Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa
Dall’inizio della pandemia ad oggi sono stati numerosissimi gli studi pubblicati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) volti ad analizzare l’impatto del Covid-19 sul mercato del lavoro.
Tra i molti documenti, a ben guardare assai eterogenei tra loro (essendo, alcuni, incentrati sul livello internazionale, altri focalizzati su una prospettiva nazionale e/o settoriale) , appare di grande interesse la serie intitolata “ILO Monitor: COVID-19 and the world of work”. Trattasi di un documento – sinora redatto in sei edizioni – contenente sia preziose informazioni a livello macro circa gli effetti della pandemia sul lavoro, sia lucide previsioni sui possibili scenari futuri, sia infine un elenco delle misure di breve, medio e lungo periodo utili (in quanto già sperimentate durante le crisi del passato) per la ripresa delle economie nazionali.
Ad inizio autunno, con alle porte lo spettro di una seconda ondata del virus , un’analisi dei contenuti di questo studio pare, ad avviso di chi scrive, di estrema utilità.
Nel presente lavoro si analizzeranno tutti e sei i documenti, privilegiando la prospettiva sistematica rispetto a quella diacronica. L’intento infatti è quello, per un verso, di dare conto sia dei dati più recenti in possesso dell’OIL circa l’impatto del virus sul sistema produttivo (§ 2), sia dei possibili scenari futuri (§ 3), sia infine delle strategie funzionali ad un contenimento della recessione economica innescata dalla pandemia (§ 4); per altro verso, di mettere in luce un dato che, pur sottotraccia nei documenti in esame, appare a ben guardare prezioso: l’investimento nella tecnologia è l’unico vero antidoto a questa crisi senza precedenti che sta mettendo a soqquadro l’intero sistema economico mondiale (§ 4.1).
2. I dati
Il primo dato su cui occorre soffermare l’attenzione è quello secondo cui, nonostante l’esistenza di un trend generalizzato di ammorbidimento delle misure di contenimento del virus, la stragrande maggioranza dei lavoratori di tutto mondo continua a sperimentare tuttora qualche forma di chiusura dei luoghi di lavoro , seppur con importanti differenze tra aree geografiche (se è vero che i lavoratori costretti a subire i lockdown più rigidi appaiono, oggi, quelli che vivono nella parte più occidentale del globo e, cioè, nell’America del Nord e in quella del Sud ). Non solo, anche nelle zone in cui non sono più in vigore veri e propri lockdown (per esempio: Europa, Asia centrale, penisola araba), la maggior parte delle attività economiche (e non) non sembra ancora riuscita a riprendere a pieno regime .
Il descritto scenario sta determinando uno shock economico non solo dal lato dell’offerta (a causa della interruzione e/o del rallentamento di buona parte sia della produzione, sia dei servizi), ma anche dal lato della domanda (a causa della inattività obbligata di gran parte della forza lavoro), destinato ad innescare una recessione a livello mondiale senza precedenti.
La crisi sarà, secondo l’OIL, particolarmente drammatica, da un lato, perché il COVID-19 pare destinato ad infettare verosimilmente tra il 40% e il 70% della popolazione mondiale (il che significa che nel corso del 2020 tutti i Paesi del mondo verranno colpiti dalla pandemia) e, dall’altro, perché, nonostante questa apparente omogeneità, lo shock economico finirà per colpire maggiormente i settori, le aree geografiche e i lavoratori più deboli.
In particolare, per quanto riguarda le disparità settoriali, il COVID-19 pare destinato ad impattare maggiormente sui servizi di alloggio, ristorazione, trasporto e intrattenimento, sulle attività immobiliari e commerciali e sul settore manifatturiero, tutti ambiti non solo caratterizzati da un’alta intensità di manodopera (se è vero che essi impiegano, nel complesso, quasi il 50% della forza lavoro mondiale) , ma anche nei quali il lavoro è, di regola, poco retribuito e poco protetto, in quanto scarsamente qualificato .
Quanto alla disomogeneità territoriale, non vi è dubbio che la pandemia colpirà maggiormente, sul piano sia sanitario che economico, le aree caratterizzate da una maggiore densità di popolazione, da una diffusione più alta del lavoro irregolare, nonché da scarse risorse economiche e, cioè, i Paesi in via di sviluppo .
Per quanto infine riguarda le disuguaglianze tra i lavoratori, secondo l’OIL i soggetti più colpiti finiranno per essere quelli tradizionalmente più fragili e, cioè: le donne, i giovani e coloro che operano nell’economia sommersa.
Partendo dalle donne, la crisi innescata dal COVID-19 pare destinata ad incidere pesantemente su tale categoria per diverse ragioni. In prima battuta, perché circa il 40% di tutta la forza lavoro femminile risulta impiegata nei settori più colpiti dalla crisi (quali: i servizi di ristorazione e di alloggio, il commercio all'ingrosso e al dettaglio, le attività immobiliari, commerciali e amministrative e il settore manifatturiero) e i dati aumentano se si prende in considerazione il settore del lavoro domestico che appare, probabilmente, l’ambito più penalizzato dalle misure varate per il contenimento del virus . In secondo luogo, perché le donne, anche quando lavorano nei servizi essenziali, nella stragrande maggioranza dei casi risultano impiegate nei settori più a rischio per la salute (e, cioè, nell’ambito sanitario e dell’assistenza sociale) . In terzo luogo perché, da un lato, le misure di contenimento del virus (come, ad esempio, la chiusura delle scuole e degli asili e la riduzione dei servizi pubblici a favore delle persone con disabilità e degli anziani) e, dall’altro, la paura del contagio nell’avvalersi sia della collaborazione esterna, sia di quella familiare, sta caricando sulle spalle delle lavoratrici non solo ulteriori attività di cura ma anche, a causa della didattica a distanza (c.d. smart-schooling), parte della attività di istruzione .
Si stima, dunque, che la pandemia porterà ad un inasprimento del c.d. gender gap nella partecipazione al mercato del lavoro già di per sé piuttosto significativo (se è vero che nel 2019 ammontava, a livello globale, a circa il 27% ). Ciò è tanto più grave se si considera che, come già hanno dimostrato le precedenti crisi, maggiore è il tasso di disoccupazione, minori sono, di regola, le opportunità di lavoro offerte al genere femminile. Il che significa che più saranno le donne a perdere il posto di lavoro in questi mesi, più sarà difficile per loro rientrare nel mercato del lavoro al termine della pandemia .
Per quanto riguarda i giovani (id est i soggetti tra i 15 e i 24 anni), trattasi di una categoria già tradizionalmente debole, se è vero che questa fascia di età già nel periodo pre-crisi mostrava non solo un alto tasso di disoccupazione (pari al 13,6% a livello globale), ma anche un alto livello di inoccupazione (essendo ben un quinto il numero dei giovani in tutto il mondo non impegnato in alcuna attività né di studio, né di lavoro, né di formazione ). Il COVID-19 sta colpendo grandemente questa categoria, in primis, perché sta mettendo in crisi i settori nei quali i giovani risultano maggiormente impiegati ; in secundis, perchè le misure di contenimento del virus stanno incidendo in modo talmente rilevante sulle attività di istruzione e di formazione da finire per ripercuotersi inevitabilmente, oltre che sul benessere psico-fisico, anche sulle potenziali opportunità di lavoro nonchè di guadagno di tale categoria .
Per quanto riguarda, infine, i lavoratori che operano nell’economia informale, la preoccupazione per tale categoria deriva dal fatto che essa conta circa due miliardi di persone in tutto il mondo – per la maggior parte giovani e donne –; è priva di qualsiasi tipo di protezione sul luogo di lavoro (compresa quella sociale); ha scarso accesso ai servizi sanitari ed è, per lo più, impiegata in attività che richiedono uno svolgimento in presenza. Ciò significa che per tale categoria le misure di lockdown equivalgono ad una vera e propria perdita delle risorse indispensabili per la sopravvivenza .
Oltre alla accentuazione delle disparità, di cui si è detto ora, la pandemia sta impattando in maniera catastrofica anche sulla occupazione, come testimonierebbero i dati riguardanti le ore di lavoro perse nel 2020 rispetto all’ultimo trimestre del 2019. In particolare, si stima che la contrazione globale delle ore di lavoro sia stata del 5,6% (pari a 160 milioni di posti di lavoro a tempo pieno ) nel primo trimestre del 2020 ; del 17,3% (equivalente a 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno) nel secondo trimestre del 2020 ; ed, infine, del 12,1% (pari a 345 milioni di posti di lavoro a tempo pieno) nel terzo trimestre del 2020 . Ed anche qui le differenze regionali appaiono notevoli: la parte più occidentale del pianeta (America del Nord e del Sud) appare ad oggi l’area più colpita , seguita da: gli Stati della penisola araba , l’Europa e l’Asia centrale , l’Africa ed infine la zona del Pacifico .
Tale contrazione ha avuto inevitabilmente una ricaduta disastrosa sul reddito da lavoro: si stima, infatti, che nel primo, secondo e terzo trimestre del 2020 vi sia stato – rispetto ai corrispondenti trimestri del 2019 – una riduzione globale del reddito da lavoro in media del 10,7%. E ancora una volta la pandemia sembra stare amplificando le disparità geografiche, se è vero che la contrazione in parola sembra molto più massiccia (raggiungendo ben il 15,1%) nei Paesi caratterizzati dai livelli più bassi di reddito da lavoro .
3. I possibili scenari futuri
Se oramai appare a tutti chiaro che la crisi che stiamo vivendo è di portata tale da rendere pressoché impossibile riuscire a prevedere cosa accadrà nell’ultima parte dell’anno, è altrettanto chiaro, da un lato, che la crisi dipenderà non solo dall'evoluzione della pandemia, ma anche dalle misure adottate per mitigarne l'impatto e, dall’altro lato, che gli effetti della crisi varieranno (e di molto) in base all’area geografica .
L’OIL prefigura per il quarto trimestre del 2020 tre possibili scenari rispetto all’ultimo trimestre del 2019: uno scenario pessimistico, in cui si stima una perdita di ore di lavoro a livello globale del 18% (pari a 515 milioni di posti di lavoro a tempo pieno) ; uno scenario intermedio, in cui si calcola una riduzione dell’8,6% (equivalente a 245 milioni di posti di lavoro a tempo pieno) e, infine, uno scenario ottimistico, in cui si prevede una diminuzione solo del 5,7% (pari a 160 milioni di posti di lavoro a tempo pieno) .
4. Le strategie da adottare per tamponare la crisi
Qualunque sia lo scenario che ci attende, appare chiaro, da un lato, che esso è destinato ad avere implicazioni a lungo termine sul mondo del lavoro e, dall’altro, che per affrontarlo servono risposte politiche rapide, non frammentate e coordinate a livello sia nazionale che globale, volte non solo a limitare gli effetti diretti della pandemia sulla salute dei lavoratori e delle loro famiglie, ma anche ad attenuare le ricadute indirette del virus sull'economia mondiale attraverso l’individuazione di misure di sostegno economico sia dal lato della domanda che da quello dell'offerta.
In proposito l’OIL suggerisce agli Stati di muoversi in almeno quattro direzioni e, cioè, verso:
a) la mobilitazione di risorse per stimolare sia l'economia che l'occupazione attraverso, in particolare, misure di politica fiscale e monetaria e il supporto finanziario a specifici settori, nonché il varo di piani volti ad estendere il più possibile le misure di protezione sociale ;
b) un aumento delle misure volte alla tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro ;
c) il rafforzamento del dialogo sociale tra tutti gli attori a tutti i livelli, al fine di aumentare la fiducia nelle istituzioni e garantire un minimo di stabilità sociale ;
d) l’aumento della cooperazione internazionale e, in particolare, lo sviluppo di politiche di solidarietà verso i Paesi più poveri, indispensabile (vista anche la contagiosità del virus) per contenere l’emergenza sia sanitaria che economica .
Quanto al quomodo, secondo l’OIL l’approccio migliore per affrontare la crisi è quello, da un lato, di monitorare costantemente la situazione e, dall’altro, di avvalersi della sperimentazione regolativa, cioè del c.d. metodo “trial and error” che, essendo facilmente adattabile e modificabile col mutare delle esigenze, costituisce, in quanto tale, lo strumento più efficace per dare risposte adeguate ai mutevoli bisogni di tutela .
4.1. Il vero antidoto è la tecnologia
A ben guardare, leggendo con attenzione i documenti in esame, appare chiaro che, nella visione dell’OIL, il vero antidoto per una riduzione significativa dell’impatto del virus sul mercato del lavoro è uno solo: investire nella tecnologia, implementando, in particolare, da un lato, i test e le misure di tracciamento dei contatti (al fine di tenere sotto controllo la pandemia) e, dall’altro, le modalità di studio, formazione e lavoro a distanza (al fine di tutelare la salute di tutti, garantendo, al contempo, la prosecuzione del maggior numero possibile di attività).
Per quanto riguarda i test e le misure di tracciamento dei contatti, le stime dell'OIL suggeriscono che l’utilizzo di tali strumenti possa portare a ridurre anche del 50% la perdita delle ore di lavoro . La ragione sta nel fatto che i Paesi che investono maggiormente in tali attività tendono ad avere misure di contenimento del virus meno rigide, cosa che si riflette positivamente sia sui consumi, sia sulla produzione. Del resto, i test e le misure di tracciamento dei contatti richiedono agli Stati esborsi minori rispetto ai costi determinati dalle misure di lockdown, oltre ad essere un modo per creare nuove opportunità di lavoro (anche se temporanee) .
Per quanto riguarda, poi, lo studio e la formazione, oggi in tutto il mondo più di due terzi di tale attività è elargito a distanza, ma la mancanza di infrastrutture, strumentazione digitale e competenze, soprattutto (ma non solo) nei Paesi in via di sviluppo, sta impattando pesantemente sulla loro erogazione, con inevitabili ripercussioni, nel breve termine, sui più giovani e, nel lungo termine, sull’intera società .
Non meno preoccupante è la situazione creata dal lavoro a distanza che pone, oltre alle inevitabili difficoltà organizzative, l’urgenza di raccogliere sfide tecnologiche sinora inimmaginabili.