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SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
7 marzo 2018 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Lavoro a tempo determinato – Contratti conclusi con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico – Misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato – Principi di equivalenza e di effettività»
Nella causa C 494/16,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Trapani (Italia), con ordinanza del 5 settembre 2016, pervenuta in cancelleria il 15 settembre 2016, nel procedimento
Giuseppa Santoro
contro
Comune di Valderice,
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, C.G. Fernlund, J. C. Bonichot, A. Arabadjiev (relatore) e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: R. Schiano, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 luglio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
– per G. Santoro, da S. Galleano, V. De Michele, M. De Luca ed E. De Nisco, avvocati;
– per il comune di Valderice, da G. Messina, avvocato;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Bellis, vice avvocato generale dello Stato, nonché da C. Colelli e G. D’Avanzo, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da G. Gattinara e M. van Beek, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 ottobre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).
2 Questa domanda è stata presentata nel quadro di una controversia tra la sig.ra Giuseppa Santoro e il comune di Valderice (Italia), in merito alle conseguenze da trarre da una successione di contratti di lavoro a tempo determinato conclusi tra l’interessata e detto comune.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Conformemente alla clausola 1 dell’accordo quadro, quest’ultimo ha l’obiettivo, da un lato, di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.
4 La clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», è del seguente tenore:
«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati “successivi”;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
Diritto italiano
5 L’articolo 97 della Costituzione impone alle pubbliche amministrazioni di assumere personale solo a seguito di concorso.
6 Come emerge dal fascicolo a disposizione della Corte, l’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368 – Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235, del 9 ottobre 2001), nella versione vigente all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, così dispone:
«Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini».
7 A termini dell’articolo 5, comma 4 bis, del medesimo decreto legislativo:
«Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2 (...)».
8 Ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 165/2001»):
«1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (...)
2. Per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti (…).
(…)
5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.
(…)
5 quater. I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato».
9 L’articolo 32, comma 5, della legge del 4 novembre 2010, n. 183 – Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (supplemento ordinario alla GURI n. 262, del 9 novembre 2010; in prosieguo: la «legge n. 183/2010»), così dispone:
«Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604».
10 Ai sensi dell’articolo 8 della legge del 15 luglio 1966, n. 604 – Norme sui licenziamenti individuali (GURI n. 195, del 6 agosto 1966):
«Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendente da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
11 Dal 1996 al 2002 la sig.ra Santoro ha prestato attività lavorativa come lavoratore socialmente utile in favore del comune di Valderice e, poi, è stata impiegata presso il medesimo comune con contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino al 2010. Il 4 ottobre 2010, l’interessata ha stipulato con tale comune un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, con scadenza al 31 dicembre 2012. Questo contratto è stato prorogato per tre volte, sino al 31 dicembre 2016, ossia per una durata complessiva di quattro anni.
12 La sig.ra Santoro ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Trapani (Italia), chiedendo, in particolare, di far accertare il carattere abusivo di detti contratti a tempo determinato, di condannare il comune di Valderice a risarcire il danno sofferto in forma specifica, ordinando la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, di condannare detto comune a concederle un risarcimento del danno in forma monetaria retribuendola e trattandola, sotto il profilo giuridico, in modo identico a un lavoratore a tempo indeterminato di detto comune avente la sua stessa anzianità di servizio.
13 Conformemente all’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, la violazione, da parte della pubblica amministrazione, del divieto di concludere reiteratamente un contratto di lavoro a tempo determinato non può dar luogo alla trasformazione di detto contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato. Di conseguenza, un lavoratore quale la sig.ra Santoro può esigere unicamente il risarcimento del danno subito, il quale sarebbe limitato, ai sensi dell’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010, al pagamento di un’indennità onnicomprensiva in misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto di detto lavoratore. In base alle considerazioni del giudice del rinvio, detto risarcimento si sostituirebbe unicamente alle retribuzioni che sarebbero state percepite da detto lavoratore «nelle more» dell’accertamento delle sue ragioni.
14 Il Tribunale di Genova (Italia) aveva chiesto alla Corte di chiarire se il divieto di convertire in contratti di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato conclusi con la pubblica amministrazione fosse compatibile con il diritto dell’Unione. Nella sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517, punto 57), la Corte ha risposto a tale questione dichiarando che detto divieto non è incompatibile con le clausole dell’accordo quadro, purché l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato preveda l’applicazione di «un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico».
15 A seguito di tale sentenza, il Tribunale di Genova ha accordato ai lavoratori danneggiati non solo un risarcimento equivalente ad almeno cinque mensilità, ma anche un’«indennità sostitutiva della reintegrazione» equivalente a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto di detti lavoratori. Questa decisione è stata espressamente confermata dalla Corte d’appello di Genova (Italia), la quale ha giudicato che essa costituiva una risposta alla necessità di rafforzare la tutela dei lavoratori del settore pubblico, conformemente alla sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517).
16 Tuttavia, nella sua sentenza del 15 marzo 2016 (n. 5072/2016), la Corte suprema di cassazione (Italia) ha giudicato che, in caso di ricorso a contratti a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, ricorso illegale a causa del divieto posto dall’articolo 36, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001, a parte l’applicazione di procedure dirette a sanzionare i dirigenti responsabili, è unicamente previsto che il lavoratore danneggiato abbia diritto, oltre all’indennità forfettaria menzionata nel punto precedente, a un risarcimento del danno collegato alla «perdita di chance». Quest’ultima deriverebbe dal fatto che l’impiego a tempo determinato può aver fatto «perdere al lavoratore altre occasioni di lavoro stabile». Questo giudice ha considerato inadatto il rimedio adottato dal Tribunale di Genova, in quanto la persona che conclude un contratto con una pubblica amministrazione non può perdere un impiego che è ottenibile solo a seguito dell’esito positivo di un concorso.
17 Secondo il giudice del rinvio, questo elemento non è pienamente conforme ai principi ricavabili dalla sentenza della Corte del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517), tenuto conto, segnatamente, della disparità di trattamento esistente tra i lavoratori subordinati che concludono un contratto con una pubblica amministrazione e quelli che concludono un contratto di lavoro con un ente di diritto privato. Il giudice del rinvio si chiede pertanto se i primi non debbano godere di una misura non meno favorevole di quella di cui godono i secondi, ossia di un’indennità diretta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
18 È in tale contesto che il Tribunale di Trapani ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se rappresenti misura equivalente ed effettiva, nel senso di cui alle pronunce della Corte [del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517) e del 26 novembre 2014, Mascolo e a. (C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401)], l’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione (art[icolo] 32 [comma] 5, L. [n.] 183/2010) al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l’integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto.
2) Se il principio di equivalenza menzionato dalla Corte di [g]iustizia (fra l’altro) nelle [sentenze del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517), e del 26 novembre 2014, Mascolo e a. (C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401)], vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
19 Il governo italiano esprime dubbi sulla ricevibilità delle questioni proposte. Esso sostiene che la decisione del giudice del rinvio non descrive con chiarezza i fatti di cui al procedimento principale, dal momento che non precisa né il settore pubblico di attività in cui ha operato la ricorrente, né le mansioni ad essa attribuite.
20 In proposito, occorre rammentare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale che lo ponga in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenza del 12 novembre 2015, Hewlett-Packard Belgium, C 572/13, EU:C:2015:750, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
21 La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo quando risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha nessuna relazione con il contesto reale o con l’oggetto del procedimento principale, quando il problema è di natura teorica o ancora quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenze del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C 62/14, EU:C:2015:400, punto 25, nonché dell’8 settembre 2015, Taricco e a., C 105/14, EU:C:2015:555, punto 30).
22 Orbene, ciò non accade nel caso presente. Infatti, da un lato, la decisione di rinvio espone il contesto in fatto e in diritto in modo tale da consentire di determinare la portata delle questioni proposte. Il giudice del rinvio precisa, a tal riguardo, che la ricorrente nel procedimento principale ha lavorato per conto dello stesso datore di lavoro tra il 4 ottobre 2010 e il 31 dicembre 2016 in forza di una successione di contratti a tempo determinato, ed ha dichiarato di essere stato investito di domande basate sul ricorso abusivo a contratti a tempo determinato. Dall’altro, la domanda di pronuncia pregiudiziale fa emergere con chiarezza e illustra le ragioni che hanno indotto detto giudice a interrogarsi sull’interpretazione che occorra dare a determinate disposizioni del diritto dell’Unione, e a reputare necessario il fatto di sottoporre talune questioni pregiudiziali alla Corte. Infatti, detto giudice si chiede se l’indennità prevista dall’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010 costituisca una misura adeguata a risarcire il danno derivante dal ricorso abusivo a contratti a tempo determinato e sottolinea che la risposta a tale questione gli è necessaria al fine di statuire sulla controversia di cui al procedimento principale.
23 Di conseguenza, le questioni proposte sono ricevibili.
Nel merito
24 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, bensì prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato.
25 Occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v., segnatamente, sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C 212/04, EU:C:2006:443, punto 63; del 26 gennaio 2012, Kücük, C 586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonché del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C 362/13, C 363/13 e C 407/13, EU:C:2014:2044, punto 54).
26 Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione di almeno una delle misure che essa elenca, quando il loro diritto interno non contiene rimedi di legge equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 74 nonché giurisprudenza ivi citata).
27 Gli Stati membri dispongono, a tale riguardo, di un potere discrezionale, dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o più delle misure elencate in detta clausola 5, punto 1, lettere da a) a c), oppure a misure di legge esistenti ed equivalenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori specifici e/o di categorie di lavoratori (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).
28 In tal modo, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro fissa agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di abusi siffatti, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguirlo, purché essi non rimettano in discussione l’obiettivo o l’efficacia pratica dell’accordo quadro (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
29 Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).
30 Seppure, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere però meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).
31 Da ciò discende che, quando sia avvenuto un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, dev’essere possibile applicare una misura dotata di garanzie effettive ed equivalenti di protezione dei lavoratori per punire debitamente detto abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).
32 La Corte ha dichiarato che, dal momento che la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro non istituisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, né prescrive a quali precise condizioni si possa far ricorso a questi ultimi, essa lascia un certo potere discrezionale in materia agli Stati membri (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C 53/04, EU:C:2006:517, punto 47).
33 Da ciò discende che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, a seconda che tali contratti o rapporti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C 53/04, EU:C:2006:517, punto 48).
34 Tuttavia, affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C 53/04, EU:C:2006:517, punto 49).
35 Secondo la decisione di rinvio, l’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che la violazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle disposizioni relative al reclutamento o all’impiego di lavoratori non possa condurre all’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra dette amministrazioni e i lavoratori interessati, ma che questi ultimi abbiano diritto al risarcimento del danno sofferto. A tal riguardo, l’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010 prevede che, in caso di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato, il giudice condanni il datore di lavoro a versare al lavoratore interessato un’indennità globale compresa tra 2,5 e 12 mensilità della sua ultima retribuzione globale di fatto.
36 Dalla decisione di rinvio si ricava parimenti che, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, il lavoratore può anche chiedere il risarcimento del danno derivante dalla perdita di opportunità di impiego.
37 Il giudice del rinvio ritiene tuttavia che l’indennità prevista dall’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010 non costituisca una misura adeguata di risarcimento del danno derivante dal ricorso abusivo a contratti a tempo determinato, e che la prova richiesta della perdita di opportunità di impiego possa essere molto difficile, se non impossibile, da fornire. Infatti, sarebbe impossibile produrre la prova della perdita di opportunità di superamento di un concorso. Pertanto, la possibilità, per il lavoratore interessato, di dimostrare l’esistenza di un danno derivante da una siffatta perdita di opportunità sarebbe puramente teorica. Secondo detto giudice, dunque, non si potrebbe escludere che le disposizioni di diritto interno che disciplinano la valutazione del danno siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte di detto lavoratore, dei diritti che gli sono attribuiti dall’ordinamento dell’Unione, segnatamente del suo diritto al risarcimento del danno sofferto a causa del ricorso abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
38 Ciò posto, conformemente alle considerazioni enunciate nel punto 30 della presente sentenza, occorre verificare se le disposizioni nazionali in questione nel procedimento principale rispettino i principi di equivalenza e di effettività.
39 Per quanto concerne, da un lato, il principio di equivalenza, occorre ricordare che da esso discende che gli individui che fanno valere i diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione non devono essere svantaggiati rispetto a quelli che fanno valere diritti di natura meramente interna.
40 Orbene, come rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi 32 e 33 delle sue conclusioni, analogamente alle misure adottate dal legislatore nazionale nel quadro della direttiva 1999/70, al fine di sanzionare l’uso abusivo dei contratti a tempo determinato da parte dei datori di lavoro del settore pubblico, quelle adottate da detto legislatore per sanzionare l’uso abusivo di tale tipo di contratti da parte dei datori di lavoro del settore privato attuano il diritto dell’Unione. Di conseguenza, le modalità proprie di questi due tipi di misure non possono essere comparate sotto il profilo del principio di equivalenza, in quanto tali misure hanno ad oggetto l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.
41 Pertanto, la Corte non dispone di elementi che consentano di dubitare della compatibilità delle disposizioni in questione nel procedimento principale con il principio di equivalenza.
42 Del resto, come già ricordato nel punto 33 della presente sentenza, la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi una sorte diversa al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, a seconda che detti contratti o rapporti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.
43 Per quanto riguarda, dall’altro, il principio di effettività, dalla giurisprudenza della Corte si ricava che al fine di accertare se una norma processuale nazionale renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai soggetti dell’ordinamento dal diritto dell’Unione si deve tener conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, nonché dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si devono prendere in considerazione, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication, C 426/05, EU:C:2008:103, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 29 ottobre 2009, Pontin, C 63/08, EU:C:2009:666, punto 47).
44 Pertanto, occorre esaminare se, conformemente alle sentenze del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (C 53/04, EU:C:2006:517), e del 26 novembre 2014, Mascolo e a. (C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401), il diritto nazionale preveda un’altra misura effettiva destinata ad evitare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, ma anche per sanzionare debitamente detto abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione. In tale contesto, occorre tener conto del complesso delle disposizioni previste dal legislatore nazionale, ivi compresi, conformemente alla giurisprudenza ricordata nel punto 34 della presente sentenza, i meccanismi sanzionatori.
45 Non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i principi ricordati nei tre punti precedenti siano soddisfatti dalle disposizioni della pertinente normativa nazionale. Tuttavia la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua valutazione.
46 Orbene, quest’ultimo chiede se i lavoratori del settore pubblico debbano godere, oltre all’indennità forfettaria prevista dall’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010, di un provvedimento non meno favorevole di quello di cui godono i lavoratori del settore privato, consistente in un’indennità diretta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
47 Tuttavia, come ricordato nel punto 32 della presente sentenza, in un’ipotesi come quella di cui al procedimento principale, gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola 5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato. Di conseguenza, non può nemmeno essere loro imposto di concedere, in assenza di ciò, un’indennità destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto.
48 Il giudice del rinvio rileva peraltro che il risarcimento di tale danno sarebbe puramente teorico, poiché non sarebbe possibile determinare in che modo il lavoratore interessato possa far valere un diritto al risarcimento del danno sofferto qualora, in particolare, l’amministrazione avesse organizzato un concorso oppure egli avesse beneficiato di proposte di lavoro a tempo indeterminato.
49 A questo proposito, il governo italiano sostiene che i giudici nazionali adottano criteri di particolare favore sia nell’accertamento che nella liquidazione del danno derivante dalla perdita di opportunità di lavoro, richiedendo la sola dimostrazione in via presuntiva della perdita non di un vantaggio, ma della mera possibilità di conseguirlo e provvedendo alla liquidazione del danno sofferto, anche in mancanza di elementi concreti di prova prodotti dal lavoratore interessato.
50 Tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione dell’esistenza di una perdita di opportunità, occorre constatare che il ricorso a presunzioni dirette a garantire a un lavoratore, che abbia sofferto, a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione, una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è tale da soddisfare il principio di effettività.
51 Ad ogni modo, la circostanza che il provvedimento adottato dal legislatore nazionale per sanzionare l’uso abusivo di contratti a tempo determinato da parte dei datori di lavoro del settore privato costituisca la tutela più ampia che possa essere riconosciuta a un lavoratore non può, di per sé, avere come conseguenza quella di attenuare il carattere effettivo delle misure nazionali applicabili ai lavoratori rientranti nel settore pubblico.
52 A questo riguardo, dal fascicolo a disposizione della Corte si evince che la normativa nazionale prevede altre misure destinate a prevenire e sanzionare il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato. Difatti, l’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 dispone che le amministrazioni sono tenute a recuperare, nei confronti dei dirigenti responsabili, le somme pagate ai lavoratori a titolo di risarcimento del danno sofferto a causa della violazione delle disposizioni relative al reclutamento o all’impiego, quando detta violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Una siffatta violazione dovrebbe essere inoltre presa in considerazione ai fini della valutazione dell’operato di detti dirigenti i quali, a causa della citata violazione, non potrebbero ottenere un premio di risultato. Inoltre, l’articolo 36, comma 6, di detto decreto legislativo prevede che le amministrazioni pubbliche che abbiano agito in violazione delle norme relative al reclutamento o all’impiego non possano procedere, a nessun titolo, ad assunzioni nei tre anni successivi a detta violazione.
53 Spetta al giudice nazionale verificare se tali elementi, vertenti sulle sanzioni che possono essere pronunciate nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei loro dirigenti in caso di ricorso abusivo a contratti a tempo determinato, rivestano un carattere effettivo e dissuasivo tale da garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro.
54 Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre risolvere le questioni proposte dichiarando che la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulle spese
55 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Silva de Lapuerta
Fernlund
Bonichot
Arabadjiev
Rodin
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 marzo 2018.
Il cancelliere
A. Calot Escobar
Il presidente della Prima Sezione
R. Silva de Lapuerta
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( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.