” in senso lato, con quelle delle probabilità di successo di un nuovo investimento per il “rilancio” dell’impresa, che molto si giovano della riservatezza, che nelle procedure competitive non può essere assicurata. Del resto, la mancanza di “competizione” tra offerenti concorrenti da un lato potrebbe essere vista come “segnale” di compromissione delle prospettive future dell’azienda, dall’altro potrebbe essere neutralmente vista come un insuccesso e comunque un pericolo che, se potenzialità residue vi sono, queste sono rimaste nascoste per essere trasferite senza essere avvertite, se non dall’unico acquirente precedentemente selezionato. La mancanza di competizione, peraltro, si scontra con la circostanza per cui l’impianto del c.c.i.i. è tessuto dalla necessità, prevista per legge, di rispettare la competizione nella selezione dell’acquirente .
8. Tornando ai temi generali del diritto dell’impresa e del “diritto societario della crisi” , si deve ricordare che la vigente disciplina del concordato preventivo (art. 84, comma 2, secondo periodo, seconda parte, c.c.i.i.) esplicitamente prevede la cd. “continuità aziendale indiretta”, cioè ammette che il piano di concordato ex art. 87 c.c.i.i. preveda la «gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore, in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo».
Un primo tema controverso da segnalare è quello della nozione di azienda e di ramo di azienda, o del perimetro dell’azienda. L’azienda non coincide con il patrimonio, essa costituisce il frutto dell’attività organizzatrice dell’imprenditore su un complesso di beni di cui il medesimo dispone, non necessariamente a titolo di proprietà, e che vengono avvinti funzionalmente a svolgere l’attività di impresa .
La tesi dominante nel diritto commerciale è che l’azienda sia composta di soli beni e che gli altri elementi patrimoniali, crediti, debiti e contratti in corso, sono regolati dal codice civile (art. 2558-2559-2560) in quanto indefettibilmente accompagnano l’azienda in esercizio, ma non ne sono elementi essenziali . Parimenti, discusso è se l’avviamento sia un elemento essenziale, o non piuttosto una “qualità” dell’azienda, potendo darsi azienda non (o non ancora) in attività, sinché (o purché) il rapporto funzionale tra i singoli beni permanga (o già sussista), potendosi riprendere (o iniziare) l’attività senza necessità di interventi straordinari.
L’azienda si può scomporre in rami, allorché all’interno di un’azienda più grande sia possibile delimitare un insieme più piccolo di beni, parimenti funzionalmente organizzati dall’imprenditore per svolgere autonomamente una parte dell’attività complessiva di impresa. Un elemento di livello inferiore è invece un complesso di beni o di crediti, o quello dei singoli beni, che di per sé non integrino la nozione di “ramo di azienda” e quindi non comportano l’applicazione al trasferimento di nessuna parte della disciplina dell’azienda. Di qui la domanda se la nozione di “ramo di azienda” sia unitaria o se ne dia una diversa a seconda della disciplina – giuscommercialistica o giuslavoristica, in base all’art. 2112 c.c. – di cui si indaga l’applicazione.
9. Il tema che sta al centro del diritto commerciale della circolazione dell’azienda in crisi è la sorte dei contratti pendenti. Non ci si addentra qui sull’argomento dei contratti di lavoro instaurati dall’imprenditore che cede l’azienda, oggetto di una specifica disciplina, sia nel codice civile (art. 2112 c.c.), sia nelle leggi speciali (art. 47 l. n. 428/1990; art. 11 d.l. n. 145/2013, conv. in l. n. 9/2014), sia nel codice della crisi (artt. 189 e 191 c.c.i.i.) .
È bene qui invece ricordare, perché di specifico interesse per il giuscommercialista, l’art. 184 c.c.i.i. (corrispondente all’art. 79 l. fallim. ), che regola espressamente la sorte del contratto di affitto di azienda, pendente al momento della dichiarazione della liquidazione giudiziale, concedendo al curatore la possibilità di recedere, entro il termine decadenziale di sessanta giorni, dal contratto in essere, a fronte della corresponsione alla controparte di un “equo indennizzo”, la cui determinazione, in caso di dissenso, è rimessa al giudice delegato.
L’art. 184 c.c.i.i. richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori solo nel caso in cui il curatore voglia esercitare il recesso.
Qui si pone, dal punto di vista pratico, uno dei temi più rilevanti per il giudizio del curatore e, in generale, per gli operatori del settore, allorché il contratto precedentemente stipulato dal debitore in bonis contenga clausole non compatibili con gli interessi della procedura: se, in mancanza di recesso, le clausole dovessero ritenersi opponibili, il recesso sarebbe una scelta obbligata, e non affidata a un discrezionale giudizio di convenienza.
Si pensi al fallimento del concedente e a una clausola che consenta all’affittuario la prelazione nell’acquisto dell’azienda e di portare in compensazione i canoni pagati col prezzo di acquisto (rent to buy); a un regime di prelazione più gravoso di quello ammesso in caso di stipula dell’affitto da parte del curatore; e così via, tenuto conto, d’altro canto, che il dato esperienziale italiano porta a registrare un’alta frequenza al c.d. “affitto ponte” stipulato prima della procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, come già ricordato al fine di conseguire un maggior soddisfacimento dei creditori, tutelando nel contempo gli interessi dei vari stakeholders coinvolti.
Sarebbe, da questo punto di vista, utile l’esame e una rassegna analitica delle clausole di più frequente adozione nei contratti di affitto (ad es., clausole di prelazione e di opzione, variamente configurate e configurabili) e di trasferimento di azienda in situazione di crisi: rassegna che non può essere qui svolta per ragioni di spazio .
Sul punto dell’inopponibilità di singole clausole alla procedura non vi sono orientamenti giurisprudenziali recenti e ben delineati , fermo restando che le clausole che, normalmente, risultano più delicate da affrontare, sono quelle attinenti al diritto di prelazione a favore dell’affittuario e, soprattutto, al diritto attribuito allo stesso di esercitare il diritto di opzione per l’acquisto dell’azienda già affittata . Problemi che non sono di poco conto, se si considera il guado che deve attraversare il curatore, posto davanti all’esigenza di tutelare l’interesse dei creditori nell’ottica del miglior realizzo, rispetto a un quadro negoziale già esistente e definito con un contratto di affitto d’azienda, che potrebbe però contrastare con questo interesse.
Sotto altro diverso profilo, se in linea generale sono vietate, dall’art. 172, co. 5, c.c.i.i., le clausole contrattuali di risoluzione automatica di un contratto in caso di liquidazione giudiziale, «si ritiene la validità delle clausole contrattuali che, nell’immediatezza dell’apertura della procedura concorsuale, subordinano i contratti pendenti alla condizione risolutiva della accettazione del curatore o estendono l’ambito della facoltà di recesso di quest’ultimo» .
Di certo, con riferimento alle clausole “problematiche” per le finalità della procedura, non si può che suggerire ai professionisti che redigono contratti di affitto di azienda relativi ad aziende in crisi, sia che questo avvenga “in bonis” sia che avvenga nel contesto (e con il suggello) di percorsi o procedure del Codice della crisi, di ispirarsi all’art. 212 c.c.i.i. e prevedere specificamente le clausole di ispezione, e di conformazione della prelazione e le idonee garanzie per il pagamento del canone che la legge reputa compatibili con le finalità della procedura di liquidazione giudiziale (che potrebbe comunque essere in futuro dichiarata, in pendenza del contratto di affitto) . Parimenti, ai curatori non si può che suggerire uno scrutinio attento delle clausole del contratto di affitto di azienda in essere, per negoziarne eventualmente l’eliminazione ed evitare duraturi contenziosi sulla parziale opponibilità di singole clausole di dubbia compatibilità con le finalità della procedura concorsuale liquidatoria, ove si escluda la convenienza per la procedura del recesso.
10. Come accennato, una specifica disciplina è dettata per la circolazione dell’azienda dopo l’apertura della liquidazione giudiziale (artt. 212 e 214 c.c.i.i., corrispondenti agli artt. 104-bis e 105 l.fallim.), contenente regole ormai sperimentate da anni, incentrate sulla deroga a profili del diritto comune che contrastano con il diritto concorsuale: di qui
l’esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti aziendali risultanti dalle scritture contabili, in quanto l’applicazione dell’art. 2560 c.c. derogherebbe al principio fondamentale della par condicio creditorum, applicandosi altrimenti un trattamento privilegiato ai creditori anteriori con riferimento al (ramo di) azienda o all’azienda trasferita, rispetto agli altri creditori insinuati ma non pertinenti al ramo, o all’azienda ;
la necessità di procedure competitive da parte del curatore, che nel caso dell’affitto tengano conto non solo dell’ammontare del canone offerto, ma anche delle garanzie presentate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriale, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali;
la disciplina dell’affitto dell’azienda da parte del curatore deve includere le specifiche norme a tutela della procedura contro l’affittuario, di cui all’art. 212, comma 3 (diritto di ispezione del curatore; idonee garanzie dell’affittuario; diritto di recesso del curatore).
11. In definitiva, nella disciplina del trasferimento di azienda si riflettono i più vasti problemi del diritto dell’impresa in crisi: la difficile composizione degli interessi delle varie categorie di creditori, variamente toccate da un esercizio provvisorio o dalla prosecuzione dell’esercizio di un’attività che può (forse) generare valore, ma sicuramente costi in prededuzione.
Il problema della tutela dei livelli occupazionali è, dai tempi dell’introduzione dell’amministrazione straordinaria, visto nel conflitto con l’interesse dei creditori concorsuali. Le scelte dell’imprenditore in crisi possono trasferire valore, insieme con la circolazione dell’azienda, di suoi rami e sue componenti, secondo modalità di cui non è facile apprezzare la portata dall’esterno. Questo è forse il punto più rilevante, in termini pratici e scientifici, per il quale occorre un approccio interdisciplinare con gli economisti aziendali.
Dalla prassi del foro, emerge una forte attenzione del Giudice delegato al tema della competizione tra potenziali acquirenti dell’azienda. Come ben sa ogni uomo di impresa, gli acquisti di azienda richiedono la programmazione di un business plan che indichi dimensioni e tempi degli investimenti, e tale business plan nelle aziende in bonis resta riservato, per non favorire la concorrenza: beninteso, la concorrenza in generale, non quella degli offerenti interessati all’azienda, platea molto più ristretta.
Ecco, dunque, un profilo che merita attenzione particolare nel trasferimento di azienda in crisi (o insolvente): la trasparenza è una salvaguardia strettamente inerente ai procedimenti giurisdizionali, ma non è la misura più adeguata al rilancio dell’impresa. Di qui il rilievo che la Commissione Pagni aveva dedicato alla composizione negoziata, e la speranza che la nuova disciplina europea della Insolvency 3 possa in futuro aiutare ad affrontare in maniera più efficace il problema del trasferimento dell’azienda in crisi. Nella proposta di direttiva si evidenzia la possibilità di un “pre-pack” con asta privata, dove la gara per individuare l’offerente si tiene prima dell’apertura della procedura vera e propria, con cessione autorizzata dal giudice solo successivamente nella successiva fase “liquidatoria”. Ciò in alternativa alla vera e propria “asta pubblica” sotto la sorveglianza del giudice, con offerte concorrenti .