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TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Testo della Sentenza Cassazione.26246 del 6-9-2022

Testo della Sentenza Cassazione 30957 del 6 settembre 2022

1.Stabilità del rapporto di lavoro privato e decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi in costanza di rapporto: definizione ed impostazione del tema d’indagine.

1.1.È la stabilità del rapporto di lavoro pubblico che consente la decorrenza, in costanza di rapporto, della prescrizione di crediti retributivi: lo stabilisce, sostanzialmente, la Corte costituzionale – a metà degli anni ‘60 del secolo scorso – nel vigore della recedibilità ad nutum del datore dal rapporto di lavoro privato.

1.2. Tuttavia la Corte – con uno storico monito del 1965 - ne aveva già promosso il tramonto e l’introduzione, parimenti da parte del legislatore, della tutela obbligatoria, prima , e della tutela reale, successivamente , contro i licenziamenti illegittimi.
È la stessa Corte costituzionale , poi, a stabilire la equivalenza della tutela reale statutaria – in quanto connotata, essenzialmente, dalla reintegrazione nel posto di lavoro quale regola applicabile a tutti i licenziamenti illegittimi e, come tale, conoscibile ex ante – alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico.
Come questa, infatti, risultava idonea ad evitare la rinuncia – al diritto irrinunciabile alla retribuzione – implicita nel mancato esercizio dello stesso diritto - per timore (metus) del licenziamento - in difetto di tutela adeguata contro i licenziamenti illegittimi, equivalente cioè alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico.

1.3. Coerentemente, la riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria – in quanto ne risultava investita, appunto, la reintegrazione nel posto di lavoro – ha posto il problema della permanenza - per il rapporto di lavoro privato - di una tutela equivalente alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico, (anche) ai fini della decorrenza – in costanza di rapporto – della prescrizione dei crediti retributivi.

1.4.Nel contrasto di dottrina e giurisprudenza di merito , la Corte di cassazione - appena investita del problema prospettato (dieci anni dopo l’insorgenza!) – ne accoglieva immediatamente la soluzione negativa, senza incorrere nelle perplessità iniziali di altre occasioni.
Il probabile consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale – finora espresso da due sentenze gemelle monozigote, per così dire, della sezione lavoro della Corte di cassazione , decise nella stessa camera di consiglio in conformità delle conclusioni del Pubblico ministero – pare ragionevolmente prevedibile alla luce della loro motivazione .
Non ne risulta trascurato, infatti, nessuno dei profili problematici - emersi nel precedente dibattito sul medesimo tema – riproposti, peraltro, nel convegno preparatorio, organizzato dalla stessa Corte immediatamente prima delle decisioni.
Né sembrano prive di rilievo, da un lato, l’autorevolezza delle decisioni – talora desunta dalla formazione rafforzata del collegio giudicante, presieduto al presidente titolare della sezione lavoro della Corte - e, dall’altro, la condivisione della soluzione - accolta dalla Corte di cassazione - da parte della dottrina prevalente immediatamente successiva.


1.5. Agevoli risultano, a questo punto, brevi note conclusive ed ipotesi di prospettiva.
Identificazione delle residue ipotesi di stabilità nel rapporto di lavoro privato – dopo il tramonto della tutela reale statutaria – si coniuga con quella dei diritti soggettivi del lavoratore, ai quali trova applicazione la giurisprudenza costituzionale in tema di decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto.
Palese risulta, poi, la coerenza della soluzione – accolta dalla stessa giurisprudenza, nella lettura proposta dalla Corte di cassazione – con la funzione dell’istituto della prescrizione, da un lato, e con il bilanciamento tra gli interessi contrapposti di datore e prestatore di lavoro, dall’altro, senza precludere al legislatore, tuttavia, la possibilità di stabilire in alcuni casi – a favore del lavoratore – la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla sua stabilità (vedi infra).
Resta da domandarsi, infine, se – nella soggetta materia - ci sia ancora spazio, da un lato, per una nuova rimessione alla Corte costituzionale e, dall’altro, per l’intervento – tuttora invocato – del legislatore.
La risposta non può che essere negativa (vedi infra).
Valga, tuttavia, il vero

 

2.Segue: dalla stabilità nel rapporto lavoro pubblico alla equivalente tutela reale statutaria per il lavoro privato.

2.1. In principio, è la stabilità del rapporto di lavoro.
Infatti appare evidente – è la Corte di cassazione a sottolinearlo, in coerenza con le univoche suggestioni della giurisprudenza costituzionale - che essa “si fondi su una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo” e, nel contempo, essa “si saldi con la decorrenza della prescrizione – ai sensi del combinato disposto degli artt. 2935 e (in particolare) 2948, n. 4 c.c. (nella sua lettura costituzionalmente legittima) – nel corso del rapporto – mano a mano che maturino i diritti che il lavoratore possa far valere – essa decorrendo invece dalla sua cessazione, qualora non vi sia stabilità del rapporto”.
Tuttavia pare assumere rilievo determinante – al fine della soluzione del problema, che ci occupa, concernente la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi, in costanza di rapporto di lavoro privato, dopo la riforma in peius (per i lavoratori) della tutela reale statutaria – la possibilità, affidata al giudice, di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo.

2.2.E’ ben vero, infatti, che la stabilità del rapporto di lavoro pubblico viene ritenuta comprensiva – del rapporto alle dipendenze di enti pubblici economici – sulla base delle “garanzie di stabilità assicurate, nella regolamentazione organica o nella disciplina collettiva, dalla fine del rapporto soltanto per cause precise e determinate”.
E’ ben vero, altresì, che la equivalenza della tutela reale statutaria – alla stabilità del rapporti di lavoro pubblici – riposa sulla “sussistenza di garanzie che si possano ritenere equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi", verificandosi siffatta analogia - in quei rapporti di lavoro, ai quali siano applicabili le leggi n. 604 del 15 luglio 1966, L. n. 300 del 20 maggio 1970 - "di cui la seconda deve considerarsi necessaria integrazione della prima, dato che una vera stabilità non si assicura se all'annullamento dell'avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare” .
Coerente risulta, poi, il principio – enunciato dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione , seguito dalla costate giurisprudenza successiva – “di non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro solo per quei rapporti non assistiti dalla garanzia della stabilità: dovendosi ritenere stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo. Il che, se per la generalità dei casi coincide(va) attualmente con l'ambito di operatività della L. n. 300 del 20 maggio 1970, (dati gli effetti attribuiti dall'art. 18 all'ordine di riassunzione, ben più incisivi di quelli previsti dal L. n. 604 del 15 luglio 1966, art. 8), può anche realizzarsi ogni qual volta siano applicabili le norme del pubblico impiego o leggi speciali o specifiche pattuizioni che diano al prestatore d'opera una tutela di pari intensità”.

2.3. Tuttavia la permanenza della stabilità del rapporto di lavoro privato – dopo la riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria – riposa sulla permanenza, appunto, della reintegrazione quale “forma di tutela ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo "contro ogni forma illegittima di risoluzione".

 

3.Segue: riforma in peius – per i lavoratori – della tutela reale statutaria e problema di permanenza della stabilità del rapporto di lavoro privato ai fini della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi in costanza di rapporto.
3.1.La riforma in peius - per i lavoratori - della tutela reale statutaria ha comportato il passaggio da un’automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria – per ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento – ad una applicazione selettive delle tutele, in esto alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie – di accertamento, cioè, della legittimità del licenziamento o della natura di illegittimità – e di conseguente selezione della sanzione applicabile – tra reintegratoria e risarcitori ovvero soltanto risarcitoria – con la selezione ulteriore – per la sanzione risarcitoria – tra misura c.d. "piena" o "forte", ovvero "attenuata" o "debole".
3.2.In altri termini, nel caso in cui esuli la giustificazione del licenziamento, il giudice – a seguito della riforma della tutela reale statutaria – deve, quindi, svolgere - al fine di individuare la tutela applicabile – “una ulteriore disamina sulla sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dall'art. 18, comma 4 (delle statuto dei lavoratori novellato) per accedere alla tutela reintegratoria ("insussistenza del fatto contestato" ovvero fatto rientrante "tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili"): dovendo, in assenza, applicare il regime (risarcitorio) dettato dal comma 5 dell'art. 18, "da ritenersi espressione della volontà del legislatore di attribuire alla cd. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale" (ancora Cass. s.u. 27 dicembre 2017, n. 30985, in motivazione, p.to 10.)”.
Sulla base di tali premesse, la Corte di cassazione perviene alle conclusioni seguenti (punto 7.2):
“Al di là della natura eccezionale o meno della tutela reintegratoria, non è seriamente controvertibile che essa, rispetto alla tutela indennitaria e tanto più per effetto degli D.Lgs. n. 23 del 2015 artt. 3 e 4, abbia ormai un carattere recessivo”.
3.3. “Ne' tale quadro normativo si è qualitativamente modificato a seguito delle recenti pronunce della Corte Costituzionale , con le quali è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del novellato testo della legge n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, nelle parti in cui prevedeva, ai fini di reintegrazione del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, l'insussistenza "manifesta" del fatto posto alla base del recesso (Corte Cost. 7 aprile 2022, n. 125) e che il giudice potesse, ma non dovesse (dovendosi leggere "può" come "deve"), disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Corte Cost. 24 febbraio 2021, n. 59)”.
Lo stabilisce la Corte di cassazione in base al rilievo – coerente con l’univoco significato della stessa giurisprudenza costituzionale – che “ tali pronunce hanno certamente esteso le ipotesi in cui può essere disposta la reintegrazione, ma non hanno reso quest'ultima la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione".
A conclusioni sostanzialmente non dissimili la Corte di cassazione perviene – parimenti in coerenza con l’univoco significato della stessa giurisprudenza costituzionale – con riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 26 settembre 2018, n. 194, Considerato in diritto, p.to 12.3). che ha ritenuto l'indennità risarcitoria (prevista dal D.Lgs. n. 23 del 2015 art. 3, comma 1) idonea "a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un'adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente" .
Neanche tale sentenza, infatti, modifica il quadro normativo, quale risulta all’esito della riforma della tutela reale statutaria - rileva la Corte di cassazione, a conclusione di un articolato iter argomentativo – “anzi lo conferma nell'adeguatezza dell'indennità risarcitoria, come resa costituzionalmente legittima - quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore - accanto alla reintegrazione, pertanto non più forma di tutela ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo contro ogni forma illegittima di risoluzione".
Coerente ne risulta l’incidenza sulla decorrenza – in costanza del rapporto di lavoro privato – della prescrizione di crediti retributivi.

 

4.Segue: dal contrasto di dottrina e giurisprudenza di merito alla soluzione negativa della Corte di cassazione del problema - di permanenza della stabilità del rapporto di lavoro privato - dopo la riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria.

4.1.E’ stata la Corte costituzionale a stabilire, per quanto si è detto, la equivalenza della tutela reale statutaria – in quanto connotata, essenzialmente, dalla reintegrazione nel posto di lavoro quale regola applicabile a tutti il licenziamenti illegittimi e, come tale, conoscibile ex ante – alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico.
Di conseguenza, la decorrenza della prescrizione, in costanza di rapporto di lavoro, trova applicazione – come pure è stato anticipato - “ogni qual volta siano applicabili norme del pubblico impiego o leggi speciali o specifiche pattuizioni che diano al prestatore d’opera una tutela di pari intensità”.
Come la stabilità del rapporto di lavoro pubblico, infatti, la tutela reale statutaria – come ogni altra tutela di pari intensità - risulta idonea ad evitare la rinuncia – al diritto irrinunciabile alla retribuzione – implicita nel mancato esercizio dello stesso diritto - per timore (metus) del licenziamento - in difetto di tutela adeguata contro i licenziamenti illegittimi, equivalente – appunto - alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico.
Coerentemente, la riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria – in quanto ne risultava investita, appunto, la reintegrazione nel posto di lavoro – ha posto il problema della permanenza - per il rapporto di lavoro privato - di una tutela equivalente alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico, (anche) ai fini della decorrenza – in costanza di rapporto – della prescrizione dei crediti retributivi.

 

4.2.Nel contrasto di dottrina e giurisprudenza di merito , la Corte di cassazione - appena investita del problema prospettato (dieci anni dopo l’insorgenza!) – ne accoglieva immediatamente la soluzione negativa.
Il probabile consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale – finora espresso da due sentenze della sezione lavoro della Corte di cassazione, decise nella stessa camera di consiglio in conformità delle conclusioni del Pubblico ministero – pare ragionevolmente prevedibile.
Risulta, infatti, coerente con la giurisprudenza costituzionale.
Peraltro non trascura – come pure è stato anticipato – nessuno dei profili problematici - emersi nel precedente dibattito sul medesimo tema – riproposti, nel convegno preparatorio organizzato dalla stessa Corte di cassazione immediatamente prima delle decisioni.
Né sembrano prive di rilievo, da un lato, l’autorevolezza delle decisioni – talora desunta dalla formazione rafforzata del collegio giudicante, presieduto al presidente titolare della sezione lavoro della Corte - e, dall’altro, la condivisione della soluzione - accolta dalla Corte di cassazione - nella scarsa dottrina prevalente immediatamente successiva.

4.3.Il diritto alla retribuzione è, bensì, soggetto a prescrizione - anche perché non indisponibile - ma non è rinunciabile.
Lo stabilisce la corte costituzionale – fin dalla prima sentenza nella soggetta materia (n. 63 del 1966, cit.) – ricavando l’enunciato principio di irrinunciabilità della retribuzione, appunto, dalla “speciale garanzia che deriva dall'art. 36 della Costituzione”.
E la garanzia di irrinunciabilità della retribuzione – anche al disopra, tuttavia, della contestuale garanzia di proporzionalità e sufficienza - palesemente osta, secondo la stessa Corte costituzionale, alla rinuncia, che – in “un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico” – risulta implicita nel mancato esercizio del diritto per timore del licenziamento.
In coerenza con la giurisprudenza costituzionale, la Corte di cassazione ritiene che “una vera stabilità non si assicura se all'annullamento dell'avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare" (Corte Cost. 12 dicembre 1972, n. 174, Considerato in diritto, p.to 3)”.
E perviene alla - già anticipata - conclusione che la riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria ha comportato il “passaggio da un'automatica applicazione (………), ad ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento, della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza (……) ad un' applicazione selettiva delle tutele, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (…….) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria)”.

4.3.Ora è proprio la “reintegrazione (…) non più forma di tutela ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo "contro ogni forma illegittima di risoluzione" – come tale conoscibile ex ante – a radicare il metus del licenziamento – che può indurre alla rinuncia, implicita nel mancato esercizio, del diritto alla retribuzione – ancorché la reintegrazione nel posto di lavoro resti – anche dopo la riforma della tutela reale statutaria – una delle forme alternative di tutela, appunto, contro i licenziamenti illegittimi.
Né rileva, in contrario, la reintegrazione – anche dopo la riforma della tutela reale statutaria – contro il licenziamento ritorsivo, sul quale pare radicato – per quanto si è detto - il metus di licenziamento nei rapporti di lavoro non assistiti da stabilità.
La Corte di cassazione si discosta così dalla tesi - in senso contrario - espressa in dottrina.

4.4.“Non costituisce, infatti, garanzia sufficiente – osserva la Corte di cassazione - il mantenimento della tutela reintegratoria (……….) per il licenziamento (……..) ritorsivo, sul presupposto di un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 c.c. (……..)”.
La individuazione del regime di stabilità, in tal caso, sopravviene ad “una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all'esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post: così affidandone l'identificazione, o meno, al criterio del "caso per caso", rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale”.
Ne esula, pertanto, la conoscibilità ex ante della stabilità, all’evidenza indefettibile – per quanto si è detto – per escludere il metus del licenziamento
“In via conclusiva – ritiene la Corte di cassazione - deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità”.
Tanto basta per sorreggere la soluzione accolta dalla Corte di cassazione.
Non può essere trascurato, tuttavia, che la nullità del licenziamento ritorsivo, con prosecuzione del rapporto di lavoro, senza ordine di reintegrazione (allora ignoto al nostro ordinamento) – pure essendo già prevista (dal codice civile) nel vigore della recedibilità ad nutum del datore dal rapporto di lavoro privato - non abbia impedito alla Corte costituzionale (sentenza 63 del 1966) di limitare - al lavoro pubblico - la stabilità che consente la decorrenza, in costanza di rapporto, della prescrizione di crediti retributivi.

 

 

5.Segue: conclusioni e prospettive.

Agevoli risultano, a questo punto – come è stato anticipato - brevi note conclusive ed ipotesi di prospettiva.

5.1. Intanto l’identificazione delle residue ipotesi di stabilità – nel rapporto di lavoro privato, dopo il tramonto della tutela statutaria – si coniuga con quella dei diritti soggettivi del lavoratore, ai quali trova applicazione la giurisprudenza costituzionale in tema di decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto.

5.2.La stabilita del rapporto di lavoro pubblico – che consente la decorrenza, in costanza di rapporto, della prescrizione di crediti retributivi – trova applicazione, per quanto si è detto, "in tutti i casi di sussistenza di garanzie che si possano ritenere equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi".
Coerentemente, la tutela reale statutaria – equivalente, appunto, alla stabilita del rapporto di lavoro pubblico – ha consentito la decorrenza, in costanza di rapporto, della prescrizione di crediti retributivi – fino alla data di entrata in vigore della legge Fornero (18 luglio 2012) – dalla quale la prescrizione decorre, per i crediti non prescritti a quella data (ovviamente), solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

 

5.3. La riforma in peius, per i lavoratori, della tutela reale statutaria ha comportato, bensì, il tramonto della stabilità – che ne risultava garantita al rapporto di lavoro privato – senza escludere, ovviamente, che la stessa garanzia possa essere assicurata – come per il rapporto di lavoro pubblico – da “leggi speciali o specifiche pattuizioni (che) diano al prestatore d’opera tutela di pari intensità.”.
Rientra, fra tali ipotesi, la tutela reale convenzionale, che viene talora prevista espressamente – in sede di contratto collettivo o individuale – per i dirigenti – allo scopo di derogarne la esclusione dalle tutele legali (obbligatoria e reale) contro i licenziamenti illegittimi (art. 10 legge 604 del 1966) - e, proprio per questo, idonea a garantire stabilità - al rapporto li lavoro privato – anche al fine della decorrenza, in costanza di rapporto, della prescrizione di crediti retributivi.

5.4.Solo per i crediti retributivi, poi, è stata prevista – fin da corte costituzionale n. 63 del 1966 – la decorrenza della prescrizione, in costanza di rapporto, se assistito da stabilità.
Ciò non esclude, tuttavia, che la stessa conclusione si debba pervenire con riferimento ad altri diritti del lavoratore, che risultino parimenti irrinunciabili.
Resta, in tal caso, il problema se a tale conclusone si possa pervenire – a prescindere da un nuovo intervento della Corte costituzionale – avendone l’esaminata giurisprudenza (a partire da corte costituzionale n. 63 del 1966) investito la disciplina della prescrizione – in relazione ai crediti retributivi, perché irrinunciabili – anziché la disciplina degli stessi crediti.
Pare certa, invece, la esclusione – dalla decorrenza della prescrizione, in costanza di rapporto, per i rapporti di la pubblico o parimenti stabili - dei diritti del lavoratore non irrinunciabili.
Rientra tra questi – è la stessa Corte costituzionale a stabilirlo - “il diritto ad una qualifica maggiore (….) autonomo e distinto - da quello della retribuzione per attività lavorative effettivamente prestate - e rispetto al quale, in forza della più volte citata sentenza n. 63 del 1966, il decorso della prescrizione di cui agli artt. 2948, n. 5; 2955, n. 2, e 2956, n. 1, inizia dalla cessazione del rapporto lavorativo”.
Infatti – motiva la stessa Corte costituzionale - “la prescrizione non decorre durante il rapporto di lavoro, solo quando si tratti di prestazioni lavorative che godono della speciale garanzia di cui all'art. 36 della Costituzione, il quale non consente alcuna rinunzia del diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato”.
Da tale pronuncia della Corte costituzionale – affatto estranea al thema decidendum delle due sentenze, gemelle monozigote per così dire, della corte di cassazione, fin qui esaminate – si discosta, inconsapevolmente, una recentissima sentenza di merito , che dichiara di aderire alla giurisprudenza della Corte di cassazione, sebbene questa non riguardi – per quanto di è detto . il diritto a qualifica superiore, oggetto di quel giudizio di merito

5.5.Palese risulta, poi, la coerenza della soluzione – accolta dalla esaminata giurisprudenza costituzionale, nella lettura che ne viene proposta dalla Corte di cassazione – con la funzione dell’istituto della prescrizione, da un lato, e con il bilanciamento tra gli interessi contrapposti di datore e prestatore di lavoro, dall’altro,senza precludere al legislatore, tuttavia, la possibilità di stabilire in alcuni casi – a favore del lavoratore – la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla sua stabilità .

5.6. La prescrizione, quale modalità generale di estinzione dei diritti per mancato esercizio, è “istituto che invera il principio di certezza del diritto, in riferimento particolare alla sua decorrenza, ossia al momento in cui il diritto medesimo possa essere fatto valere” – esordisce, testualmente, la Corte di cassazione - e. come tale, “principio di affidabilità (….) sull'effettività dei diritti e sulla loro tutela, sulle relazioni familiari e sociali, sulle transazioni economiche e finanziarie”, con palesi ricadute “sulla stessa attrattività di uno Stato, per investimenti e iniziative di intrapresa economica in senso lato, in un sistema di relazioni e di scambi internazionali da tempo strettamente interconnesso, nella crescente contendibilità tra ordinamenti, soprattutto nel mondo del lavoro e del e imprese”.
“Se questo è allora il tema - conclude la Corte di cassazione - occorre che sia garantita una conoscenza, in termini di generalità e di sicura predeterminazione, di quali siano le regole che presiedono all'accesso dei diritti, alla loro tutela e alla loro estinzione”.
In altri termini, “il criterio di individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione dei diritti del lavoratore deve soddisfare un'esigenza di conoscibilità chiara predeterminata e di semplice identificazione.”.
Ne risulta, quindi palese la coerenza della soluzione – accolta dalla esaminata giurisprudenza costituzionale, nella lettura che ne viene proposta dalla Corte di cassazione – con la funzione dell’istituto della prescrizione.

5.7.Peraltro la stessa soluzione – accolta dalla esaminata giurisprudenza costituzionale, appunto, nella lettura che ne viene proposta dalla Corte di cassazione – realizza, altresì, un ragionevole bilanciamento tra gli interessi contrapposti di datore e prestatore di lavoro, senza precludere al legislatore, tuttavia, la possibilità di stabilire in alcuni casi – a favore del lavoratore – la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla sua stabilità .

5.8. Infatti la stabilità del rapporto – id est la cosiddetta rigidità in uscita – risulta, palesemente, nell’interesse del lavoratore e contro l’interesse del datore di lavoro.
Mentre la decorrenza, in costanza di rapporto di lavoro, della prescrizione di crediti retributivi (o di altri diritti parimenti irrinunciabili) – che la stabilità consente - risulta nell’interesse del datore di lavoro e contro l’interesse del lavoratore.
Il venir meno o, comunque, il ridimensionamento della stabilità – id est una maggiore flessibilità in uscita – risulta, poi, nell’interesse del datore di lavoro e contro ,’interesse del lavoratore.
Mentre la decorrenza della prescrizione degli stessi diritti del lavoratore solo dalla fine del rapporto – che la flessibilizzazione comporta – risulta, invece, nell’interesse del lavoratore e contro l’interesse delcatore di lavoro.
Ciò non preclude al legislatore, tuttavia, la possibilità di stabilire in alcuni casi – a favore del lavoratore – la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla sua stabilità .
E’ questo il caso dei crediti di lavoro nautico ed aeronautico - per i quali la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro (art. 373 e 937 c. nav.), a prescindere dalla sua stabilità – senza porsi in contrasto con la costituzione.
E’ la Corte costituzionale a stabilirlo con sentenza che risulta così massimata: “Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli art. 373 e 937 c. nav., nella parte in cui, nel disporre che i diritti derivanti dal contratto di lavoro del personale della navigazione o di volo si prescrivono col decorso del termine di due anni dal giorno dello sbarco nel porto di arruolamento o nel luogo di assunzione, successivamente alla cessazione o alla risoluzione del rapporto, non prevedono che, in caso di rapporto di lavoro assistito da tutela reale, il termine di prescrizione decorra in costanza di rapporto, in riferimento agli art. 3 e 24 cost.”.

5.9.Resta da domandarsi, infine, se – nella soggetta materia - ci sia ancora spazio, da un lato, per una nuova rimessione alla Corte costituzionale e, dall’altro, per l’intervento – tuttora invocato – del legislatore.
La risposta – come è stato anticipato – non può che essere negativa.

 

5.10. L’efficacia della giurisprudenza costituzionale (art. 136 cost.) – come interpretate dalla Corte di cassazione – non sembra lasciare spazio a pronunce, di segno contrario o diverso, della stessa Corte costituzionale.
Mentre il legislatore – oltre alla legificazione , palesemente superflua, della giurisprudenza costituzionale – non potrebbe, all’evidenza, contrastare l’approdo della stessa giurisprudenza – senza porsi in contrasto con la sua efficacia – risolvendosi in una birichinata improduttiva di qualsiasi effetto giuridico.
5.11. Siamo, dunque, arrivati al finale di partita.
Ma – come nella omonima pièce beckettiana – resta, ancora, qualcuno che non si rassegna alla inevitabile sconfitta.

 

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