TESTO INTGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa
Con il diffondersi dell’epidemia da Covid-19, il nostro Paese ha adottato misure di contenimento progressivamente più restrittive da cui sono derivati un forte calo della produzione, un aumento di eccezionale portata del numero, anche potenziale, dei disoccupati e degli inoccupati, una caduta della domanda dei consumatori, sia a livello nazionale che estero, un complessivo deterioramento dei mercati finanziari con importanti ripercussioni sul contesto socio-economico e sulle fasce più deboli del tessuto sociale che, all’indomani della crisi del 2009-2013, si stava lentamente riprendendo .
Gli effetti della pandemia mostrano, infatti, come le categorie più fragili (giovani, donne, disoccupati, disabili, anziani, inattivi), ancora una volta, siano quelle maggiormente esposte agli effetti delle crisi, con ricadute non trascurabili sull’assetto sociale. A costoro si affiancano, poi, i soggetti a rischio di perdita del posto di lavoro per la difficoltà per molte imprese di ripartire dopo il lockdown, l’esercito dei precari (soprattutto in quei settori particolarmente interessati dalle misure restrittive) che si è progressivamente ingrossato in questi anni di sospinta flessibilizzazione e i lavoratori autonomi che hanno dovuto fare i conti con l’impossibilità sopravvenuta della loro attività lavorativa con conseguente perdita o sospensione delle commesse e quindi della loro fonte di reddito .
L’evolversi della pandemia da Covid-19 consegna, pertanto, una nuova configurazione dei lavoratori “svantaggiati” nel mercato del lavoro .
Questa straordinaria emergenza occupazionale ha richiesto interventi rapidi e tempestivi a sostegno delle imprese e dei lavoratori per arginare nel breve periodo le conseguenze della pandemia sul tessuto sociale.
Gli effetti della crisi non sono rimasti, però, circoscritti a un determinato Stato, ma si sono propagati sull’ economia mondiale e dell’Unione europea nel suo complesso, tanto da spingere le istituzioni europee a prevedere misure di sostegno alle imprese, alle famiglie e ai cittadini tese a garantire una risposta coordinata per contrastare i danni e per preservare la continuità dell’attività economica durante e dopo la pandemia da Covid-19 . Per aiutare l’economia dell’UE e le iniziative dei diversi Stati membri nell’attuale situazione, la Commissione europea ha adottato, il 19 marzo 2020, il “Quadro di riferimento temporaneo per gli aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid-19” volto a consentire agli Stati membri di approntare misure di sostegno alle imprese duramente colpite dalla crisi, sfruttando la flessibilità massima prevista dalle norme sugli aiuti di Stato.
Con tale intervento, infatti, l’UE si pone un duplice obiettivo: il primo, “contingente”, è quello di consentire agli Stati membri di agire in modo rapido ed efficace per sostenere le imprese che si trovano in difficoltà finanziarie a causa della pandemia di Covid-19. Il secondo, “prospettico”, tende, attraverso un’applicazione mirata e proporzionata delle misure adottate, a limitare indebite distorsioni nel mercato interno, preservandone l’integrità e garantendo condizioni di parità .
In questo contesto eurounitario si inseriscono le misure di riduzione del costo del lavoro adottate dal Governo italiano nella decretazione emergenziale degli ultimi mesi finalizzate alla salvaguardia dei posti di lavoro e a garantire alle imprese un sostegno che consenta loro una ripresa competitiva delle attività.
Nella fase acuta dell’emergenza sanitaria, caratterizzata da misure restrittive efficaci su tutto il territorio nazionale, gli interventi legislativi sono stati indirizzati, infatti, a proteggere l’occupazione esistente, ponendosi in netta antitesi con le “classiche” misure di politica per l’occupazione che, invece, si prefiggono l’obiettivo di accrescere i livelli occupazionali, con un esponenziale allargamento, se non proprio una generalizzazione, dell’area dello svantaggio occupazionale. Solo in un secondo momento, in un’ottica di un’auspicata ripresa socio-economica, la scelta del legislatore è stata quella di incentivare l’assunzione dei soggetti maggiormente colpiti dalle conseguenze della pandemia Covid-19, all’interno di una più ampia cornice di interventi di matrice europea che, a ben vedere, stanno indirizzando le scelte del legislatore, a fronte delle ingenti risorse destinate al nostro Paese, verso una rivisitazione stessa delle politiche per l’occupazione, non più finalizzate, tout court, all’ontologica vocazione “ espansiva” dei livelli occupazionali di determinati soggetti “svantaggiati” nel mercato del lavoro, ma all’accrescimento della loro occupabilità e del valore del capitale umano.
Partendo da tali premesse, attraverso un’analisi multilivello delle fonti normative, si può procedere ad una sistematizzazione delle risposte fornite dal nostro Paese per affrontare la crisi socio-economica e occupazionale che la pandemia e le misure adottate per il suo contenimento stanno provocando, con l’emersione di una nuova “questione sociale” fatta di nuove povertà e tensioni sociali, che coinvolge larghi strati della popolazione con un ampliamento del disagio sociale .

2. La risposta dell’UE all’emergenza Covid-19: il “Temporary Framework” per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia
Uno dei primi interventi adottati in sede europea per sostenere in modo rapido ed efficace i cittadini e le imprese (in particolare le PMI) in difficoltà a causa della pandemia di Covid-19, è stato l’allentamento dei vincoli in materia di aiuti di Stato.
A mente dell’art. 107 TFUE sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza, salvo una serie di deroghe .
Tra queste ultime, per quel che qui interessa, due sono gli strumenti di flessibilità previsti in favore degli Stati membri. Innanzitutto, l’art. 107, paragrafo 2 lett. b), TFUE ritiene compatibili con il mercato interno, iuris et de iure, gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali, in quanto considerati a priori non produttivi di effetti distorsivi sulla concorrenza.
Il successivo paragrafo 3, lettera b), dispone, invece, che possono essere compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro (previa approvazione della Commissione UE, al fine di valutare il carattere mirato alla finalità e la loro adeguatezza e proporzionalità), a condizione, come precisato dalla CGUE, che il turbamento deve colpire la totalità o una parte importante dell’economia (e non solo quella di una delle sue regioni) o parte del territorio .
V’è una fondamentale differenza tra le due clausole derogatorie: nel primo caso gli aiuti di Stato, per definizione, sono compatibili col mercato interno, e quindi non hanno bisogno della preventiva approvazione da parte della Commissione, al contrario nel secondo caso, le misure previste “possono” considerarsi compatibili col mercato interno, solo dopo la notifica e la relativa approvazione.
I regimi di aiuti stanziati nell’attuale emergenza sanitaria per ovviare alla carenza di liquidità delle imprese e garantire che il blocco totale o parziale causato dalla pandemia di Covid-19 non ne compromettano la redditività (in particolare per quanto riguarda le PMI) trovano la loro legittimazione proprio all’interno di questi spazi di flessibilità concessi a livello europeo.
In particolare quelli stanziati a norma dell’art.107, paragrafo 2, lett. b), TFUE devono compensare i danni causati direttamente dalla pandemia di Covid-19 e dalle misure restrittive adottate che impediscono al beneficiario di esercitare la sua attività economica (rientrano, perciò, in tale categoria tutti gli aiuti tesi ad indennizzare i danni subiti dalle imprese particolarmente colpite dalla pandemia o dagli organizzatori di eventi annullati). Per contro, gli altri tipi di aiuti volti a porre rimedio in modo più generale alla crisi economica innescata dalla pandemia devono essere valutati alla luce della diversa base di compatibilità rappresentata dall’art. 107, paragrafo 3, lett. b), TFUE.
Su tali basi il 19 marzo 2020 la Commissione europea ha adottato la Comunicazione COM (2020) 1863 final “Temporary Framework for State aid measures to support the economy in the current COVID-19 outbreak” , attraverso cui, a norma dell'art. 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE, gli Stati membri possono concedere (previa notifica) nel contesto della pandemia di Covid-19, cinque categorie di aiuti finalizzati a garantire la liquidità e l’accesso ai finanziamenti per le imprese: (i) sovvenzioni dirette, agevolazioni fiscali selettive e acconti alle imprese che devono far fronte a urgenti esigenze in materia di liquidità; (ii) garanzie di Stato per prestiti bancari contratti dalle imprese per permettere alle banche di continuare a erogare prestiti ai clienti commerciali che ne hanno bisogno; (iii) prestiti pubblici agevolati con tassi di interesse favorevoli alle imprese al fine di coprire il fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti; (iv) garanzie per le banche che veicolano gli aiuti di Stato all’economia reale, sfruttando le capacità di prestito esistenti delle banche e utilizzandole come canale di sostegno alle piccole e medie imprese (PMI); infine (v) assicurazione del credito all’esportazione a breve termine.
Tali aiuti di Stato, per essere ritenuti dalla Commissione compatibili con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, paragrafo 3, lett. b), del TFUE, devono soddisfare le seguenti condizioni: l’importo complessivo dell’aiuto non deve superare gli 800.000 euro per impresa, al lordo di qualsiasi imposta o altro onere (l’aiuto può essere concesso sotto forma di sovvenzioni dirette, agevolazioni fiscali e di pagamento o in altre forme, quali anticipi rimborsabili, garanzie, prestiti e partecipazioni, a condizione che il valore nominale totale di tali misure rimanga al di sotto del massimale di 800.000 euro per impresa); l’aiuto è concesso sulla base di un regime con budget previsionale; l’aiuto non può essere concesso a imprese che si trovavano già in difficoltà il 31 dicembre 2019; l’aiuto è concesso entro un determinato periodo (inizialmente fissato per il 31 dicembre 2020);
Di conseguenza, gli Stati membri devono dimostrare, innanzitutto, che le misure di aiuto di Stato notificate alla Commissione in applicazione del Temporary Framework sono necessarie, adeguate e proporzionate per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia dello Stato membro interessato e che sono pienamente rispettate le suindicate condizioni.
Il Temporary Framework è stato dapprima integrato il 3 aprile 2020 e successivamente modificato l’8 maggio 2020 , il 29 giugno 2020 e il 13 ottobre 2020 al fine di ampliarne il campo di applicazione e prorogarne la scadenza fino al 30 giugno 2021, a eccezione delle misure di ricapitalizzazione che sono state prorogate per ulteriori tre mesi fino al 30 settembre 2021.
Da ultimo in data 28 gennaio 2021, la Commissione, con la Comunicazione C(2021) 564 final (quinta modifica), ha nuovamente esteso la durata del Temporary Framework, fino al 31 dicembre 2021 (comprese le misure di ricapitalizzazione), adeguando i massimali di aiuto di alcune misure per far fronte agli effetti economici prolungati della pandemia e modificando le condizioni relative ad alcune misure temporanee di aiuto ritenute compatibili a norma dell’art. 107, paragrafo 3, lett. b), TFUE .
Il “quadro temporaneo” non sostituisce, ma integra gli altri strumenti di intervento pubblico consentiti in via ordinaria sulla base delle norme già vigenti in materia di aiuti di Stato, prevedendosene il cumulo. Gli Stati membri, infatti, possono elaborare misure di sostegno conformemente ai regolamenti “de minimis” o ai regolamenti di esenzione per categoria (la cui efficacia è stata estesa fino al 2023 stante la loro scadenza originariamente prevista per il 2020 ), a condizione che siano rispettate le disposizioni e le norme relative al cumulo.
Inoltre, sempre previa notifica alla Commissione, gli Stati membri possono stanziare, sulla base dell’art. 107, paragrafo 3, lett. c), TFUE, regimi di aiuti per far fronte alle necessità acute di liquidità e sostenere le imprese in difficoltà finanziarie, anche dovute o aggravate dalla pandemia di Covid-19 ammissibili alle condizioni previste dai relativi Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione .

2.1. Gli aiuti di Stato del Temporary Framework a sostegno del lavoro

Tra le misure adottate dall’UE all’interno del Temporary Framework per far fronte alla crisi economica-sociale legata alla pandemia di Covid-19, un ruolo fondamentale hanno ricoperto quelle dirette a ridurre il costo del lavoro e quindi ad agevolare le imprese sottoposte alle misure restrittive al fine di evitare un abbassamento dei livelli occupazionali.
Nel contesto emergenziale si è reso, infatti, necessario allentare gli stretti vincoli normativi europei in tema di aiuti di Stato, oltre agli spazi di manovra già concessi dal Reg.(UE) n. 651/2014 che ritiene compatibili con il mercato interno, esonerandoli dalla preventiva notifica alla Commissione, gli incentivi all’occupazione destinati all’incremento occupazionale di alcune categorie di lavoratori (c.d. lavoratori “svantaggiati” o “molto svantaggiati ), purchè rispettate le condizioni di ammissibilità ivi previste (art. 32) .
Nel quadro temporaneo, perciò, nella misura in cui non attribuiscano un vantaggio selettivo, la Commissione ha ritenuto compatibili i regimi di aiuti di Stato costituiti da differimenti temporanei delle imposte o dei contributi previdenziali che si applicano a imprese (compresi i lavoratori autonomi) particolarmente colpite dall’emergenza sanitaria (Sezione 3.9, punti 40-41) nonché quelli sotto forma di sovvenzioni per il pagamento dei salari dei dipendenti per evitare i licenziamenti durante la pandemia (Sezione 3.10, punti 42-43-bis).
Ne consegue che, al precipuo scopo di ridurre i vincoli di liquidità delle imprese e di preservare i livelli occupazionali, gli Stati membri possono concedere differimenti del pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali per settori, regioni o tipi di impresa particolarmente colpiti dalla pandemia oppure contribuire ai costi salariali delle imprese (o al reddito equivalente al salario dei lavoratori autonomi) che, a causa della sospensione o riduzione delle attività commerciali, avrebbero dovuto licenziare i dipendenti.
Se tali misure si applicassero all’intera economia, esulerebbero dal campo di applicazione del Temporary Framework, venendo meno il requisito della selettività previsto dall’art. 107 TFUE affinchè un aiuto di Stato possa ritenersi incompatibile con il mercato interno. Di converso tali aiuti, se rivolti a talune imprese e/o taluni settori conferendo loro un vantaggio selettivo, sono ammissibili ove rispettate le seguenti condizioni: sono destinati a evitare i licenziamenti durante la pandemia di Covid-19; sono concessi sotto forma di regimi destinati alle imprese di determinati settori o regioni o di determinate dimensioni, particolarmente colpite dalla pandemia di Covid-19; la sovvenzione per il pagamento dei salari deve essere concessa per un periodo non superiore a dodici mesi a decorrere dalla domanda di aiuto, per i dipendenti che altrimenti sarebbero stati licenziati a seguito della sospensione o della riduzione delle attività aziendali dovuta alla pandemia di Covid-19 e a condizione che il personale che ne beneficia continui a svolgere in modo continuativo l’attività lavorativa durante tutto il periodo per il quale è concesso l’aiuto; la sovvenzione mensile per il pagamento dei salari non deve superare l’80% della retribuzione mensile lorda (compresi i contributi previdenziali a carico del datore di lavoro) dei beneficiari. Gli Stati membri possono anche notificare, per le categorie di personale a basso salario, metodi di calcolo alternativi dell’intensità di aiuto, ad esempio utilizzando la media salariale nazionale o il salario minimo, a condizione che sia mantenuta la proporzionalità dell’aiuto.
Infine viene previsto che le sovvenzioni per il pagamento dei salari possono essere combinate con altre misure di sostegno all’occupazione generalmente disponibili o selettive, purché il sostegno combinato non comporti una sovra compensazione dei costi salariali relativi al personale interessato.

3. Gli interventi del Governo italiano per ridurre il costo del lavoro durante l’emergenza epidemiologica Covid-19
Lo Stato italiano, per far fronte all’emergenza sanitaria, ha adottato numerose misure straordinarie, contenute nella corposa decretazione emergenziale Covid-19 , dirette a prevenire e arginare gli effetti della pandemia sul sistema economico, attraverso il sostegno alle famiglie, ai lavoratori e all’imprese, ampliando strumenti esistenti o varandone ad hoc.
Gli interventi si sono articolati lungo quattro direttrici: a. arginare i costi derivanti sia dalle sospensioni delle attività lavorative sia dalle complicazioni nella conciliazione vita-lavoro conseguenti alle sospensioni dei servizi scolastici; b. indennizzare, sulla base di uno stato di bisogno “presunto”, alcune categorie di lavoratori interessati da riduzioni di reddito e non ricompresi nel campo di applicazione degli ammortizzatori sociali (in species i lavoratori autonomi); c. potenziare gli interventi per le famiglie in condizione di povertà; d. allungare la durata della disoccupazione indennizzata data l’accresciuta difficoltà al ricollocamento.
Gran parte delle misure di sostegno al lavoro testé elencate hanno attinto alle categorie di aiuto di Stato considerate ammissibili dal Temporary Framework e sono state, perciò, previamente notificate ex art. 108 TFUE alla Commissione per l’approvazione, ove aventi il carattere della selettività .
La logica seguita è stata quella di sostenere il reddito dei lavoratori, anche con forme assistenzialistiche, e potenziare gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in modo tale da preservare il più possibile la capacità di consumo delle famiglie e la produttività delle imprese in vista della successiva fase di ripresa economica post-emergenza. Questa strategia è stata rafforzata dal contestuale temporaneo divieto per tutti i datori di lavoro di avviare procedure per la riduzione del personale (licenziamenti collettivi) e di licenziare per giustificato motivo oggettivo (licenziamenti individuali, anche plurimi) e dall’estensione dei termini per la richiesta delle indennità di disoccupazione . Accanto agli interventi statali, è stato consentito alle Regioni e alle Province autonome di concedere ulteriori aiuti, a valere sulle proprie risorse, ai sensi della sezione 3.10 del Temporary Framework, al fine di contribuire ai costi salariali, ivi comprese le quote contributive e assistenziali, delle imprese, compresi i lavoratori autonomi, e di evitare, in questo modo, i licenziamenti durante la pandemia di Covid-19 .
Parallelamente, a partire dal Decreto “Agosto” sono stati introdotti interventi mirati a stimolare nuova occupazione o a preservare quella esistente durante l’emergenza epidemiologica, prevedendo, in aggiunta (attraverso il regime di cumulabilità, ove consentito) a quelli già esistenti, diverse agevolazioni accumunate dalla medesima caratteristica, ovvero la riduzione del costo del lavoro in capo ai datori di lavoro .
Analizzando nel dettaglio queste ultime tipologie di misure, emerge, infatti, la scelta del legislatore di intervenire per ridurre il carico contributivo, in favore delle imprese che non ricorrono agli ammortizzatori sociali Covid-19 oppure che effettuano assunzioni a tempo indeterminato o a tempo determinato in determinati settori o in aree del paese svantaggiate (cosiddetto incentivo “decontribuzione Sud”).
Con la l. n. 178/2020 (d’ora in poi Legge di Bilancio 2021) si è poi affiancato, a partire dal 2021, un pacchetto di incentivi finalizzati all’assunzione o all’autoimprenditoria di determinate categorie di lavoratori particolarmente colpite dalla crisi pandemica (giovani o donne), sempre sfruttando la maggior flessibilità concessa dal Temporary Framework nonché le risorse finanziarie destinate all’Italia dal piano Next Generation EU .

3.1 L’esonero contributivo in favore dei datori di lavoro che non richiedono prestazioni di integrazione salariale Covid-19

L’art. 3 Decreto “Agosto” ha introdotto un esonero parziale dal versamento dei contributi previdenziali in favore dei datori di lavoro del settore privato, con esclusione di quello agricolo, che non richiedano i trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga, riconosciuti dalla normativa emergenziale Covid-19 (CIGO, assegni ordinari e CIG in deroga) e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei medesimi trattamenti di integrazione salariale. Di contro tale incentivo non spetta ai datori che presentano, per la prima volta, richiesta di sostegno al reddito con causale Covid-19, da luglio 2020 in poi .
La ratio dell’intervento è quella di creare una misura alternativa ai trattamenti di integrazione salariale, quantomeno nell’ambito della medesima unità produttiva , dal momento che i lavoratori in cassa integrazione, seppur considerati occupati a tutti gli effetti (anche se a zero ore), rappresentano un’ampia fascia di sottoccupati o disoccupati parziali.
L’ammontare dell’esonero è pari (ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche) alla contribuzione a carico del datore di lavoro non versata in relazione al doppio delle ore di fruizione degli ammortizzatori sociali nei mesi citati, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, indipendentemente dal numero dei lavoratori per i quali si è fruito dei trattamenti di integrazione salariale (la contribuzione versata nelle suddette mensilità costituisce esclusivamente il parametro di riferimento per l’individuazione del credito aziendale), per un periodo massimo di 4 mesi (originariamente fruibili sino al 31 dicembre 2020).
Con l’art. 12, co. 14 e 15, Decreto “Ristori”, la predetta misura è stata rinnovata, per un ulteriore periodo di quattro settimane fruibile entro il 31 gennaio 2021 dai datori di lavoro ai quali è stato già autorizzato interamente l’ulteriore periodo di nove settimane previsto dall’art. 14 Decreto “Agosto” e che non richiedano interventi di integrazione salariale per il periodo compreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021, fermo restando la condizione di aver fruito nel mese di giugno 2020, degli interventi di integrazione salariale Covid-19 . Ad essi si affiancano i soggetti appartenenti ai settori interessati dal d.P.C.M. del 24 ottobre 2020 che ha disposto la chiusura o limitazione delle attività economiche e produttive al fine di fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Possono, altresì, beneficiarne i datori di lavoro che hanno rinunciato a una frazione dell’esonero previsto dal Decreto “Agosto” per presentare domanda di acceso ai trattamenti di integrazione salariale per periodi intercorrenti tra il 16 novembre e il 31 gennaio 2021. Di contro ove interamente goduta la misura di cui al Decreto “Agosto” non è possibile accedere alla nuova agevolazione contributiva introdotta dal Decreto “Ristori”, ad eccezione dei datori di lavoro interessati dal d.P.C.M. del 24 ottobre 2020.
Da ultimo la Legge di Bilancio 2021 , al fine di garantire una più ampia forma di tutela delle posizioni lavorative per l’anno 2021, contestualmente allo stanziamento di nuovi ammortizzatori sociali , ha prorogato la misura alternativa dell’esonero contributivo per un periodo massimo di 8 settimane fruibili entro il 31 marzo 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale già godute, anche parzialmente, nei mesi di maggio e/o giugno 2020.
Oltre all’osservanza di quanto previsto dall’ art. 1, co. 1175, l. n. 296/2006 stante la sua natura di beneficio contributivo, il diritto alla fruizione dell’esonero contributivo in esame è subordinato al rispetto del divieto di licenziamento (collettivi o individuali) la cui estensione è stata di volta in volta prorogata dalla decretazione emergenziale , pena la revoca del beneficio con efficacia retroattiva e l’impossibilità di presentare domanda di integrazione salariale.
In questo modo il legislatore si è garantito un divieto di licenziamento per tutto il periodo in cui i datori di lavoro fruiscono degli ammortizzatori sociali ovvero dell’agevolazione contributiva in esame al fine di preservare i livelli occupazionali precedenti all’emergenza epidemiologica, a fronte del sostegno pubblico messo in campo in favore delle imprese e dei lavoratori.
Di contro l’agevolazione, proprio perché finalizzata a mantenere inalterati i livelli occupazionali e non a creare nuova occupazione, non ha natura di incentivo all’occupazione e pertanto non è soggetta all’applicazione dei principi generali contenuti nell’art. 31 d.lgs. n. 150/2015 .
Con riferimento, invece, alla compatibilità del beneficio con la normativa in materia di aiuto di Stato, trattandosi di una misura selettiva in quanto rivolta ad una specifica platea di destinatari (ovvero datori di lavoro che abbiano fruito nei mesi di maggio e giugno 2020 di interventi di integrazione salariale) la sua efficacia è stata subordinata alla preventiva autorizzazione della Commissione, nell’ambito del Temporary Framework e nel rispetto delle condizioni già analizzate ai paragrafi 2) e 2.1) .

3.2 L’esonero contributivo per nuove assunzioni a tempo indeterminato o a tempo determinato (nei settori del turismo e degli stabilimenti termali).

Contestualmente al beneficio testé analizzato, l’art.6 Decreto “Agosto” , ha introdotto un esonero contributivo totale, sempre con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, per la durata di sei mesi e per un importo massimo di euro 8.060,00 su base annua, in favore dei datori di lavoro privati , a eccezione del settore agricolo, che procedono a nuove assunzioni stabili o a trasformazioni di contratti di lavoro a termine , nel periodo intercorrente tra il 15 agosto 2020 e il 31 dicembre 2020, di lavoratori che non abbiano avuto un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti all’assunzione presso il medesimo datore di lavoro.
Il successivo art. 7, co.1, Decreto “Agosto” ha esteso l’esonero contributivo previsto dall’art. 6 anche alle assunzioni a tempo determinato o con contratto di lavoro stagionale nei settori del turismo e degli stabilimenti termali effettuate nel medesimo periodo di cui sopra. In questa ipotesi l’incentivo ha una durata pari al contratto stipulato e, comunque, non superiore a tre mesi. In caso, poi, di conversione dei predetti rapporti in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, si applica il disposto di cui all’art. 6, co.3, e pertanto, il datore di lavoro ha diritto ad ulteriori sei mesi di agevolazione decorrenti dalla data di trasformazione a tempo indeterminato .
A differenza dell’esonero di cui all’art. 3 Decreto “Agosto” e s.m.i. che punta, come visto, a mantenere inalterati i livelli occupazionali preesistenti all’emergenza sanitaria incentivando i datori di lavoro a non utilizzare gli ammortizzatori sociali e a non licenziare il personale, i benefici in esame, nel quadro delle misure di sostegno e rilancio dell’economia, si pongono l’obiettivo di stimolare nuove assunzioni stabili o a tempo determinato in determinati settori (turismo e stabilimenti termali) fortemente colpiti dai provvedimenti restrittivi anti Covid-19. Quest’ultima previsione deve essere letta in combinato disposto con la deroga all’art. 21 d.lgs. n. 81/2015 che consente, fino al 31 marzo 2021 e ferma restando la durata massima complessiva di 24 mesi, di rinnovare o prorogare, per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’art. 19 .
Per poter fruire degli esoneri contributivi il datore di lavoro deve rispettare non solo l’art. 1, co. 1175, l. n. 296/2006, ma anche i principi generali, in materia di incentivi all’occupazione, previsti dall’art. 31 d.lgs n. 150/2015, confermandosi la finalità di creare “nuova occupazione” (c.d. “incremento occupazionale netto”) .
Infine, sotto il profilo della compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato, si rileva che mentre l’incentivo previsto dall’art. 6 si caratterizza per un intervento generalizzato in quanto rivolto potenzialmente a tutti i datori di lavoro privati che operano in ogni settore economico del Paese e quindi non è sussumibile nella disciplina di cui all’art. 107 TFUE, quello di cui all’art. 7, rivolgendosi esclusivamente ai settori turismo e stabilimenti termali, si configura quale misura selettiva che, come tale, necessita della preventiva autorizzazione della Commissione europea, rientrando nelle misure previste dal Temporary Framework .

3.3 L’agevolazione contributiva per l’occupazione in aree svantaggiate: “Decontribuzione Sud”.

Al fine di contenere gli effetti straordinari sull’occupazione determinati dall’epidemia da Covid-19 in particolari aree caratterizzate da una situazione di disagio socio-economico e di garantire la tutela dei livelli occupazionali , l’art. 27 Decreto “Agosto” ha previsto, in favore dei datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e dei contratti di lavoro domestico, una riduzione pari al 30% dei contributi complessivamente dovuti (ad eccezione dei premi e dei contributi spettati all’INAIL), per il periodo dal 1° ottobre 2020 al 31 dicembre 2020 in riferimento ai rapporti di lavoro subordinato, con sede di lavoro situata “in regioni che nel 2018 presentavano un prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75% della media EU27 o comunque compreso tra il 75% e il 90%, e un tasso di occupazione inferiore alla media nazionale” . Pertanto l’agevolazione spetta a condizione che la prestazione lavorativa si svolga in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia .
Il criterio selettivo, in questo caso, è l’allocazione geografica dei rapporti di lavoro per i quali si può godere del beneficio (anche ove fruiti gli ammortizzatori sociali Covid-19). La caratteristica del beneficio è l’assenza di un limite di importo, operando in misura pari al 30% della contribuzione datoriale complessivamente dovuta, senza un tetto massimo mensile.
La Legge di Bilancio 2021 (art. 1, co. da 161 a 168) ha abrogato l’art. 27 Decreto “Agosto” ed ha esteso il predetto esonero sino a dicembre 2029, prevedendo una diversa modulazione dell’intensità della misura: al 30% sino al 31 dicembre 2025, al 20% per gli anni 2026 e 2027 e al 10% per gli anni 2028 e 2029 . Inoltre sono stati irrigiditi i requisiti di ammissibilità per i beneficiari, escludendo alcune categorie di datori di lavoro, tra cui entità trasformate in società per azioni a seguito di privatizzazione, organizzazioni senza scopo di lucro ed enti ecclesiastici .
Poiché, la misura spetta in relazione a tutti i rapporti di lavoro subordinato, anche instaurandi (ad accezione del settore agricolo e domestico), purchè rispettato il requisito geografico della prestazione lavorativa, non ha natura di incentivo all’occupazione, e pertanto non è soggetta ai principi generali dettati dall’art. 31 d.lgs. n. 150/2015; di contro, trattandosi di un beneficio contributivo, è invece subordinato al rispetto delle regole previste dall’art. 1, co. 1175, l. n. 296/2006.
Con riferimento alla compatibilità della misura di incentivo con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, trattandosi di un beneficio “selettivo” in quanto rivolto ad una specifica platea di destinatari (datori di lavoro che opera in aree svantaggiate), rientra negli spazi di flessibilità previsti dal Temporary Framework, almeno per il periodo dal 1° ottobre 2020 sino al 31 dicembre 2021 ; per il restante periodo (1° gennaio 2022 - 31 dicembre 2029) l’agevolazione è condizionata al rispetto delle condizioni previste dalla normativa generale in tema di aiuti di Stato .
Un ultimo aspetto da considerare è quello della cumulabilità del beneficio con altri incentivi. In ragione dell’entità della misura di sgravio, lo stesso è, infatti, cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione dovuta e sempre che non vi siano un espresso divieto di cumulo previsto da altre disposizioni .

3.4 I nuovi incentivi per l’occupazione di giovani e donne

L’impatto della pandemia si è particolarmente riverberato sulle condizioni occupazionali di giovani e donne, ampiamente rappresentati nei comparti produttivi più colpiti dalle limitazioni governative, evidenziando alcuni aspetti generali di debolezza del nostro mercato del lavoro, a cominciare dal basso tasso di occupazione di queste due categorie di soggetti, combinato con vaste aree di inattività e con un’accentuata precarizzazione dei contratti di lavoro.
In quest’ottica, la Legge di Bilancio 2021, oltre a prorogare, come visto, alcune misure adottate dalla decretazione emergenziale, ne ha stanziato delle nuove finalizzate a incrementare i livelli occupazionali di giovani e donne. In verità, il legislatore non introduce nuovi strumenti di incentivazione in loro favore, ma estende il campo di applicazione, oggettivo e soggettivo, di alcuni benefici strutturali già operanti nel nostro ordinamento.
Due sono i principali interventi. Il primo è indirizzato a incentivare l’occupazione giovanile stabile (art. 1, co. da 10 a 15, Legge di Bilancio 2021), attraverso l’innalzamento al 100% dell’esonero contributivo di cui all’art. 1, co. da 100 a 105 e 107, l. n. 205/2017 e s.m.i. , per un periodo massimo di 36 mesi, nel limite di importo pari a 6.000 euro annui (in luogo dei valori già previsti a regime, pari al 50 % e a 3.000 euro su base annua) riconosciuto ai datori di lavoro, per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le stabilizzazioni dei contratti a tempo determinato effettuate nel biennio 2021-2022, di lavoratori che alla data della prima assunzione incentivata non abbiano compiuto il trentaseiesimo anno di età (il limite precedente era fissato a 30 anni) e che non risultino essere stati mai occupati con un contratto a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro o con altro datore di lavoro, salvo i casi di fruizione parziale dell’incentivo.
Per le assunzioni in una sede o unità produttiva ubicata nelle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, la durata massima dell’esonero viene prolungata a 48 mesi .
Accanto a tale beneficio in favore dei giovani, è stato previsto “in via sperimentale” l’esonero contributivo totale per l’assunzione di donne . L’agevolazione si configura come un’estensione di quella di cui all’art. 4, co. da 9 a 11, l. 92/2012 (c.d. Legge Fornero) che, sin dal 2013, ha introdotto, in maniera strutturale, una riduzione del 50% dei contributi a favore del datore di lavoro privato che assuma, con contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato (o in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un precedente rapporto agevolato), lavoratrici in determinate condizioni soggettive di svantaggio . Ebbene, si prevede che l’esonero contributivo nel periodo 2021-2022 si applichi, anche in questo caso, nella misura del 100% dei contributi a carico del datore di lavoro e nel limite di importo pari a 6.000 euro annui.
Il riconoscimento degli esoneri testé analizzati è condizionato al rispetto dell’art. 1, co. 1175, l. n. 296/2006, dei principi generali di cui all’art. 31 d.lgs. n. 150/2015, nonché delle ulteriori regole all’uopo previste .
Entrambe le misure di incentivazione, poi, sono concesse nell’ambito del Temporary Framework e perciò la loro efficacia è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea, anche in considerazione della copertura finanziaria a carico delle risorse del Programma Next Generation EU.
La Legge di Bilancio 2021, al fine di sostenere il rientro al lavoro delle lavoratrici madri e di favorire la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura della famiglia, ha altresì incrementato di 50 milioni di euro il Fondo per le politiche della famiglia di cui all’art. 19, co. 1 d.l. n.223/2006 per l’anno 2021, da destinare al sostegno e alla valorizzazione delle misure organizzative adottate dalle imprese per favorire il rientro al lavoro delle lavoratrici madri dopo il parto. È demandata, tuttavia, a un decreto interministeriale (non ancora emanato) la funzione di definire le modalità di attribuzione delle suddette risorse .
Le misure di sostegno all’occupazione delle donne, varate durante l’emergenza epidemiologica, sono state indirizzate anche verso lo sviluppo di imprese a partecipazione femminile (autoimprenditorialità).
La scelta del Governo si è resa necessaria perché, sia a livello nazionale che internazionale, si è rilevato che troppo poche donne scelgono di creare un’impresa, di avviare una startup, di intraprendere studi e carriere in STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
In quest’ottica, è stato istituito , nello stato di previsione del MISE, il “Fondo a sostegno dell’impresa femminile” con lo scopo di sostenere l’avvio e il rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale di imprese e startup a vocazione femminile, di diffondere i valori di imprenditoria e lavoro tra la popolazione femminile, di promuovere programmi di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza delle donne va adeguata alle indicazioni europee e nazionali e quindi di massimizzare il contributo qualitativo e quantitativo delle donne allo sviluppo economico e sociale del Paese .
Gli interventi del Fondo potranno consistere in contributi a fondo perduto per avviare attività femminili “con particolare attenzione alle imprese individuali e alle attività libero professionali e con specifica attenzione a quelle avviate da donne disoccupate di qualsiasi età”. Saranno concessi anche finanziamenti a tasso zero o agevolati, incentivi per rafforzare attività femminili già esistenti (sempre sotto forma di finanziamenti o contributi a fondo perduto) e investimenti nel capitale “anche tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi”, ad esclusivo beneficio delle start-up innovative. Un’altra parte delle risorse sarà invece destinata a “programmi e iniziative per la diffusione di cultura imprenditoriale tra la popolazione femminile e programmi di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza femminile va adeguata alle indicazioni di livello comunitario e nazionale”. Verranno poste in essere iniziative per promuovere il valore dell’impresa femminile nelle scuole e nelle università; iniziative per la diffusione di cultura imprenditoriale tra le donne; iniziative di orientamento e formazione verso percorsi di studio STEM; iniziative di sensibilizzazione verso professioni tipiche dell’economia digitale; azioni di comunicazione per diffondere la cultura femminile d’ impresa.
Presso il MISE è stato altresì istituito il “Comitato impresa donna”, che avrà il compito di attualizzare le linee di indirizzo per l’utilizzo delle risorse del Fondo e di condurre analisi economiche finalizzate alla produzione di raccomandazioni relative allo stato della legislazione e dell’azione amministrativa, nazionale e regionale, in materia di imprenditorialità femminile e più in generale sui temi della presenza femminile nell’impresa e nell’economia.
Tuttavia la ripartizione della dotazione finanziaria del Fondo tra i diversi interventi, le modalità di attuazione, i criteri e i termini per la fruizione delle agevolazioni previste nonché le attività di monitoraggio e controllo sono stati demandati a un decreto del MISE, di concerto con il MEF e con il Ministro per le pari opportunità e la famiglia, allo stato non ancora adottato.

3.5 Gli incentivi finalizzati all’occupabilità dei lavoratori: il “Fondo Nuove competenze” e il Programma nazionale “Garanzia di occupabilità” (GOL)

Nella decretazione emergenziale Covid-19, gli interventi di riduzione del costo del lavoro sono stati finalizzati non solo alla conservazione e/o incremento dell’occupazione di determinate categorie di soggetti, ma anche a incentivare l’occupabilità dei lavoratori nell’ottica di sostenere le imprese nel processo di adeguamento ai nuovi modelli organizzativi e produttivi accelerati dall’emergenza sanitaria.
In quest’ultima direzione si inseriscono il “Fondo Nuovo Competenze” (d’ora in poi FNC) e il programma nazionale “Garanzia di occupabilità” (d’ora in poi Programma GOL).
Il primo è stato istituito dall’art. 88, co.1, Decreto “Rilancio” presso l’ANPAL per innalzare il livello del capitale umano nel mercato del lavoro al fine di consentire una graduale ripresa dell’attività dopo l’emergenza epidemiologica, con una dotazione iniziale di 230 milioni di euro (successivamente incrementata per gli anni 2020 e 2021 di ulteriori 500 milioni di euro ad opera dell’art. 4 Decreto “Agosto”) a carico del Fondo sociale europeo, attraverso il Piano operativo nazionale sistemi di politiche dell’occupazione (Pon-Spao) e delle regioni, attraverso i Piani operativi regionali (Por) e i fondi interprofessionali (nello specifico settore della somministrazione di lavoro, dal Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori -Formatemp) .
Gli interventi del FNC hanno, infatti, ad oggetto il riconoscimento, per gli anni 2020 e 2021, di contributi finanziari in favore di tutti i datori di lavoro privati (indipendentemente dalla dimensione) che abbiano stipulato, per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa ovvero per favorire percorsi di ricollocazione dei lavoratori, accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro, sottoscritti a livello aziendale o territoriale dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operative in azienda, attraverso cui destinare parte dell’orario di lavoro a percorsi di sviluppo delle competenze dei lavoratori .
Trattasi, pertanto, di uno strumento di politica attiva (una sorta di “reddito per il lavoratore in formazione”) che finanzia il costo, comprensivo dei contributi previdenziali e assistenziali, delle ore di lavoro da destinare a percorsi di formazione fino a 250 ore per ciascuno dipendente e che può considerarsi un valido strumento di “gestione della crisi occupazionale” in atto ove utilizzato dalle imprese in modo proficuo con particolare riferimento alla qualità della formazione erogata. Di peculiare importanza, pertanto, è la partecipazione delle parti sociali, a cui viene demandato il compito, attraverso la sottoscrizione degli accordi collettivi aziendali e/o territoriali, di verificare concretamente la capacità dei progetti formativi di riconvertire professionalmente le competenze dei lavoratori e quindi di rigenerare il “capitale umano” per raggiungere uno scopo ben preciso ovvero la piena occupabilità.
Il Programma GOL, invece, è finalizzato all’inserimento occupazionale mediante l’erogazione di servizi specifici di politica attiva del lavoro rivolti ai beneficiari del reddito di cittadinanza, ai disoccupati percettori di NASpI da oltre quattro mesi e ai lavoratori in cassa integrazione in transizione, nell’ambito del Patto di servizio personalizzato ex art. 20 d.lgs. n. 150/2015 (trattasi pertanto di soggetti privi di impiego che abbiano dichiarato immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro) . Ad esso vengono destinate parte delle risorse (pari a 233 milioni di euro per il 2021) del nuovo “Fondo per l’attuazione di misure relative alle politiche attive rientranti tra quelle ammissibili dalla Commissione europea nell’ambito del programma REACT UE” , demandando a un apposito decreto ministeriale l’individuazione delle prestazioni per tipologia di beneficiari, delle procedure e delle caratteristiche dell’assistenza (individuate tra quelle ammissibili al finanziamento del Programma React UE).
Nelle more dell’istituzione del Programma GOL, nel limite di 267 milioni di euro per il 2021, viene rifinanziato l’assegno di ricollocazione per i percettori di NASpI da oltre quattro mesi (il cui riconoscimento era stato sospeso sino al 31 dicembre 2021 ). In questo modo, si punta a sanare la penalizzazione dei lavoratori disoccupati, rendendo di nuovo disponibile l’assegno “al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro”. Soluzione sicuramente opportuna e anche urgente in considerazione dell’imminente (salvo ulteriori proroghe) venir meno del blocco dei licenziamenti per ragioni economiche disposto dalla decretazione emergenziale.

3.6 Gli incentivi rivolti ad “altre categorie” di lavoratori

Chiudono il pacchetto di misure di sostegno all’occupazione previste dalla normativa Covid-19, quelle rivolte alla riduzione degli effetti negativi causati dall’emergenza epidemiologica sul reddito di determinate categorie di lavoratori, non specificatamente riconducibili alla definizione di soggetti “svantaggiati”, ma che sono state, particolarmente interessate dai provvedimenti restrittivi anti Covid-19, mostrando la loro “fragilità” nel mercato del lavoro (lavoratori sportivi, autonomi, giornalisti, o addetti in determinati settori).
Tra queste si può annoverare l’istituzione nello stato di previsione del MEF (con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022), di un fondo per il riconoscimento di un esonero, anche parziale, della contribuzione previdenziale relativa ai rapporti di lavoro sportivi, instaurati da parte delle federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive dilettantistiche con atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara .
Ancora, è stato istituito un fondo (con una dotazione di 1 miliardo di euro per il 2021) nello stato di previsione del MLPS, per il riconoscimento dell’esonero parziale dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori autonomi e dai professionisti iscritti alla gestione separata dell’INPS e alle casse privatizzate che abbiano percepito nel periodo di imposta 2019 un reddito complessivo non superiore a 50.000 euro e abbiano subito un calo del fatturato e dei corrispettivi nel 2020 non inferiore al 33% rispetto a quello del 2019. A valere sulle medesime risorse sono stati esonerati dal pagamento dei contributi previdenziali, altresì, i medici, gli infermieri e gli altri professionisti e operatori sanitari già collocati in quiescenza e assunti per l’emergenza derivante dalla diffusione del Covid-19 .
Sempre un esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, per la quota a carico dei datori di lavoro è stato accordato alle aziende che operano nella filiera agricola, della pesca e dell’acquacoltura (comprese quelle produttrici di vino e birra), per la mensilità relativa a novembre 2020, prorogato poi a quella di dicembre 2020 . Lo stesso esonero è riconosciuto agli imprenditori agricoli professionali, ai coltivatori diretti, ai mezzadri e ai coloni.
Al fine di sostenere il settore della ristorazione, anche in considerazione delle misure restrittive adottate a causa del Covid- 19, è stato, poi, riconosciuto ai soggetti esercenti l’attività di cuoco professionista presso alberghi e ristoranti, sia come lavoratore dipendente sia come lavoratore autonomo in possesso di partita IVA, (anche nei casi in cui non siano in possesso del codice ATECO 5.2.2.1.0) un credito di imposta fino al 40% del costo per le spese per l’acquisto di beni strumentali durevoli ovvero per la partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, strettamente funzionali all’esercizio dell’attività, sostenute tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 .
Vanno infine richiamate le misure a sostegno del lavoro giornalistico tra cui quella che sancisce, a decorrere dal 1° gennaio 2021, un principio di diretta e immediata applicazione delle agevolazioni (sgravi o esoneri contributivi) a beneficio dei datori di lavoro che procedono all’assunzione di lavoratori dipendenti anche in ambito giornalistico e semplifica le relative procedure di rimborso, da parte dello Stato, dei relativi oneri, prevedendo all’uopo un rapporto diretto tra l’INPGI e il Ministero del Lavoro per il trasferimento delle relative risorse .

4. Le caratteristiche e le prospettive delle nuove misure di politica per l’occupazione

La mappatura degli interventi statali di riduzione del costo del lavoro consente di individuare le caratteristiche e al contempo le criticità delle scelte legislative in tema di politiche per l’occupazione nel contesto della pandemia Covid-19.
La prima caratteristica è che le misure analizzate rispecchiano il trend della pandemia, potendosi distinguere tre fasi: la prima “difensiva” che, a fronte dei rigidi provvedimenti restrittivi adottati dal Governo, si è posta l’obiettivo di non perdere i posti di lavoro esistenti; la seconda “espansiva” che, nell’ottica di una lenta ripresa economica, ha recuperato la finalità incrementativa dei livelli occupazionali di siffatte misure, e infine una terza “prospettica” finalizzata a rispondere alle istanze provenienti dall’UE a cui è subordinata l’erogazione delle risorse finanziare riconosciute al nostro Paese.
Sotto il profilo soggettivo, si assiste a un esponenziale allargamento del bacino dello svantaggio occupazionale: accanto alle ormai consolidate categorie di lavoratori individuate dalla normativa europea (giovani, donne, disoccupati, anziani, inattivi etc.), si colloca la nuova platea di lavoratori occupati in determinati settori colpiti dalla crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria caratterizzati da posizioni lavorative con un basso contenuto professionale, quindi non facilmente ricollocabili e da una forte precarizzazione del lavoro (settore alberghiero, ristorazione, commercio, servizi per le famiglie). Ad essa si affiancano i lavoratori che svolgono la propria attività nelle regioni del Mezzogiorno, con un marcato recupero del criterio geografico dell’allocazione delle imprese (c.d. aree depresse).
Inoltre, la crisi sanitaria ha ingenerato una metamorfosi soggettiva dello stato di bisogno, storicamente circoscritto ai lavoratori subordinati, ora esteso ai lavoratori “senza aggettivi”, inclusi liberi professionisti e imprenditori individuali a cui si aggiungono i soggetti che (privi di un’occupazione già prima dell’epidemia) beneficiano di provvidenze pubbliche di carattere assistenziale, emergendo così il carattere interclassista della nuova povertà a cui si è cercato di far fronte, per tamponare la crisi economica innescata dalla diffusione del virus, con prestazioni assistenziali a carico della fiscalità generale che non possono certo assurgere quale modello di sostegno al reddito in caso di mancanza involontaria di lavoro .
Nel complesso dunque gli effetti della crisi occupazionale dovuta all’emergenza sanitaria, almeno secondo i dati più recenti , si sono abbattuti sulle componenti più vulnerabili del mercato del lavoro, sulle posizioni lavorative meno tutelate e sull’area del Paese che già prima dell’emergenza mostrava le condizioni occupazionali più difficili, il Mezzogiorno.
Quanto alle criticità non si può non evidenziare che la sottoposizione di tali misure a rigidi vincoli (anche di tipo burocratico) ne rendono complesso l’accesso, disincentivando le imprese a farne richiesta.
Con particolare riferimento agli incentivi prima analizzati, la loro fruizione, come visto, è stata subordinata a innumerevoli condizioni tra i quali: i) l’autorizzazione della Commissione UE prevista dal Temporary Framework; ii) il rispetto del requisito dell’incremento occupazionale netto e della clausola sociale o degli ulteriori requisiti di accesso di volta in volta previsti (tra cui quello di non procedere a licenziamenti né prima né dopo il godimento del beneficio); iii) il rispetto dei limiti alla cumulabilità tra le varie misure e dei tetti massimi di aiuto consentiti dal Temporary Framework per ciascuna impresa (dapprima 800.000 euro poi divenuto 1.800.000).
Va, altresì, segnalato che alcuni incentivi introdotti dalla Legge di Bilancio 2021 sono finanziati “a debito” o considerati, forse avventatamente, già in conto al programma del Next Generation EU, mentre altri sono previsti (per ora) solo sulla carta, occorrendo ulteriori passaggi per la fruizione degli aiuti da parte dei destinatari, come l’emanazione di decreti di attuazione da parte dei Ministeri competenti con sospensione, nelle more, della loro efficacia.
All’esito di questa indagine, si può concludere che il legislatore ha prodotto, ancora una volta, un quadro frammentato di incentivi indirizzati a target segmentati di soggetti che risponde all’esigenza di fornire immediate risposte a istanze contingenti e straordinarie provenienti dal mercato del lavoro, a discapito del loro organicità ed efficacia.
Appare, infatti, legittimo sollevare qualche perplessità in merito all’opportunità di proseguire su una logica di intervento segmentato in un momento in cui la crisi occupazionale presenta, come visto, un effetto trasversale sulla platea dei lavoratori, risultando piuttosto condizionata dai settori di impiego e dal loro livello di qualifica professionale . L’introduzione di benefici a favore di specifici soggetti rischia, infatti, di produrre, laddove il target risulti prevalente rispetto ad una determinata condizione, meccanismi di penalizzazione nei confronti dei soggetti che non rientrano nelle categorie individuate dal legislatore. In tale prospettiva, peraltro, la suddetta inclinazione del legislatore di incentivare le assunzioni di specifiche categorie, può produrre un effetto negativo occupazionale per una quota consistente di potenziali lavoratori, le cui assunzioni a tempo indeterminato non sono incentivate (soprattutto in quei settori fortemente colpiti dalle misure restrittive anti Covid-19).
Pur condividendo la ratio ispiratrice degli interventi, si nutrono dubbi sulla capacità delle misure varate, stante anche il perdurare della crisi emergenziale, di invertire il trend degli anni passati. Tale percorso, infatti, se da un lato non risulta rispondere alle esigenze dei datori di lavoro per i quali sarebbe opportuno prevedere strumenti alternativi rispetto a una diminuzione temporanea dei costi del lavoro, dall’altro non tutela appieno nemmeno i lavoratori, a cui non è garantita una stabilizzazione del rapporto di lavoro nel lungo periodo.
È auspicabile, pertanto, l’introduzione di nuovi strumenti di politica per l’occupazione che, riducendo in modo sostanziale (e non contingente) il costo del lavoro, aumentino la produttività e la competitività delle imprese e rispondano in modo efficace ed efficiente, alle richieste di un mercato del lavoro che, complice anche la crisi sanitaria in atto, sta velocemente cambiando. In altre parole, sta emergendo con sempre maggiore forza il bisogno di strumenti che accompagnino nella transizione verso un nuovo sistema produttivo .
L’approccio proposto, sempre più diffuso a livello europeo, è volto al sostegno alle transizioni nel mercato del lavoro (“making transitions pay”), attraverso un sistema di sussidi (sostegno alla mobilità) e di politiche attive (soprattutto servizi al lavoro, incentivi diretti e indiretti all’occupazione e all’imprenditorialità, formazione mirata, politiche di sostegno al consolidamento professionale e alla stabilizzazione per i lavoratori flessibili) che limitino i rischi di permanenza nella disoccupazione o nell’inattività o ancora nella precarietà .
È per questo motivo che si sta guardando con molta attenzione ai nuovi strumenti messi a punto dall’Unione europea nell’ambito delle azioni di contrasto ai gravi problemi economici e occupazionali generati dalla pandemia Covid-19 (Next Generation EU, Fondo SURE e programma REACT- EU), che prefigurano interessanti e immediate ricadute sul piano nazionale.
L’Italia, al fine di ottenere le risorse finanziarie contrattate, è spinta a perseguire l’intreccio tra politiche passive e politiche attive del lavoro . I servizi all’impiego pubblici e privati devono ora misurarsi non solo con le funzioni di incrocio fra domanda e offerta, ma anche con la gestione di mercati del lavoro transizionali, cioè con la necessità di fornire sostegno economico, di orientamento e di formazione continua a lavoratori esposti a frequenti cambiamenti di lavoro e professionali. Tali funzioni inoltre dovranno essere svolte per lavoratori con caratteristiche professionali e umane diverse dal passato, non solo per i dipendenti, ma per i vari tipi di lavoro autonomo e professionale, specie per le nuove professioni connesse alle mutate esigenze delle imprese e allo sviluppo tecnologico, con uno sguardo particolare alle nuove generazioni .
Questi nuovi obiettivi saranno decisivi per affrontate le grandi transizioni del prossimo futuro, indicate dall’Europa, quelle della economia verde, della diffusione del digitale, cui va aggiunta la transizione generazionale .
Parlare di trasformazione dei processi produttivi di beni e servizi applicando le nuove tecnologie (Industria 4.0, smart-working, digitalizzazione, etc.) o applicando regole che riducano al minimo l’impatto ambientale (c.d. green economy) significa consentire alle imprese di reperire sul mercato del lavoro nuove figure professionali qualificate. Di contro il personale deve acquisire competenze in parte nuove o in alcuni casi molto diverse da quelle acquisite in passato. Dunque, la più rilevante riforma da realizzare non attiene tanto al profilo legislativo quanto a quello attuativo delle politiche per il lavoro e dell’efficacia della governance dei “mercati del lavoro”, anche attraverso meccanismi di riconoscibilità e di validazione delle competenze, specie nel quadro di crisi che con elevata probabilità caratterizzerà i prossimi anni.
A ben vedere in quest’ultima direzione stanno andando le recenti misure previste dalla Legge di Bilancio 2021 e in prospettiva quelle in arrivo inserite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che dedicano un’attenzione prioritaria alle politiche di sostegno all’occupazione e alle transizioni occupazionali per accompagnare la modernizzazione del sistema economico del Paese verso un’economia sostenibile e digitale (in particolare, nella bozza ora disponibile del Recovery Plan, al capitolo “Inclusione e coesione” sono indicati gli obiettivi generali della missione e che sono, tra gli altri, per il lavoro: rafforzamento delle politiche attive del lavoro e della formazione di occupati e disoccupati; aumento dell’occupazione giovanile di qualità attraverso il rafforzamento del sistema duale; sostegno all’imprenditoria femminile come strumento di autonomia economica; potenziamento del servizio civile universale con la stabilizzazione dei posti annui).
Il FNC, come visto, si presenta non solo quale misura alternativa ai licenziamenti, ma anche alla collocazione dei lavoratori in cassa integrazione; esso concorre infatti ad aprire ad una diversa prospettiva per affrontare le eccedenze di personale attraverso l’aggiornamento, la qualificazione o la riqualificazione dei lavoratori. Parimenti, accedendo a reiterate richieste delle parti sociali, è stato riattivato nel 2021 (a carico del Programma REACT- EU) l’assegno di ricollocazione per i disoccupati beneficiari da almeno 4 mesi della NASpI nelle more della messa a regime del Programma GOL, anch’esso posto a carico del Programma REACT-EU, che si propone di rendere effettivamente disponibili i servizi di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro rivolti però a tutti i lavoratori disoccupati sottoscrittori del patto di servizio di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 150/2015.
In conclusione, si può confermare, ancora una volta, l’assunto che non si creano nuovi posti di lavoro con interventi normativi e che per promuovere l’occupazione non sono sufficienti politiche di incentivazione economica alle assunzioni, ancorchè strutturali, né interventi assistenziali, ma serve realizzare condizioni di mercato sostenibili per le aziende che, venuti meno i provvedimenti di emergenza di sostegno al lavoro e alle imprese (nello specifico ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti), tenteranno di ricollocarsi sui mercati per recuperare quella competitività persa in questi mesi di attività sospesa o ridotta, in primis attraverso la riduzione del numero dei lavoratori occupati che ingrosseranno le fila del soggetti che già si trovano in una situazione di “svantaggio occupazionale” e che attendono ancora di essere inseriti o reinseriti nel mercato del lavoro.

 

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