testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa.
Se c’è un istituto che fatica a trovare il proprio posto nel nostro ordinamento, questo è proprio il lavoro occasionale; ciò appare lampante se solo si pone mente all’imponente numero di rimaneggiamenti a cui il legislatore lo ha sottoposto (tra cui l’ultimo avvenuto proprio per mano del c.d. “decreto lavoro” qui in commento ).
Pur senza volersi soffermare sulla evoluzione storica della figura (di cui si è già dato conto analiticamente altrove ), pare opportuno ricordare che il lavoro occasionale, introdotto nel nostro sistema giuridico per mano del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 sotto il nome di “prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti” , (con il mero intento di far emergere – e dare così una tutela minima – a tutta una serie di prestazioni di natura meramente occasionale e accessoria svolte da determinate categorie considerate deboli ed esclusivamente nell’ambito di limitati servizi volti all’aiuto familiare o di impatto sociale ), si è trovato nei vent’anni successivi stretto tra due tendenze opposte: la prima ad espandere l’istituto, la seconda invece a ridimensionarlo.
A grandi linee possiamo dire che la fase espansiva, seppur con qualche “retromarcia” , si è sviluppata durante il primo decennio di vigenza dell’istituto attraverso interventi (diretti e indiretti) dapprima sugli artt. 70-73 del d.lgs. n. 276/2003 e poi sugli artt. 48-50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 che hanno preso il posto delle norme del 2003 .
Così facendo, tuttavia, il lavoro occasionale ha cessato di essere uno strumento marginale, assurgendo a figura utilizzabile da parte di qualunque lavoratore presso qualunque datore di lavoro, anche di carattere imprenditoriale o pubblico) sulla base di limiti temporali e di guadagno assai “fluidi”.
Da qui l’esigenza di un ridimensionamento dell’istituto al fine di evitare il rischio di una sua definitiva uscita di scena per mano del referendum abrogativo richiesto dalla CGIL a causa proprio del suo ruolo di “concorrente sleale” rispetto ad altre, e ben più protette, tipologie contrattuali .
Il legislatore ha così deciso di abrogare l’istituto (con il d.l. 17 marzo 2017, n. 25 conv. senza mod. in l. 20 aprile 2017, n. 49 ) prima che il suddetto referendum avesse luogo, per sostituirlo con una figura più “innocua”, tuttora vigente: le oramai note “prestazioni occasionali” disciplinate all’art. 54-bis del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv. con mod. in l. 21 giugno 2017, n. 96.
Il ridimensionamento è stato tuttavia tale da privare completamente la figura di appeal, tanto da finire di lì a poco per essere oggetto di una interrogazione parlamentare volta a conoscere quale fosse l’indirizzo che l’esecutivo intendesse intraprendere “a fronte del […] fallimentare impatto della nuova disciplina” .
Da qui la necessità di tornare a valorizzare l’istituto attraverso nuovi interventi per così dire “rafforzativi” quali: l’art. 1, c. 368, l. 27 dicembre 2017, n. 205; l’art. 2-bis c. 1, d.l. 12 luglio 2018, n. 87, conv. con mod. in l. 9 agosto 2018, n. 96; l’art. 5 c. 1, d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104, nonchè l’art. 1 c. 342 e c. 343, l. 29 dicembre 2022, n. 197 e, da ultimo, l’art. 37 del d.l. 4 maggio 2023, n. 48, conv. con mod. in l. 3 luglio 2023, n. 85. Proprio di quest’ultimo si intende dare qui brevemente conto (lo si farà nel § 2) per poi mettere in luce (nel § 3), qualche criticità.
2. Le novità apportate all’istituto dal decreto lavoro e loro ratio.
A ben guardare, le novità apportate all’istituto dal decreto lavoro – in vigore dal 5 maggio 2023 – sono di due ordini.
In primis il decreto lavoro ha voluto privilegiare l’utilizzo della figura in ambiti caratterizzati da alti livelli di stagionalità, quali i settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento . Ciò è stato fatto prevedendo un innalzamento, da un lato, da 10.000 a 15.000 euro del limite massimo di spesa annua imposto a ciascun utilizzatore con riferimento alla totalità dei prestatori e, dall’altro, da 10 a 25 del numero massimo di lavoratori a tempo indeterminato che l’utilizzatore può avere alle proprie dipendenze per potersi avvalere del contratto di prestazione occasionale .
In secondo luogo , il decreto lavoro ha deciso di facilitare l’uso dei libretti famiglia rendendo possibile acquistarli – oltre che richiederne il pagamento immediato – non più solo negli uffici postali, ma anche, nelle rivendite di generi di monopolio , così come accadeva per i vecchi voucher.
Ciò chiarito occorre chiedersi quale sia la ratio sottesa a tali interventi.
A ben guardare, entrambi mirano allo stesso intento: provare ad allargare le maglie di un istituto che in seguito alla sua riscrittura ad opera dell’art. 54-bis del d.l. n. 50/2017 conv. con mod. in l. n. 96/2017, al fine di evitarne gli abusi, appare oggi talmente “moralizzato” da risultare completamente privo di attrattiva, come del resto dimostrano i dati. Se è vero infatti che nel 2015 e, cioè, al massimo dell’acme dell’istituto del lavoro occasionale nella sua versione precedente alla riforma ex art. 54-bis del d.l. n. 50/2017 conv. con mod. in l. n. 96/2017, i lavoratori coinvolti risultavano poco meno di 1,4 milioni , gli ultimi dati disponibili – cioè quelli del 2022 – parlano, con riguardo al lavoro occasionale post riforma, di poco più di 300.000 lavoratori coinvolti (quasi 172.000 con contratto di prestazione occasionale e poco meno di 140.000 lavoratori con il “
libretto famiglia ).
Una volta dato brevemente conto delle novità in materia di lavoro occasionale apportate dal c.d. “decreto lavoro”, pare opportuno rinviare altrove l’analisi minuta delle istruzioni operative, per svolgere invece qualche considerazione critica circa l’utilità di tale riforma.
3. Criticità.
A ben guardare, quest’ultimo intervento legislativo sull’istituto (così come i numerosi “ritocchi” precedenti di cui si è detto nel § 1) rivelano tutti lo stesso “disagio”: l’enorme difficoltà del legislatore nel creare tipologie contrattuali alternative alla tradizionale dicotomia subordinazione/autonomia di cui invece il mondo del lavoro attuale avrebbe davvero molto bisogno .
Ripercorrendo l’evoluzione storica dell’istituto in parola appare infatti lampante la contraddittorietà che lo caratterizza da sempre, stretto tra due necessità antitetiche e cioè, da un lato, quella di offrire al mercato uno strumento flessibile e ad ampio spettro, così da garantire una tutela, seppur minimale, al più ampio numero possibile di lavoratori (necessità assai chiara nelle riforme che hanno rimaneggiato l’istituto nel decennio successivo alla sua introduzione nel 2003) senza tuttavia finire, dall’altro lato, per fargli assumere il ruolo di competitor (sleale, vista la sua scarsa consistenza sul piano sia della tutela dei lavoratori, sia fiscale) rispetto al contratto di lavoro subordinato standard, nonché rispetto ad altre, e ben più protette, tipologie contrattuali (necessità che trapela assai chiaramente dalle riforme successive alla “minaccia” referendaria del 2016).
Ciò chiarito, a che punto siamo?
Ad avviso di chi scrive così come congegnato l’istituto non può che rimanere al palo. Infatti a renderlo poco “attraente” non sono tanto gli ambiti su cui è intervenuto il decreto lavoro qui in commento e, cioè, il “fuoco incrociato” delle soglie di tempo e di guadagno annue che lo imbrigliano (né il loro quantum ), né tantomeno i limiti soggettivi imposti agli utilizzatori , anzi. Tali limiti appaiono fondamentali per rendere ragionevole la figura, garantendole quella marginalità che giustifica, da un lato, il mini-statuto protettivo che l’accompagna e, dall’altro lato, la sua esistenza come figura volta a tutelare una categoria sinora priva di grande attenzione da parte del legislatore e, cioè, quella di coloro che entrano nel mercato del lavoro senza voler impiegare la loro intera e/o continuativa capacità di lavoro.
Perché dunque l’istituto non è decollato? La sua vera criticità insiste, ad avviso di chi scrive, nel farraginoso sistema di pagamento elettronico attraverso la piattaforma informatica INPS introdotto in sostituzione dell’assai più immediato strumento dei voucher. Per rendere l’istituto più “appetibile” sarebbe, dunque, su questo aspetto che il legislatore dovrebbe intervenire, in particolare ripristinando il sistema dei buoni – seppur corretto sulla base dell’esperienza (e degli abusi del passato) – che aveva in fin dei conti dato buona prova di sè.