testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione
La Direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali segna la cifra, unitamente ad altre iniziative parallele , di un nuovo corso di intervento del legislatore europeo in materia sociale .
Il testo finale del provvedimento, che è stato il frutto di un difficile compromesso, è stato approvato dal Parlamento Europeo il 24 aprile 2024 e, nel momento in cui si scrive, è in attesa della ratifica da parte del Consiglio e della successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
L’iniziativa si rivolge al lavoro tramite piattaforma in senso ampio (i.e. comprensivo sia del c.d. lavoro on-demand sia del c.d. crowd-work) e, dunque, non ai soli riders, che sono stati invece, come ampiamente noto, il fulcro del contenzioso nazionale in materia di lavoro digitale .
La Direttiva si compone di due nuclei essenziali.
Una prima parte insiste sul versante qualificatorio delle prestazioni (ovvero, nel linguaggio della direttiva, sulla “corretta determinazione della situazione occupazionale”) e ruota attorno al meccanismo presuntivo che verrà al centro della presente riflessione.
La seconda parte mira ad approntare una serie di tutele, di carattere individuale e collettivo, volte a squarciare il velo di opacità del sistema algoritmico alla base del modello di funzionamento delle piattaforme digitali di lavoro : al riguardo, sia sufficiente rilevare che, per quanto la garanzia della trasparenza possa rivelarsi d’ausilio nell’attività di qualificazione delle prestazioni (oltre che nell’accertamento della discriminazione algoritmica) , un’analisi approfondita di tale tematica richiederebbe una complessa opera, che ci si ripromette di svolgere in un secondo momento, di raccordo – quanto meno – tra i) le disposizioni del Capo III della Direttiva Piattaforme, ii) il Regolamento 2024/1689/UE che stabilisce regole armonizzate sull'intelligenza artificiale (c.d. AI ACT), iii) il Regolamento 2016/679/UE (c.d. GDPR), e iv) l’art. 1-bis d.lgs. n. 152/1997. Di converso, in questa sede ci si concentrerà, come preannunciato, sulla presunzione relativa di subordinazione di cui all’art. 5 del testo finale della Direttiva Piattaforme, al fine di sondarne il possibile impatto sul meccanismo di qualificazione operante in ambito nazionale.

2. La presunzione di subordinazione nella proposta originaria della Commissione Europea
Nella prima versione della “Direttiva Piattaforme”, presentata dalla Commissione Europea nel dicembre del 2021 , veniva contemplata una presunzione relativa di subordinazione, la quale avrebbe operato una volta dimostrata, da parte del lavoratore, la ricorrenza di almeno due dei cinque indici elencati all’art. 4, comma 2, dell’articolato normativo originario, ed in particolare:
a) la determinazione effettiva della retribuzione, anche attraverso la fissazione dei limiti massimi;
b) l’obbligo in capo al lavoratore di rispettare le regole sull’aspetto esteriore, il comportamento verso il cliente o l’esecuzione del lavoro;
c) la supervisione dell’esecuzione del lavoro ovvero la verifica della qualità dei risultati;
d) la limitazione, anche per mezzo di sanzioni, dell’autonomia organizzativa in relazione al tempo di lavoro, all’accettazione degli incarichi e al riscorso a sostituti o subappaltatori;
e) la limitazione della possibilità di svolgere altri lavori o di crearsi una propria clientela.
Tale proposta era stata variamente accolta in dottrina.
Da un lato, vi era stato chi aveva espresso un apprezzamento per una soluzione che avrebbe favorito l’accoglimento, a livello nazionale, di una nozione allargata di subordinazione prossima a quella di matrice euro-unitaria .
Altre voci avevano, al contrario, stigmatizzato la scarsa idoneità qualificatoria degli indici sopra menzionati. Se alcuni di questi ultimi, infatti, non apparivano in alcun modo utili a tracciare il confine tra l’autonomia e la subordinazione , come nel caso della fissazione unilaterale del compenso, della limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o della verifica della qualità dei risultati del lavoro, altri parevano atteggiarsi, più che ad indici, a criteri discretivi in grado di condurre autonomamente verso l’accertamento della subordinazione (si pensi, in particolare, al rispetto di regole vincolanti per l’esecuzione del lavoro o alla limitazione della libertà di organizzare il proprio lavoro), attraverso un meccanismo ancorato alla presenza di plurimi ed eterogenei elementi dei quali il legislatore europeo non aveva previsto alcuna graduazione .
Oltretutto, trattandosi di una presunzione relativa, alle piattaforme sarebbe stato consentito fornire, sulla base del diritto nazionale, una prova contraria financo, ipoteticamente, in presenza di tutti e cinque gli “indici” di cui sopra: considerato che, come ampiamente noto, i criteri di distinzione tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo non risultano perfettamente coincidenti nei diversi Paesi membri dell’Unione europea , si sarebbe quindi corso il rischio di rendere la presunzione superabile “in ventisette modi diversi” .

3. La presunzione di subordinazione nella versione finale della Direttiva Piattaforme
Un primo tentativo per superare, in sede europea , le perplessità suscitate dalla formulazione originaria della presunzione de qua si è mosso nella direzione di uno spostamento degli indici all’interno dei Considerando, unitamente ad un ampliamento quantitativo e ad una curvatura qualitativa degli stessi verso un’innovativa accezione di “subordinazione tecnologica-informativa” .
La svolta decisiva si è però avuta con la versione ultima della Direttiva Piattaforme, sul cui testo è stato raggiunto, lo scorso 8 marzo 2024, l’accordo tra il Consiglio e il Parlamento Europeo, che ha poi approvato l’articolato nella seduta del successivo 24 aprile 2024.
Come emerge già dai Considerando della Direttiva, il legislatore europeo si mostra pienamente consapevole che “il potere di controllo e direzione può assumere in concreto forme diverse, considerando che il modello di economia delle piattaforme è in costante evoluzione; ad esempio, la piattaforma di lavoro digitale potrebbe esercitare una direzione e un controllo non solo con mezzi diretti, ma anche applicando sanzioni o altre forme di trattamenti sfavorevoli o pressioni”. Di conseguenza, “quando si riscontrano fatti che indicano un controllo o una direzione si dovrebbe presumere legalmente che tale rapporto sia un rapporto di lavoro, come definito quale definito dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati Membri” .
Al contempo, però, sempre nei Considerando si legge che “l’applicazione della presunzione legale non dovrebbe comportare automaticamente la riclassificazione delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali” , in quanto “il perseguimento della corretta determinazione della situazione occupazionale non dovrebbe pregiudicare il miglioramento delle condizioni dei veri lavoratori autonomi che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali” .
Ed è proprio alla luce della necessità di salvaguardare il lavoro autonomo “genuino” e di non invadere la competenza degli Stati membri in punto di individuazione dei confini tra subordinazione e autonomia che si spiega la formulazione finale della disposizione della Direttiva Piattaforme in tema di “Presunzione legale”.
Segnatamente, la versione ultima dell’art. 5, par. 1, del provvedimento de quo prevede che “si presume che il rapporto contrattuale tra una piattaforma di lavoro digitale e una persona che svolge un lavoro mediante tale piattaforma sia un rapporto di lavoro quando si riscontrano fatti che indicano un potere di controllo o direzione, conformemente al diritto nazionale, ai contratti collettivi o alle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia. Se la piattaforma di lavoro digitale intende confutare la presunzione legale, spetta a tale piattaforma dimostrare che il rapporto contrattuale in questione non è un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia” .
Come è stato puntualmente rilevato in dottrina, una presunzione di subordinazione del tutto disancorata dagli indici rischia di divenire sostanzialmente inutile . Non solo. Non si comprende, invero, come possa essere consentito ad una piattaforma dimostrare che, in presenza di “fatti che indicano un potere di controllo o direzione, controllo e direzione”, il rapporto controverso non debba essere ricondotto al lavoro subordinato. Anche a latere di quanto si dirà circa l’indisponibilità del tipo in Italia, resta, infatti, precluso sottrarsi alle tutele derivanti dalla nozione euro-unitaria di lavoratore, la quale, anche nella versione più restrittiva, si incentra proprio sull’eterodirezione . Sotto questo aspetto, la scelta del legislatore europeo ricorda quella dell’art. 8.1 dello Statuto dei Lavoratori spagnolo), in base al quale opera una presunzione relativa di subordinazione per chi presta un servizio per conto e nell’ambito di un’organizzazione e sotto la direzione di un altro . Non per nulla, proprio con riferimento alla disposizione iberica, un’attenta dottrina ha evidenziato come si tratti di “una presunzione a dir vero un po’ atipica perché gli elementi che la fanno scattare paiono coincidere con la fattispecie da provare” .
4. Segue. L’impatto della presunzione di matrice euro-unitaria sulla qualificazione del lavoro tramite piattaforma in ambito nazionale
Ai sensi dell’art. 29 della Direttiva Piattaforme, gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle previsioni della medesima entro il termine di due anni dalla relativa entrata in vigore.
È quindi spontaneo chiedersi se, e, eventualmente, che tipo di intervento il legislatore italiano dovrebbe porre in essere per adeguarsi alla previsione in punto di presunzione relativa di subordinazione.
A venire immediatamente in rilievo dovrebbe essere innanzitutto l’art. 2094 del codice civile, che, come risaputo, conduce all’accertamento della subordinazione proprio in presenza degli stessi elementi – la (etero)direzione, in particolare – che, nell’art. 5 della Direttiva Piattaforme, costituiscono, invece, elementi presuntivi. Tali, però, i primi non sono – né possono essere – sulla scorta del dettato codicistico, che li riconduce, come visto, a tratti discretivi della fattispecie e non già, secondo la definizione di cui all’art. 2727 c.c., a “conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato” .
Non a caso, (anche) nella giurisprudenza italiana sul lavoro tramite piattaforma, una volta riscontrata, attraverso l’esame delle modalità concrete di svolgimento del rapporto, la presenza del potere di controllo, direttivo e disciplinare sui lavoratori (ovvero sui riders) di causa, la conseguenza – ovvia, naturale, immediata e diretta – è stata la riconduzione delle relative prestazioni nell’alveo dell’art. 2094 del codice civile .
Ed anche quando ciò non si è verificato, per effetto di una precisa scelta processuale dei ricorrenti o, solo occasionalmente, in subordine rispetto alla rivendicata qualificazione ex art. 2094 c.c. , al riconoscimento a favore dei lavoratori delle piattaforme dei diritti dei lavoratori subordinati si è alternativamente giunti attraverso il rimedio di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 in tema di collaborazioni etero-organizzate .
D’altro canto, proprio con riferimento a quest’ultima disposizione si era parlato in dottrina di una sorta di presunzione , che taluni avevano inteso in senso assoluto , altri in senso relativo .
Ad ogni buon conto, guardando al combinato disposto dell’art. 2094 c.c., nella sua capacità di adeguamento al tempo, e dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015, nella sua funzione di rimedio teso a ritracciare il perimetro delle tutele del lavoro subordinato, non si può non concordare con chi ritiene che il corretto recepimento della Direttiva Piattaforme in Italia non richieda l’introduzione di una nuova presunzione legale di subordinazione .
Piuttosto, visto che “la legislazione nazionale può dirsi un passo avanti rispetto a quella unionale sul terreno della qualificazione dei rapporti di lavoro” , è quanto mai opportuno ribadire come, a queste latitudini, non possa di sicuro ammettersi che, una volta accertata la presenza degli elementi di cui all’art. 5 della Direttiva Piattaforme, al committente venga concesso di confutare la “presunzione” di subordinazione di una prestazione soggetta a controllo e direzione: del resto, una volta che il meccanismo sussuntivo (non presuntivo) ex art. 2094 c.c. abbia operato, attraverso una verifica condotta, in sede giudiziaria, secondo il canone del primato dei fatti (espressamente menzionato, tra l’altro, nel Considerando n. 28 della Direttiva Piattaforme), non si vede quale prova contraria possa essere fornita per giungere all’accertamento della natura autonoma di una prestazione che presenta le caratteristiche proprie di un tipo notoriamente indisponibile .

5. Conclusioni
La presunzione di subordinazione racchiusa nella prima versione della Direttiva Piattaforme avrebbe avuto un contenuto innovativo e potenzialmente dirompente. Tuttavia, solo una parte delle circostanze utili a rendere operante il meccanismo presuntivo rimandavano ai criteri distintivi tra subordinazione e autonomia e, soprattutto, la possibilità della piattaforma di fornire una prova contraria, sulla base del diritto nazionale ed anche in presenza di tutti e cinque gli indici tipizzati, avrebbe potuto dare luogo ad accertamenti difformi tra i vari Paesi membri in punto di qualificazione delle prestazioni rese nel lavoro tramite piattaforma.
Il legislatore europeo è, però, tornato in seguito sui suoi passi, articolando un meccanismo che, basandosi viceversa sugli “storici” caratteri discretivi del lavoro subordinato (anche a livello sovranazionale), non pare destinato ad incidere sensibilmente sul quadro regolativo italiano: infatti, anche volendosi prescindere dallo strumento di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81/2015, la sussistenza di “fatti che indicano un potere di controllo o direzione” viene già in rilievo nel procedimento di qualificazione ex art. 2094 c.c.
Non è possibile escludere che la presunzione di cui all’art. 5 della Direttiva Piattaforme possa invece rivelarsi d’ausilio in altri Paesi europei, ove difettano le garanzie processuali, prima che sostanziali, utili all’accertamento della subordinazione dei lavoratori tramite piattaforma , nonché nei sistemi in la sanctity of contract consente di attribuire all’accordo delle parti (ovvero al nomen iuris) un ruolo decisivo a fini qualificatori. Ciò spiegherebbe il reiterato riferimento, tanto nei Considerando quanto nel corpo della direttiva , al principio della primacy of facts (o primato dei fatti), che, tuttavia, costituisce un patrimonio giuridico da tempo ormai acquisito in ambito (italiano ed) europeo .
Quanto poc’anzi osservato non dovrebbe indurre a negare l’importanza della Direttiva Piattaforme, non solo come messaggio di policy, ma anche e soprattutto per le tutele che la stessa appresta nella sua seconda parte, dedicata alla “gestione algoritmica”. Ma questo, come anticipato, è un discorso affatto diverso, come dimostra, tra l’altro, la circostanza che le guarentigie contemplate a partire dal Capo III della Direttiva prescindono in massima parte dalla riconduzione delle prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato.

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