testo integrale con note e bibliografia
1. In un’epoca in cui ci si interroga sempre più assiduamente sulle tecniche idonee a rispondere all’esigenza sia di maggiore autonomia esecutiva del prestatore di lavoro sia di incremento della produttività dell’impresa vi è, nell’ambito applicativo e in quello scientifico, scarsa attenzione rispetto ad una formula contrattuale potenzialmente virtuosa al suddetto fine, ossia il lavoro ibrido.
Per sgombrare il campo dagli equivoci linguistici occorre anzitutto rammentare che con questo termine non ci si riferisce a quella forma di lavoro che combina il tradizionale lavoro in presenza con le forme di lavoro da remoto, ma ad uno specifico schema contrattuale, sperimentato per la prima volta nel settore bancario tramite il Protocollo per lo Sviluppo sostenibile del gruppo Intesa San Paolo del 2017 ; questo consiste nella coesistenza in capo ai medesimi soggetti di un contratto di lavoro subordinato part-time a tempo indeterminato e un contratto di lavoro autonomo fuori sede.
Per quanto il lavoro ibrido abbia alcuni punti di contatto con il lavoro a distanza e, in special modo con lo smart working, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, i caratteri speciali di questa relazione contrattuale meritano una trattazione separata.
Il primo profilo interessante riguarda i vantaggi che entrambi i contraenti possono ottenere da questa formula.
Dal lato del lavoratore, il lavoro ibrido permette di bilanciare le aspirazioni e/o le esigenze esistenziali della persona con i rischi di mercato. Più esplicitamente, la vocazione professionale all’autonomia della prestazione e/o la necessità, anche per motivi personali, di una diversa modulazione dell’impegno lavorativo si scontrano con i rischi di discontinuità reddituale e lavorativa tipici del lavoro autonomo . Il lavoro ibrido consente, appunto, di svolgere parte della propria attività lavorativa in un contesto di maggiore autonomia senza rinunciare alle varie forme di stabilità e tutele tipiche del rapporto subordinato part-time e all’inserimento in un’organizzazione più strutturata, così permettendo ai singoli di beneficiare di una coerenza tra aspirazioni professionali e posizione contrattuale. La combinazione dei due rapporti può poi garantire un incremento complessivo di redditività, dovuto alla somma della retribuzione connessa al contratto part-time con le provvigioni per gli affari conclusi in virtù del lavoro autonomo. Ne deriva una maggiore motivazione, tanto professionale quanto economica, sia per la parte di lavoro part-time sia per la parte di lavoro autonomo, funzionale ad impattare positivamente anche sul rendimento del lavoratore.
Iniziando ad indagare il rapporto con lo smart working, potrebbe dirsi che il lavoro ibrido consente di assicurare gli stessi aspetti positivi correlati alla soddisfazione professionale, alla concentrazione, al minore assenteismo, ad un miglior bilanciamento tra vita professionale e vita privata, neutralizzando al contempo alcuni rischi, quali la solitudine, la cd. time-porosity, l’assenza di una adeguato ambiente di lavoro, il tempo lavorato e non retribuito .
Passando a mettere a fuoco la posizione del datore di lavoro/committente, è innegabile anzitutto evidenziare il risparmio economico dovuto alla riduzione del costo fisso tramite l’assunzione part-time; di rilievo è anche un’esigenza non economica, ma propriamente organizzativa, attinente alla possibilità che tramite questa formula si garantisca una gestione individualizzata del cliente.
Questo “ritratto”, seppur veloce, consente di ritenere il lavoro ibrido un’operazione potenzialmente in grado di conciliare performance individuale e performance collettiva: l’aumento del benessere del lavoratore può tradursi anche in un aumento di produttività per l’impresa, ancor più se le risorse economiche risparmiate tramite la riduzione dei costi fissi sono impiegate in investimenti, innovazione ed organizzazione.
2. Quanto detto sinora sembra presentare il lavoro ibrido come una soluzione contrattuale piuttosto conveniente per tutti; vi sono, tuttavia, alcune insidie che non possono essere misconosciute e che attengono più propriamente alla costruzione contrattuale di questo modello organizzativo.
Preme sottolineare che il lavoro ibrido, per quanto singolare, non è da considerarsi tecnicamente una nuova organizzazione del lavoro; questo si concretizza nell’utilizzazione delle tradizionali forme di organizzazione sottese alla dicotomia autonomia/subordinazione con l’inserimento di un elemento di novità non indifferente, ossia la coesistenza dei due rapporti contrattuali in capo ai medesimi soggetti. È da questo elemento che emerge la centrale problematica del lavoro ibrido: come tenere scissi i rapporti contrattuali data l’identità soggettiva dei contraenti? La necessità di rispondere ad un simile interrogativo sorge dal fatto che la comunanza dei soggetti è un tratto al quale prestare attenzione per evitare un uso distorto della formula contrattuale.
Tale caratteristica fa del lavoro ibrido una manifestazione inedita dei contratti di lavoro, sulla quale occorre ancora interrogarsi per assegnare una classificazione utile ad identificare struttura e disciplina di questa articolata relazione contrattuale.
Non essendoci nulla di analogo nell’attuale elaborazione giuslavoristica, non è peregrino richiamare alcune categorie civilistiche nelle quali, invece, una simile complessità del rapporto contrattuale è già conosciuta e regolata. Il riferimento è al collegamento negoziale: operazione economica realizzata dai privati attraverso una pluralità di negozi strutturalmente autonomi, ma collegati, unico essendo l’interesse perseguito dai privati.
Il richiamo è funzionale a discernere fisiologia e patologia nell’uso del lavoro ibrido. Più chiaramente, il lavoro ibrido per essere genuino e non mascherare un tradizionale rapporto di lavoro subordinato full time non deve consistere in un contratto complesso, che, come noto, è frutto della fusione di più tipi contrattuali presi nella loro interezza in cui gli elementi strutturali della causa dei diversi tipi in astratto sono trasfusi all’interno di un unico tipo negoziale che avrà un’unica causa; in altri termini, non deve trattarsi di un unico contratto, ma di più contratti, seppur collegati.
Se così è, come la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di collegamento negoziale richiede , è necessario accertare la presenza del: a) requisito oggettivo: il nesso teleologico tra i negozi volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica unitaria; b) requisito soggettivo: il comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra gli stessi per la realizzazione di un fine ulteriore.
Per quanto concerne il requisito oggettivo e, più precisamente, la finalità pratica unitaria, da quanto emerso nell’operazione di individuazione delle posizioni vantaggiose dei contraenti, questa è da ravvisarsi nell’aumento del rendimento che va di pari passo con l’aumento della produttività. In relazione, invece, al requisito soggettivo e all’elemento del coordinamento, si tornerà in seguito.
Preliminarmente occorre identificare i contratti che devono essere, come già detto, plurimi. Per questa operazione è proficuo partire da una lettura puntuale delle esperienze contrattuali finora emerse, dato che in questo ambito la tipizzazione sociale ha anticipato – al momento sostituito – quella normativa.
3. Riflettendo sullo stato dei fatti, è, pertanto, utile analizzare la prima manifestazione di lavoro ibrido, la sperimentazione nel Gruppo Intesa San Paolo tramite il Protocollo per lo Sviluppo Sostenibile del 1° febbraio 2017, e l’ultima, l’esperienza di Italiaonline, società di marketing digitale e comunicazione online, tramite l’accordo del 6 luglio 2023.
Entrambi gli accordi hanno trovato la risposta al problema della coesistenza dei rapporti contrattuali nei cd. principi di separazione tra i rapporti di lavoro: elementi ritenuti idonei a differenziare il rapporto contrattuale subordinato part-time dal lavoro autonomo. Nei testi contrattuali si sono valorizzati i seguenti aspetti:
1) gli strumenti di lavoro: l’utilizzo di profilature informatiche specifiche e distinte;
2) l’estensione temporale della prestazione: nel contratto di agenzia la gestione dei tempi di esecuzione dell’incarico è autonoma, purché avvenga fuori dall’orario di lavoro part-time e non coincida con i periodi di malattia/infortunio intervenuti nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato;
3) il luogo della prestazione: il contratto di agenzia deve essere eseguito fuori sede;
4) le modalità di calcolo e la natura del compenso: retribuzione per il lavoro part-time, provvigione per gli affari conclusi nell’ambito del contratto di agenzia;
5) la linea gerarchica: l’Accordo del Gruppo Intesa SanPaolo richiede il “coordinamento” per lo svolgimento del contratto di agenzia con il Direttore di Area di riferimento invece della soggezione al potere direttivo del Direttore della Filiale presente nel rapporto part-time; l’accordo di Italiaonline prevede per il contratto di agenzia il “raccordo con l’organizzazione della Committente” attraverso la struttura dell’Area Manager.
Vi sono poi due elementi importanti di differenza tra i due accordi.
Il primo concerne l’oggetto della prestazione: Intesa SanPaolo anche per il contratto di agenzia si riferisce all’offerta e gestione di servizi e prodotti, Italiaonline ha scelto una tecnica diversa limitando anzitutto la sperimentazione del lavoro ibrido ad un profilo professionale, ossia quello del Digital Sales Account, il quale, in virtù del contratto di agenzia, svolge la medesima attività (l’acquisizione di nuovi clienti e la vendita di prodotti e/o servizi), ma in relazione ad una zona preventivamente specificata.
Un altro elemento di distinzione concerne la presenza nell’accordo di Italiaonline di una clausola pattizia di esclusione dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015 al contratto di agenzia.
Analizzando i suddetti principi emergono alcune criticità, soprattutto in un’ottica di sistema, ossia di separazione del lavoro ibrido da altre modalità contrattuali in cui l’esigenza di flessibilità nell’esecuzione della prestazione e il ruolo del raggiungimento degli obiettivi svolgono parimenti funzioni importanti, primo fra tutti lo smart working.
La questione controversa si incentra sulla necessità di scindere le fattispecie e sulla idoneità degli elementi prima elencati a tale scopo.
Negli accordi contrattuali sopracitati il tempo della prestazione è un elemento caricato di funzioni inedite, quella di separazione dei rapporti e quella antiabusiva. Ma sorge una domanda: come fare a distinguere un lavoratore part-time che svolge la propria prestazione in modalità agile “senza vincoli di orario” da un lavoratore ibrido che svolge la sua parte di lavoro autonomo?
Ancora, il luogo della prestazione è un altro elemento dirimente per discernere i rapporti di lavoro, ma si tratta di una centralità problematica alla stregua di quanto osservato rispetto al tempo: di nuovo, come fare a distinguere un lavoratore part-time che svolge la propria prestazione in modalità agile “senza vincoli di luogo” da un lavoratore ibrido che svolge la sua parte di lavoro autonomo?
In altri termini, lo spazio e il tempo non possono essere gli elementi centrali di discrimine; anche il lavoro ibrido come il lavoro agile si iscrive in una logica di destrutturazione spazio temporale della prestazione finalizzata ad inserire maggiore elementi di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, a vantaggio sia dei lavoratori sia del datore di lavoro/committente, seppur con un ruolo minore dell’utilizzo degli strumenti tecnologici.
4. Al fine di costruire una genuina scissione dei rapporti contrattuali, evitando anche pericolose sovrapposizioni, occorrerebbe, dunque, prestare maggiore attenzione all’individuazione dell’oggetto della prestazione e della linea gerarchica.
Se l’oggetto della prestazione non è puntualmente individuato, l’omogeneità dell’attività lavorativa crea problemi nell’individuazione della pertinenza della stessa al rapporto contrattuale. A tal riguardo vi è da riflettere sul ruolo che può assegnarsi all’obiettivo. Una demarcazione più precisa del risultato cui si connette l’attività di lavoro autonomo è una soluzione che può aiutare a discernere i confini dei rapporti contrattuali per evitare una eccesiva porosità tra gli stessi. Tuttavia, l’elemento dell’obiettivo è presente, o meglio, può essere presente anche nel lavoro agile, seppur il dibattito risulti ancora aperto sia rispetto alla qualificazione della fattispecie sia rispetto ai criteri di valutazione di esatta esecuzione della prestazione . Puntare, allora, unicamente su una maggiore perimetrazione dell’oggetto della prestazione non è sufficiente per mettersi al riparo dal rischio di confondere lavoro ibrido e lavoro agile.
Vi è un altro elemento sul quale fare leva: il tipo di coordinamento che lega il lavoratore ibrido all’organizzazione di appartenenza nell’ambito del contratto di agenzia. Secondo la dottrina decisamente prevalente, infatti, per distinguere le fattispecie occorre guardare in modo prioritario e decisivo alle modalità esecutive della prestazione del lavoratore . Non potendo affrontare in poche battute un tema tanto delicato quanto discusso , è utile esemplificare in relazione a tale aspetto cruciale rileggendo le esperienze contrattuali citate. Gli accordi prima menzionati per distinguere i rapporti contrattuali valorizzano anche l’elemento del “coordinamento per lo svolgimento dell’incarico con il Direttore di Area di riferimento” – per quanto riguarda l’accordo di Intesa SanPaolo – e del “raccordo con l’organizzazione della Committente” – nel caso dell’accordo di Italiaonline; si evidenzia così la necessità che il lavoro non subordinato si sostanzi in una prestazione che, se non rimane strettamente all’interno del perimetro dell’autonomia, può al più essere caratterizzata dal coordinamento di cui all’ art. 409, n. 3, c.p.c., da intendersi come raccordo organizzativo consensuale, e non unilaterale, tra lavoratore e committente .
Tale lettura trova conferma in controluce nella esclusione della fattispecie dell’etero-organizzazione ad opera dell’accordo di Italiaonline.
Tecnicamente questo accordo è un contratto di prossimità che intende derogare ad una norma di legge ; sul presupposto che nel caso concreto le parti siano legittimate a stipulare un simile contratto, ci si chiede, anzitutto, in virtù di quale finalità esso trovi la sua legittimità. Quanto sopra osservato in relazione alle esigenze e ai vantaggi di tale formula contrattuale sembrerebbe portare a sostenere che due finalità credibili ineriscano alla “qualità dei contratti di lavoro” e agli “incrementi di competitività e di salario”.
Premessa la possibile legittimità sul piano astratto dell’ esclusione dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015 al contratto di agenzia, per evitare distorsioni e torsioni finalistiche di contratti e norme, ciò che conta è che, esclusa ovviamente l’eterodirezione, nella concreta realtà dei fatti etero-organizzazione non ci sia: la prestazione non deve risultare unilateralmente organizzata nemmeno in parte dal committente.
Queste precisazioni sono fondamentali per: evitare il mascheramento di un tradizionale rapporto di lavoro subordinato full time oppure di un rapporto etero-organizzato, e quindi unico contratto in capo ai medesimi soggetti; apprezzare le differenze tra lavoro ibrido e lavoro agile.
Riprendendo la teoretica del collegamento negoziale, quanto detto consente di affermare che nel lavoro ibrido il requisito soggettivo del comune intento pratico di volere anche il coordinamento tra i contratti per la realizzazione di un fine ulteriore si manifesta nel seguente modo: raccordo organizzativo consensuale tra lavoratore e committente per l’incremento della qualità dei contratti di lavoro, di competitività e di salario.
5.Passando, da ultimo, al piano delle prospettive, emergono una sere di implicazioni di sistema. Una prima conseguenza rilevante riguarda il contratto part-time. Il lavoro ibrido ne incentiva un utilizzo meno gender oriented, superando lo stereotipo di tale forma di flessibilità tesa a rispondere prevalentemente alle esigenze di work-life balance, ancora prevalentemente femminili dato il ruolo prioritario delle donne nelle attività di cura .
Un secondo effetto di sistema concerne la concorrenza del lavoro ibrido con lo smart working . È questo un aspetto che – come già anticipato – va indagato, data la presenza di numerosi punti di contatto tra le due modalità di esecuzione della prestazione, sia sul versante delle esigenze fronteggiabili (sono formule utilizzabili per prestazioni fortemente connesse al raggiungimento di un risultato e/o frequentemente adempiute con una gestione non rigida e difficilmente predeterminabile dei tempi e dei luoghi; in entrambi i casi la produttività del lavoro è elemento centrale, seppur, per quanto concerne il lavoro agile, finalità intrinseca e normativamente prescritta), sia sul versante problematico delle conseguenze rischiose (si pensi all’isolamento del lavoratore, all’assenza di un adeguato ambiente di lavoro, alla cd. time porosity).
A tal riguardo si prospettano due possibilità. Una prima opzione è quella di leggere il lavoro ibrido come soluzione temporanea. Anche alla luce dell’esperienza post-emergenziale di lavoro agile, partendo da una realistica presa di coscienza della difficoltà di cambiare il paradigma del lavoro subordinato e, al contempo, dalla messa a fuoco di esigenze lavorative bilaterali nuove, indirizzate soprattutto ad una maggiore autonomia anche del lavoratore subordinato, il lavoro ibrido potrebbe essere una soluzione di passaggio per dare il tempo allo smart working di definirsi meglio. Per un simile scopo la prassi sinora seguita rispetto alle esperienze contrattuali sopracitate della certificazione dei rapporti di lavoro risulta molto interessante: la funzione qualificatoria associata alla certificazione dei principi di separazione tra i rapporti di lavoro potrebbe stabilizzare i criteri di discernimento tra autonomia e subordinazione, costruendo confini più chiari tra le fattispecie.
Diversamente, il lavoro ibrido può essere visto come una soluzione parallela, in grado di rispondere ad esigenze differenti rispetto a quelle tipiche del lavoro agile e che sono quelle con cui si è aperta la presente riflessione. Per una simile soluzione, occorre però affinare, nel senso anzidetto, l’elaborazione dei principi di separazione per arginare timori e ambiguità che il lavoro ibrido può far sfociare.
In entrambi i casi c’è da evitare che le novità tipiche di questi modelli organizzativi conducano ad effetti indesiderati: la precarizzazione del lavoro dipendente, una nuova condizione di subalternità e non una leva per l’autonomia e l’emancipazione.
Occorre, pertanto, prestare attenzione agli elementi di novità, avendo anche a cura gli effetti diretti e indiretti, interni ed esterni sia nei singoli rapporti di lavoro sia nel sistema nel suo complesso.