TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
La promozione di un’effettiva uguaglianza di genere, ossia una concreta uguaglianza non solo nelle opportunità, bensì nel godimento dei beni della vita sottesi alle situazioni giuridico-soggettive di vantaggio, necessita - a mio avviso - di un discorso preliminare di carattere politico, che sia funzionale all'istituzionalizzazione di strumenti di cambiamento.
Nella costruzione delle mie riflessioni, ho accostato l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e le buone prassi. A me sembra che questi due strumenti di azione sociale abbiano elementi in comune che possono aiutarci metodologicamente a raggiungere l'obiettivo di un’istituzionalizzazione degli strumenti di cambiamento nell'ottica dell'uguaglianza di genere.
Quali siano tali punti in comune è presto detto. Intanto, la piena consapevolezza del contesto su cui incidere: senza una chiara conoscenza del contesto non è possibile agire efficacemente. A ciò si aggiunga la diffusività dell'azione: chi ha avuto modo di scorrere anche solo superficialmente l'Agenda 2030 avrà notato che le azioni proposte riguardano i tutti i cosiddetti stakeholders, sia pubblici che privati, in un rapporto di cooperazione tra di loro proprio per rendere più pervasivi i loro effetti.
Per comprendere il contesto occorre chiedersi “quando” dovrebbe cominciare la parità. Chiediamoci: è vero che i problemi per le donne emergono al momento del reclutamento e dell'assunzione in Università o c'è un prima che dovremmo prendere in considerazione?
In secondo luogo, ci si dovrebbe chiedere “che cosa” determina la disuguaglianza. Non ci si può limitare – ancora oggi – a constatare che “qualcosa” impedisce alle donne di accedere alla piena uguaglianza. Senza nominare la causa della situazione sotto i nostri occhi non riusciremo a vedere dove si annida l’origine del problema. Dovremmo prendere tutte e tutti atto che questo “qualcosa” non solo non è invisibile, ma ha un nome ben preciso.
Senza dare una risposta a queste domande non è possibile a mio avviso passare dalle buone prassi all'istituzionalizzazione delle strategie di uguaglianza.
All’analisi del contesto, infine, pertiene altresì un chiarimento in ordine al significato della parola discriminazione. Varrà quindi la pena ricordare che la discriminazione non è soltanto il trattamento differenziato, e in quanto tale illegittimo e oggettivamente non giustificabile, ma è soprattutto esclusione.
Il trattamento differenziato e l’esclusione possono coesistere, ma non è necessaria la loro compresenza per poter attivare i meccanismi sociali e giuridici per il contrasto dei fenomeni discriminatori. L'esclusione basta di per sé a constatare l’esistenza di una discriminazione. E ciò perché la discriminazione è il frutto di un sistema di potere escludente.
Per eliminare la discriminazione, quindi, ci dobbiamo prima chiedere come possiamo destrutturare il sistema di potere escludente che la determina in un’ottica di sistema. La discriminazione, infatti, è un fenomeno sistemico: è essenziale ricordarlo perché solo così si comprende l’imprescindibilità di un'azione collettiva coordinata e continuativa.
Purtroppo, l’approccio teorico della maggior parte degli studiosi e delle studiose che si occupano di diritto antidiscriminatorio è un approccio individualistico. Tuttavia, la Corte di Giustizia ci ricorda costantemente che si deve andare oltre tale dimensione, pure importantissima, e cominciare a pensare in un'ottica di contesto, in un'ottica di sistema e quindi anche in un'ottica collettiva. Si potrebbe dire in un’ottica strategica.
Ma procediamo con ordine. Che cosa ci dice l'Agenda 2030? Nella prospettiva dell’uguaglianza di genere sono due gli obiettivi del programma delle Nazioni unite che sono particolarmente importanti, ossia il numero 5 e il numero 4.
Cominciando ad ricordare il numero 5, osserviamo che il macro-obiettivo è proprio il porre fine a ogni discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze. Per raggiungere questo macro-obiettivo l'Agenda 2030 - come per tutti gli obiettivi - individua alcuni traguardi da raggiungere medio tempore. Questi traguardi sono per esempio il 5.4 “creare infrastrutture politiche di protezione sociale” oppure “la promozione di responsabilità condivise all'interno delle famiglie”, ossia proprio uno degli ostacoli principali nel percorso di carriera e di accesso delle donne alla carriera accademica.
Quest’ultimo dato ci è ampiamente noto, non solo per l’esperienza diretta che ne facciamo, ma anche alla luce delle ricerche che vengono condotte in materia: non è una percezione soggettiva, è proprio un dato oggettivo e come tale misurabile. È l’ostacolo principale, un ostacolo di sistema che abbiamo il dovere - proprio per citare l'articolo 3 secondo comma della Costituzione - di rimuovere.
Il traguardo 5.5 ci chiede di “garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico economico e della vita pubblica”. È assolutamente importante che ci siano donne in posizioni apicali o comunque in posizioni che consentano loro di prendere delle decisioni anche di carattere strategico. E per fortuna in questo momento abbiamo esempi di donne che rivestono queste posizioni: voglio ricordare tra le altre Marina Brollo, prima donna presidente dell'AIDLASS e poi coordinatrice dei Gev di area 12 a livello nazionale, con cui ho il privilegio di lavorare.
Eppure, non ci possiamo accontentare del successo di una persona o di poche persone: dobbiamo ragionare in un’ottica sistemica e collettiva e pensare a come si possa arrivare quanto più numerose possibili a un livello di leadership che consenta di prendere decisioni strategiche.
Che il problema sia “politico” e che il nostro approccio debba necessariamente essere tale, ce lo ricorda il traguardo 5.c: “adottare e intensificare politiche concrete e leggi applicabili per la promozione della parità di genere e l'emancipazione di tutte le donne e bambine a tutti i livelli”. Leggere questo invito, mi fa pensare alla necessità di una politica dal basso cioè alle politiche sociali. Ed è proprio qui è il punto in cui si inserisce strategicamente la funzione delle buone pratiche.
Infatti, le politiche sociali sono un sistema di anticipazione della richiesta di tutela: constatato un bisogno sociale, quelle azioni coordinate e diffuse dovrebbero prevenire la lesione delle sfere giuridiche delle persone interessate da quel bisogno, senza aspettare di reagire alla luce di una domanda di giustizia avanzata da una o più vittime.
Occupandoci di uguaglianza all'interno dell'accademia non si può trascurare l'obiettivo 4 dell'Agenda 2030 che appunto ci parla di una educazione di qualità. Ovviamente, si ha molta attenzione all'accesso all'istruzione soprattutto in quei paesi in cui le ragazze non hanno tale opportunità, però contestualizzandolo nel nostro paese, possiamo valorizzare alcuni dei traguardi previsti per la realizzazione del macro-obiettivo. Intanto, quello relativo alla qualità dell'insegnamento che fa preciso riferimento all'acquisizione di competenze specifiche relativamente, per esempio, alla ricerca. Poi, l'eliminazione della disparità di genere nell'istruzione per garantire l'accesso alla professione di ricercatrice. E, infine, alla necessità delle competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile anche attraverso un'educazione volta alla parità di genere.
Nell’Ateneo di Udine, il CUG, presieduto da Valeria Filì ha realizzato il primo corso interdipartimentale e interdisciplinare che riguarda appunto le pari opportunità. A questo corso sono iscritti più di 1000 studenti di tutti i dipartimenti, che hanno partecipato costantemente al corso durante tutta la sua durata. Faccio queste esempio, perché alla domanda posta prima, ossia “quando” è necessario porsi la questione della promozione dell’uguaglianza di genere, ora posso rispondere dicendo che la questione andrebbe anticipata al momento della formazione. Occorre che le donne siano consapevoli del sistema di esclusione che ancora oggi subiscono, a partire dai banchi di scuola.
Un riscontro della efficacia di un tale approccio a mio avviso si può cogliere proprio nell’ambito delle scienze STEM. Secondo una ricerca fatta sui dati del Miur del 2019, fatto 100 il numero delle ragazze iscritte all'università 82 frequentano corsi di laurea non scientifici, mentre 18 si dedicano allo studio delle discipline STEM. La ricerca, inoltre, ci consegna due dati che vanno contro alcuni stereotipi. Prima di tutto, Il meridione è in testa nella riduzione del gender gap nei percorsi STEM: il 19,2% delle studentesse delle regioni del sud Italia è iscritto a una facoltà scientifica rispetto al 17,7% della media nazionale. In secondo luogo, l'Italia è terza in Europa rispetto alla presenza delle ragazze nelle scienze STEM, dietro al Regno Unito e alla Polonia con circa il 37% di donne nei corsi STEM, a fronte di una media europea che si assesta al 32%.
La costruzione di una società caratterizzata da un’effettiva uguaglianza comincia, però, prima dell'università. È figlia di vari elementi: i modelli familiari, l'orientamento in entrata e poi evidentemente le prospettive lavorative. Ancora una volta il contesto si rivela essenziale per immaginare percorsi che riescano a modificare profondamente la società.
E passiamo ora a qualche idea per la strutturazione di buone pratiche.
Non è peregrino pensare che si potrebbe cominciare con il coinvolgere il maggior numero di ragazze possibili all'università, soprattutto in certi ambiti disciplinari. Un ruolo strategico, in tale senso, può essere svolto dall'orientamento in entrata.
Anche in tale attività è essenziale fornire alle ragazze un role model. In un'esperienza di orientamento che ho fatto negli ultimi due anni, ho presentato alle ragazze e ai ragazzi partecipanti alcune figure professionali dell’ambito giuridico. A tal fine, ho scelto solo professioniste: hanno parlato con la docente universitaria, con l'avvocata, con la notaia, con la procuratrice della Repubblica e hanno scoperto che una donna può avere lo stesso successo di un uomo svolgendo certe professioni.
Una seconda proposta è quella di creare delle borse di studio. Qualche anno fa, nell’Ateneo di Udine, la professoressa Vermiglio ha creato l’iniziativa “Donne in matematica”: un percorso di eventi dall’8 marzo al 16 marzo (considerando che il 14 di marzo è anche la festa del pi greco) per declinare la matematica come sostantivo femminile. In quell'occasione, appunto, il nostro Ateneo ha messo a disposizione delle borse di studio per le ragazze con il desiderio di accedere al corso di laurea in ambito ingegneristico.
Ancora. È opportuno istituire relazioni costanti con le imprese e gli ordini professionali perché finanzino progetti di ricerca prevalentemente al femminile.
Iniziative simili minano alla base ciò che rende possibile la discriminazione ai danni delle donne, ossia il sistema di potere patriarcale.
Il patriarcato si fonda su un sistema economico particolarmente organizzato che tende a non distribuire in maniera equa la ricchezza. Anche questo è un aspetto da non sottovalutare, perché la condizione economica (e sociale) di partenza di una persona è importante per presagire quanto potrà effettivamente realizzare nella sua vita senza contare su incontri fortunati o sul caso.
Ciò che il patriarcato occulta con molta attenzione è che l’esclusione delle donne priva l’intera società di intelligenze e quindi di un progresso più accelerato, oltre che di un miglioramento economico generalizzato.
Di fronte a tale monolitica pervasività del patriarcato, non è pensabile che si possano ottenere risultati solo con il “convincimento”. Occorrono misure coercitive. Il contesto giuridico perché possano essere giustificate ce lo fornisce lo stesso articolo 3 Cost.
A mio avviso, sono tre le parole chiave che dovrebbero rammentarci il percorso da seguire: 1. buone prassi 2. strategia e 3. istituzionalizzazione.
Buone prassi, vuol dire appunto politiche sociali dal basso, cioè scelte che anticipano un cambiamento, che hanno bisogno di un coordinamento territoriale, per poter effettivamente raggiungere l'obiettivo dell'uguaglianza. C’è l’esperienza della rete dei CUG, c'è l’esperienza della Rete dell'università sullo sviluppo sostenibile con il suo Gruppo di lavoro sulla Giustizia sociale e l’inclusione: si tratta di reti territoriali che ci consentono come studiose e studiosi di incidere sul contesto da cui nasce la discriminazione.
Strategia, vuol dire immaginare un percorso coerente di azione, fatto di risultati intermedi che servano a realizzare l’obiettivo finale. Se ancora in 26 Atenei nel nostro paese non c’è nemmeno una direttrice, perché non si può immaginare a livello ministeriale di penalizzare questi Atenei nella distribuzione delle risorse dei fondi per la ricerca? Ciò a meno che non sappiano spiegare l'esistenza di ragioni oggettive in forza delle quali non esiste neanche una donna a capo di un dipartimento in quell’Ateneo.
E, infine, la terza parola chiave, ossia istituzionalizzazione: non possiamo lasciare le buone prassi o la creazione di una strategia nazionale per le buone prassi sull'inclusione e l’uguaglianza alla buona volontà dei singoli. Procedere in questo modo significa osservare realtà meravigliose, in cui si realizzano tantissime splendide iniziative e luoghi in cui questo non può avvenire. L'istituzionalizzare significa non abbandonarsi alla buona volontà dei singoli, ma agire in senso sistemico.
Concludo, con un invito. Noi che lavoriamo all'interno dell'università per ottenere più uguaglianza per le donne in università, paradossalmente ci dovremmo spendere molto di più per diffondere una cultura dell’uguaglianza fuori dall'università. Un tale approccio è necessario non solo per riuscire a destrutturare il contesto socio-culturale su cui prospera il patriarcato, ma ancora di più per agire trasversalmente su tutti i sistemi di oppressione con una trasversalità di azione: certi discorsi riguardano le donne ma riguardano anche le persone trans e le persone omosessuali. Tutte loro sono persone che in ragione della loro sessualità sono escluse da certi contesti e quindi discriminate. Ecco io spero che questa alleanza si rafforzi per il futuro, perché tutte le persone coinvolte ne trarranno maggiori benefici.