testo integrale con note e bibliografia
1. Il rapporto tra salute e lavoro è tradizionalmente considerato con esclusivo riferimento all’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.; d.lgs. n. 81 del 2008). Tuttavia, questa prospettiva, sebbene imprescindibile, non è l’unica possibile e con l’introduzione ai contributi raccolti in occasione delle giornate seminariali di Luci sul Lavoro 2024 (Montepulciano 11-13 luglio 2024, Salute e lavoro. Nozioni, profili prevenzionistici e tutele, con le sessioni dedicate a Lavoro, longevità e nuove dimensioni della prevenzione; Organizzazione del lavoro, digitalizzazione e benessere sociale della persona; Longevity economy e invecchiamento nel contesto lavorativo) vorrei segnalare le notevoli implicazioni che possono derivare da una consapevole integrazione degli obblighi legali di prevenzione dei rischi per la salute “presenti nell’ambito dell’organizzazione” del datore di lavoro (art. 2, comma 1, lett. q), del d.lgs. 81/2008) con l’attività, volontaria, di promozione della salute della persona che lavora. Da un lato l’adempimento di una obbligazione contrattuale, con il suo corredo di responsabilità civili e penali. Dall’altro, l’attuazione di principi di responsabilità sociale dell’impresa che l’ordinamento, guardando oltre qualche non trascurabile incertezza legislativa (art. 5 d.lgs. 29 del 2024) , peraltro concentrata sulla specificità dell’invecchiamento attivo, non impone ma, certamente, considera (art. 25, comma 1, lett. a), e art. 2, comma 1, lett. ff) del d.lgs. n. 81 del 2008).
2. Sa la cronaca, purtroppo, ancora troppo spesso conferma che la materia della prevenzione obbligatoria solleva un evidente problema di legalità, e quindi impone anzitutto di vigilare sul fatto che le imprese rispettino i loro obblighi di sicurezza, alquanto trascurata appare la riflessione sulle ragioni che possono limitare l’effettività dell’attuale sistema normativo e, cioè, anche in un contesto di legalità, la sua strutturale idoneità ad offrire, in concreto, la prospettiva di un effettivo miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Le considerazioni da fare, come ovvio, potrebbero essere innumerevoli, a partire da un plausibile difetto di eccesso di etero regolamentazione della materia, e non sarebbe certo questa la sede per darne conto. Ma proprio nella prospettiva di rappresentare se, e in che modo, la valorizzazione dei programmi volontari di promozione della salute possa offrire un contributo, oltre che alla salute pubblica, anche alla salute occupazionale dei lavoratori può essere utile porre l’attenzione su due aspetti in particolare.
3. Il primo riguarda l’importanza di mettere meglio a fuoco i contenuti ed i limiti della responsabilizzazione, penale e civile, di tutti i soggetti che, per legge, con le loro specifiche professionalità e prerogative, sono coinvolti al fianco del datore di lavoro nella gestione della sicurezza sul lavoro. Ciò a partire dal medico competente, la cui professionalità, e autonomia (oltre al Codice deontologico ed al Codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale, si vedano l’art. 25 e l’art. 39, comma 4, d.lgs. 81/2008), ne fanno un attore chiave del sistema anche, per quanto qui più interessa, nella prospettiva di raccordare la prevenzione e la promozione della salute. Non si tratta di mettere in discussione il fatto che il datore di lavoro è il principale soggetto obbligato, anche in qualità di responsabile per l’attività dei suoi collaboratori (art. 2049 c.c.), ma, piuttosto, di ragionare su “se e come” una più consapevole comprensione dei profili della responsabilità degli altri soggetti coinvolti nella gestione del processo di valutazione e prevenzione dei rischi possa incrementare l’effettività del vigente modello di protezione. Anche, per quanto qui stiamo più specificatamente considerando, mediante il supporto ad una più ordinata integrazione della promozione della salute nei piani, obbligatori, della prevenzione.
4. Un secondo aspetto da considerare attiene al rapporto tra responsabilità dell’impresa e documento di valutazione dei rischi (DVR) che, in sostanza, dovrebbe attestare, documentalmente, l’impegno profuso dal datore di lavoro - con la collaborazione del medico competente e del RSPP (art. 29, comma 1, d.lgs. 81/2008) - nella valutazione di “tutti i rischi” presenti nella sua organizzazione (art. 15, comma 1, lett. a), e art. 28, comma 1 e comma 2, lett. a), del d.lgs. 81/2008) e, conseguentemente, anche nella indicazione delle misure necessarie alla eliminazione o minimizzazione, secondo le “conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”, del rischio di pregiudizi per la salute dei lavoratori (art. 15, comma 1, lett. c); art. 28, comma 2, lett. b); art. 29 del d.Lgs. 81/2008).
Un adempimento davvero essenziale che, però, non esaurisce l’obbligo di protezione del datore di lavoro. Che, infatti, come ricorda la giurisprudenza, resta in ogni caso obbligato ad “adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificatamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all’omessa previsione anticipata” (Cass. pen. n. 14068 del 2024).
Ond’è che, pur non sfuggendo che siffatto principio altro non fa che ribadire la portata aperta dell’obbligo di sicurezza posto dall’art. 2087 c.c., resta lecito chiedersi se un sistema così congegnato sia strutturato, in concreto, nella prospettiva di effettività che qui stiamo considerando, per incentivare le imprese ad investire sulla completezza e qualità del DVR. Ciò non per alimentare il dubbio, infondato, che l’obbligo di sicurezza, in primo luogo per effetto dell’art. 2087 c.c., non debba continuare a riempirsi dinamicamente di contenuti avuto riguardo all’evoluzione della scienza e della tecnica che il datore di lavoro ha un preciso obbligo di considerare per individuare anticipatamente rischi e misure di protezione (in primo luogo avvalendosi della professionalità del medico competente, che per legge deve collaborare alla redazione del documento). Quanto, piuttosto, per evidenziare l’importanza che il sistema sappia evolvere per valorizzare modelli e procedimenti di certificazione della qualità del processo di valutazione dei rischi. Con l’obiettivo, quando sussistono le condizioni per farlo, di saper premiare il sostanziale investimento dell’impresa nella elaborazione del documento di valutazione dei rischi, in uno con la specifica professionalità di tutti i professionisti coinvolti nella sua redazione (a partire dal medico competente), con l’attestazione che quella valutazione, sia in termini di identificazione dei rischi che di predisposizione di misure di protezione, effettivamente corrisponde a ciò che è possibile valutare secondo lo stato della scienza e della tecnica. Con l’effetto, in questi casi, di poter fare coincidere l’adempimento dell’obbligo di sicurezza con l’adempimento, puntuale, delle sole misure di sicurezza ivi espressamente contemplate .
5. Su un piano fino ben distinto, direi parallelo, rispetto a quello dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza va, ad oggi, collocata l’area degli interventi volontari del datore di lavoro orientati alla promozione della salute nei luoghi di lavoro.
Si tratta di iniziative prive di qualsiasi vincolo di obbligatorietà, sia per l’impresa che decide di adottarle che per il lavoratore che ne beneficia , implementate, in modo eterogeneo, se non addirittura casuale, essenzialmente nelle grandi imprese. Prestazioni per lo più riconducibili all’area del welfare aziendale, spesso limitate a interventi di sensibilizzazione di stili di vita salutari o formalizzate nella concessione di benefit per il benessere del lavoratore. Campagne aziendali che incentivano una corretta dieta alimentare o lo svolgimento di attività fisica come strumento essenziale per il benessere psicofisico. Incentivi per l’adozione di abitudini salutari, come il rimborso per abbonamenti in palestra, programmi di mindfulness, percorsi per la gestione dello stress e dell’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Ma a questa tipologia di interventi sempre più spesso viene affiancata l’offerta di strumenti di vera e propria prevenzione sanitaria, sotto forma di check-up periodici, prestazioni diagnostiche e visite specialistiche finanziate dall’azienda. Interventi di promozione della salute, questi ultimi, sempre più efficaci anche su larga scala grazie all’evoluzione delle tecniche di diagnostica e che, proprio per questo motivo, rappresentano un indubbio valore per le persone. Non è un caso che vengono utilizzati dalle imprese come strumenti di attrazione e/o fidelizzazione di competenze, pur restando essenzialmente disconnessi dalla disciplina dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, dal sistema di gestione della prevenzione obbligatoria. Per dirla in altre parole, quando il datore di lavoro finanzia visite mediche specialistiche o esami diagnostici per i propri dipendenti, la gestione di tali prestazioni rimane estranea alla sfera dell’intervento professionale del medico competente ed esclusivamente affidata al lavoratore che decide di usufruirne. Quindi, la loro eventuale rilevanza in termini di prevenzione dei rischi professionali non è valorizzata.
6. In un contesto così tratteggiato è dunque agevole notare come gli investimenti privati sui programmi di promozione della salute si prestino, sotto molteplici profili, ad essere ulteriormente valorizzati. Potendo assumere tutt’altra portata ove accompagnati dalla rimodulazione dell’organizzazione del lavoro e integrati con le attività rientranti nell’adempimento degli obblighi di sicurezza, per trasformarsi, così facendo, in un’attività di vera e propria prevenzione: (i) volontaria, perché riferita al rischio della salute non occupazionale del lavoratore, e quindi ben distinta rispetto alla prevenzione obbligatoria; (ii) e doppiamente sussidiaria , in quanto capace di integrare la funzionalità delle prestazioni del servizio sanitario e anche di sostenere l’effettività dell’obbligo di prevenzione che ricade sul datore di lavoro.
Un’attività che possiamo qualificare come prevenzione sussidiaria, e non più promozione della salute, perché, ad esempio, l’organizzazione del lavoro si adatta per sostenere l’efficacia delle misure di promozione adottate (ad esempio: l’orario di lavoro che si adatta ai tempi dedicati dal lavoratore all’esercizio fisico o l’impresa che premia, anche economicamente, i comportamenti virtuosi che il dipendente adotta in attuazione di quei programmi) o perché, e così andiamo al centro del tema che si intende evidenziare, il medico competente, condividendo con il lavoratore la programmazione e la lettura di tutte le prestazioni sanitarie finanziate dall’impresa, e volontariamente attivate dal dipendente, risulti investito di un’attività di vera e propria assistenza medica, parallela a quella della sorveglianza sanitaria, orientata a prevenire i rischi della salute non occupazionale del dipendente. Ma, al tempo stesso, idonea a personalizzare, e quindi anche a rendere più effettiva, la valutazione dei rischi per la sua salute occupazionale.
7. Le implicazioni giuridiche di questo possibile approccio alla trasformazione della promozione della salute in prevenzione sussidiaria sono molteplici e, sul presupposto che il lavoratore intenda espressamente dare il consenso al trattamento dei suoi dati sanitari da parte del medico competente (art. 9 Regolamento 679/2016), possono investire sia l’assetto del sistema sanitario che il modello di gestione della salute occupazionale.
7.1. Per quanto attiene ai rapporti con il sistema sanitario pubblico l’attività di prevenzione volontaria di cui ci stiamo occupando impone essenzialmente di considerare in che modo il medico competente, qualora coinvolto nella gestione della salute non occupazionale del lavoratore, possa coordinarsi con le attività del medico di medicina generale che, come noto, tra i due, è l’unico legittimato a utilizzare il ricettario per prescrivere farmaci rimborsabili dal servizio pubblico nel rispetto dei vincoli di appropriatezza prescrittiva e di programmazione della spesa sanitaria pubblica. Da questo punto di vista l’accesso al fascicolo sanitario elettronico – attualmente precluso sia al datore di lavoro che al medico competente (art. 15, comma 4, D.M. Ministero della Salute, 7 settembre 2023) – potrebbe indubbiamente rappresentare una innovazione importante. Giacché un suo utilizzo sinergico da parte dei medici competenti e i medici di medicina generale potrebbe ragionevolmente produrre effetti virtuosi sulla continuità assistenziale, sulla tempestività degli interventi e anche sulla spesa sanitaria.
7.2. Ancora più interessante è indagare su come sia possibile integrare le informazioni derivanti dalle attività di promozione della salute nel sistema di prevenzione obbligatoria aziendale, essendo anche sotto questo profilo notevoli le possibili implicazioni del trattamento, da parte del medico competente, dei dati sanitari emersi da esami diagnostici effettuati su base volontaria . Ciò che andrebbe chiarito, infatti, è sapere in che modo questi dati debbano essere gestiti ove il medico competente, dopo averi analizzati, rilevi un fattore di rischio occupazionale non riscontrato nel corso della sorveglianza sanitaria obbligatoria. Di conseguenza, altrettanto importante sarebbe capire quale impatto ciò possa avere sulla responsabilità del medico che ha il presidio della sorveglianza sanitaria e, ovviamente, del datore di lavoro che, oltre al dovere di evitare che il lavoro possa peggiorare la salute del lavoratore, potrebbe anche avere l’obbligo di considerare eventuali accomodamenti ragionevoli.
Le tematiche sono nuove e sarebbe prematuro avanzare soluzioni.
Quanto alla responsabilità del medico competente va effettivamente dato atto che la prevenzione sussidiaria può consentire l’acquisizione di dati sanitari non ricompresi nella sorveglianza sanitaria esclusivamente nella misura in cui l’esame effettuato non sia stato preventivamente inserito, dal medesimo medico competente, al momento della predisposizione per protocollo sanitario, nel perimetro degli adempimenti della sorveglianza obbligatoria (art. 25, comma 1, lett. b), del d.lgs 81/2008). Ond’è che, qualora un’analisi medica svolta nell’ambito di un programma volontario di promozione della salute dovesse evidenziare un fattore di rischio occupazionale non rilevato nel corso della sorveglianza sanitaria, si potrebbe porre il problema di sapere se, ed in che misura, il protocollo sanitario sia stato elaborato in modo inadeguato. Si tratta di una valutazione prettamente medica nella quale non intendo entrare. Ma oltre ad annotare che alcuni fattori di rischio emergono solo attraverso esami diagnostici di secondo livello che difficilmente risulterebbero giustificabili all’interno di un protocollo standard di sorveglianza sanitaria, e che la promozione volontaria della salute potrebbe offrire servizi diagnostici quantitativi certamente eccedenti l’ambito della sorveglianza, va anche evidenziato, per un verso, che i “protocolli sanitari” sono documenti dinamici che per legge vanno costantemente aggiornati in occasione delle visite periodiche (allegato 3A, d.lgs. 81/2008) e, per l’altro, che la prevenzione sussidiaria, piuttosto che inibita dalla affermazione di nuove responsabilità, andrebbe all’opposto valorizzata quale misura in grado di offrire strumenti essenziali proprio per la personalizzazione, secondo la metodologia della medicina di precisione, della sorveglianza sanitaria. Potendo, proprio per questa sua specifica potenzialità, essere di grande di sopporto alla effettività del sistema di protezione della salute del lavoratore in azienda.
Quanto, invece, al datore di lavoro è di tutta evidenza che la prospettiva di una dilatazione delle sue responsabilità, in un contesto di incertezza giuridica, finirebbe, inevitabilmente, per scoraggiare ogni investimento per lo sviluppo di programmi di promozione della salute. Affinché il modello di prevenzione sussidiaria possa essere effettivamente implementato è importante che il trattamento dei dati sanitari acquisiti nell’ambito dei programmi di promozione della salute avvenga, in parallelo agli adempimenti degli obblighi di prevenzione ma in sinergia con essi, in un quadro di obblighi, e quindi anche di responsabilità, complessivamente ben definito. Il passaggio dalla promozione della salute alla prevenzione sussidiaria può rappresentare una opportunità per rafforzare l’effettività del sistema di tutela del lavoratore, ma deve avvenire in un quadro normativo e interpretativo che garantisca equilibrio tra tutela della salute e sicurezza giuridica per l’impresa.
8
. Le questioni sin qui evidenziate sono solo una parte di quelle che andrebbero considerate per incentivare, concretamente, gli investimenti per lo sviluppo di programmi di promozione della salute, in una prospettiva di sostegno alla salute pubblica ed alla maggiore effettività del sistema obbligatorio di protezione e sicurezza nei luoghi di lavoro. In questo senso, le giornate di studio di Luci sul Lavoro 2024 non possono che rappresentare una tappa di un percorso di ricerca, sperimentazione e confronto certamente destinato a proseguire nel tempo.